• 'x-^e". 'X-ic?'- ^/$^y^. oc-v^ < ^'fyjjsflcsESijyiSìi THE LIBRARY OF THE UNIVERSITY OF CALIFORNIA LOS ANGELES izr^ C^retta/cntta, UaMiL^ meDefimo Q^c/ccyiccLta cocOoi/u/ònerme/ro ,. cA^ onc/rcuy MDCCCXXX PREFAZIONI - NtìTE- ILLUSTRAI REMO SANBEON EDITORE PAieUMO-NAPOLI- MILANO-BOLOGNA -TORINO -GENOVA Proprietà artistico-letteraria dell' Editor* REMO SANDRON Y. V \ fe^«M.VMM»^ Oppio. Tip. Sandron 359 — 1 —2837720. * GLI « ANEDDOTI » DI CIAC. GOT. FERRARI. N di que libri che hanno un valore as- solutamente relativo, una negletta veste tipografica e una forma letteraria, per giunta, sprovvista fin delle più modeste veneri del dettato, non m'e davvero capitato tra le mani per caso , o in mezzo a quelli che i miei cari vecchi bouquinistes mi presentano di volta in volta come una rarità che son riesciti a rintracciare per le collezioni della Lucchesiana. Lo avevo, invece, per parecchio tempo cercato, dopo averlo visto ri- 5 VI GLI ANEDDOTI DI G. G. FERRARI cordato, citato, comentato anche spesso, in opere che trattano di storia della musica. Ma nessuno, fin qua, dei cataloghi che mi vengono quotidianamente sotto mano me l'aveva additato. Per quanto io stesso avessi frugato un po' da per tutto, niente : m'era sempre stato impossibile rinvenirlo. Or eccoti che ultimamente un amico mi dice : — Ma ce ne un esemplare, l'unico che si ritrovi in Italia, alla tal biblioteca governativa. Fattelo dun- que mandare in prestito. Vero. E una settimana dopo avevo sul mio scrit- toio, e guardavo e riguardavo quasi commosso, i due volumetti, in ottavo piccolo, un po' ingialliti, ri- legati un poco alla carlona come le grammatiche e le antologie che si portano a scuola le ragazze normaliste, e intitolati : Aneddoti piacevoli e inte- ressanti occorsi nella vita di Giacomo Gotifredo Fer- rari da Roveredo, operetta scritta da lui medesimo e dedicata, col dovuto permesso, a Sua Maestà Giorgio IV Re della Gran Brettagna; a Londra, pres- so l'Autore, 27 Clipton-Street, Filzroy Square, 1830. La ristampa che ho pensato di fare di queste curiose e ormai introvabili memorie autobiografiche GLI ANEDDOTI DI G. G. PEREARI VII m'ha per la seconda volta conceduto, e questa volta anche più compiutamente, una di quelle gioie assa- porataci che gli artisti o gli scrittori non ottengono se non dalla costanza del loro desiderio e dalla loro calda insistenza. L'ombra favorevole del buon Ferrari io, sì, ringrazio per avermi ella, quasi co- me se desiderasse di procacciarmi un piacere, so- spinto a rintracciarla e a rincorrerla. Ma più son grato, francamente, alla non sempre vana caparbietà della mia natura investigatrice. Ella mi piega, è vero, agli sforzi pazienti onde si compiono , tal- volta , indagini da cui si presume che debbano uggiosamente rifuggire gli abiti improvvisi e insoffe- renti de' poeti — ma mi prepara, d'altra parte, una consolazione che quasi pur mi sembra di rallegrata poesia. Pochi giorni fa da questo in cui scrivo di un piccolo maestro di cappella che sullo scorcio del secolo decimottavo venne a Napoli, da Rovereto, a studiarvi musica, e si mise con Paisiello e con Lattila, ho rivissuto, in una villa antica, una dolce ora tra un sogno e un rimpianto. Si chiama questa antica villa napoletana La Fiorita, e inerpica i larghi viali del suo giardino e i ciottoli della sua selvetta arca- dica e le sue scale di candidi marmi su per le pendici odorose di Capodimonte. Me la fece conoscere, qual- vili GLI ANEDDOTI DI G. G. FERRARI che anno addietro, Francesco Jerace. Vi si recava a salutarne gli amici padroni e a rivedervi, come in un amoroso ritorno alla felice e pur celebrata sua giovinezza, le agili figure ornamentali che tra le sue prime e più vivaci egli aveva disposto in teoria gioconda nell'alto delle pareti d'una di quelle va- ste sale. Era un giorno di primavera e la Fiorita s'abbe- verava del lume e del profumo della stagione cara a Zefiro e a Flora. Già un poco annebbiati dal tempo gli specchi barocchi di quella stanza si tin- gevano di verde e d'oro in chiazze irrequiete poiché il giardino, umido e assolato e pieno d'aranci e di manderini, si rimirava là dentro di furto. Vedevo alle pareti, nella mezza luce e nel chiaro, parruc- che e sciabò in tanti ritratti che v'erano appiccati, belli ritratti di belli uomini, nobili ed eleganti, e di belle signore che a quel tenue e discreto riso d'o- gni cosa del luogo mescolavano il loro sottile sor- riso. Gli occhi espressivi di una di quelle, grandi occhi che ora lucevano e ora si scoloravano, pareva che mi guardassero con lietezza e con qualche ma- lizia. Era una bruna testa incorniciata da un'accon- ciatura di capelli che, nel tempo, si diceva alla car- magnola e // rinserrava tutti in un largo nastro di seta bianca rannodato a fiocco davanti, sul sommo COLLEZ. SETTECENTESCHI FERRARI - Aneddoti. CELESTE COLTELLINI Da un dipinto di casa Meuricofirt. GLI AlSlEDDOTI t)I G. G. FERRARÌ IX del capo. T)i qua e di là due buccole lucenti, sci- volate di sotto al nastro, sfioravano, accartocciate, le rosee piccole orecchie.... Ora, quasi sommessamente, il padrondi casa, ch'e- ra accanto a me, mi chiedeva : — Conosce ?... Jlnch'io risposi piano, senza levar gli occhi dal dipinto : — No, davvero. — Celeste Coltellini. E allora il ritratto mi cominciò a parlare anch'es- so e a farmi improvvisamente, confusamente passare davanti le amiche ombre che si piaceva di a poco a poco evocare, ^cco Paisiello a un cembalo, le mani grassocce, mani da monsignore che si tratta bene, sulla tastiera un poco arrossata dal colore d'un caldo tramonto casertano : ecco, in piedi ac- canto a lui e piegata volta a volta sul leggio per riguardarvi le note, la Celeste, la Nina, pallida in quella rosea luce della stanza di concerto, com- mossa, intenerita, palpitante. (^ nella penombra, in fondo, in due grandi poltrone rosse, dalle spal- liere dorate e lucenti in quella mezza oscurità di- screta, ecco, silenziosi ascoltatori, Ferdinando IV e Maria Carolina. Il re, appassionato di musica, ama in questo punto di udirla, quasi appartato, un poco G. G. FannARi. — Aneddoti. Il X GLI ANEDDOTI DI 6. G. FERRARI lontano da coloro che la eseguono — e s'è cacciato là, in fondo alla sala, come per non turbarli. Ma dalla poltrona ampia e rossa il suo corpo si spor- ge e avanza, intento, immobile, le mani che incap- pellano il pomo d'avorio d'un bastone d'ebano, il mento che preme su quelle mani. E una, a un tratto, si spicca dal bastone, e si stende, e cerca quella ad essa più prossima di Maria Carolina, e ne sfiora il dosso. Vuol dire : T^affrena questi tuoi piccoli colpetti di tosse : la Celeste è per can- tarci Il mio ben quando verrà.... E la piccola tosse, rattenuta, s'accheta. Jlncor giovine, ancor bella, an- cora statuaria, la sorella di ^M^aria Jlntonietta di- segna vagamente nella poltrona e in quell'ombra la sua quasi rigida figura immota. Qualcosa n'e- sce, volta a volta, che biancheggia o luccica : una collana di rubini, o i fili brillantati d'un' aigrette che trema sulla pettinatura alla francese.... — Quando la Coltellini sposo il nostro antenato Giovan Giorgio — mi dice l'amabile signor Giovanni Meuricoffre col quale, questa seconda volta che visito la Fiorita, m'intrattengo sulla terrazza del pianterreno mentre la sua buona signora vi prepara GLI ANEDDOTI DI (ì. G. PtRRARl XI il caffè a un tavolinetto — egli abitava, a quanto se ne conosce, un appartamento in Via Fiorentini. Più di questo non so. Non potrei dirle altro pre- cisamente. Si serva.... beviamo lentamente il caffè, all'ombra e all'a- ria aperta, riparati da una tenda che continua a palpitare lievemente. Il vicino pergolato di glicine ha un fremito, a quando a quando, e se ne spiccano e cadono su' balaustri della terrazza, senza romore, alcuni grappoli violacei. — Qui forse c'è vento. Le vorrei mostrare gli albi della Celeste. Li vide, l'altra volta ? — No, non li ho visti. — Venga pure, son cose che la interesseranno. Torniamo nel salotto, intima pinacoteca della casa, ornata pur di qualche rara porcellana delle nostre fabbriche e di piccole squisite miniature in cornicette di tartaruga filettate d'oro. Le finestre sono aperte sul giardino : è maggio : il cielo è az- zurro, l'aria pare un cristallo e i lineamenti delle collinette di Capodimonte hanno un dolce rilievo sull'orizzonte pulito. Gli albi son dieci o dodici e v'è dentro davvero tanta parte della storia familiare di Giovan Giorgio Meuricoffre e della Celeste : sono pagine espressive, coperte da disegni e acquerelli, ognun dei quali ri- XII GLI ANEDDOTI DI G. G. FERRAEtt corda qualche tratto della tranquilla felicita di quella casa armoniosa, o gli amici d' essa o, specie, le illustri persone che la frequentavano. Talvolta, ma raramente, appiè di quelle suggestive illustrazioni è additato di che si tratti : in tutte le altre che non hanno di somiglianti spiegazioni occorre indovinare, intuire ì soggetti rappresentati, rincorrendo l'epoca, gli habitués del privilegiato salotto, que' letterati, que' pittori, que' maestri di musica, quelle donne aggraziate e note che vi si davano convegno e in mezzo alle quali Emma Lyona replicava i balletti e le attitudes onde, tra l'altro, era rimasto preso di lei l'ambasciatore d'Inghilterra a papali, sir William Hamilton. — Parecchi di questi disegni — m 'andava dicen- do il garbato mio ospite mentre io sfogliavo gli albi a uno a uno — son di mano della Celeste. ^Mla Ve ne ha pur di quelli composti dalle sue sorelle. Forse da Rosa. Non so bene: forse da Costantina... — (5 questo ? — Questo è del Gros, grande amico della Ce- leste. Che preziosa raccolta ! Più volte lo scolaro di David, il pittore insigne delle battaglie napoleoniche, il malinconico Gros ha voluto lasciare anche lui in queste carte i suoi schizzi improvvisati. Su d'un GLI ANEDDOTI DI G. G. FEUKAHI XIII divano pende dalla parete una, ancora, delle più finite di queste sue composizioni, La famille Meuri- coffre, il cui stile un poco accademico coglie tuttavia quella intimità pacata e que particolari d'osserva- zione che Greuze e Cochin avevano già posto in moda e di cui T)iderot si consolava... ^ Continuavo a interrogare quella rara iconogra- fia e vi cercavo , fra i tanti che mi poneva sotto gli occhi e ne' quali mi pareva di riconoscere or questo or quell'altro, il ritratto del mio buon Ferrari — il pic- colo maestro di cappella roveretano, semplice, timido e sconosciuto, che Paisiello, nel 1784, presento a Celeste Coltellini. Ma come non lo ritrovavo ? Ma non sentivo pur qui, accanto a me, quel caro ometto, al quale un benedettino di Marienberg insegno pel primo e quasi di furto le regole d'un canone, mor- morarmi anche lui, nell'aria ancor antica di questa stanza ove ogni cosa era smontata di colore e pur sempre viveva : — Guardi, signor mio riverito, son pro- prio queste ch'Ella vede alle pareti le care persone tra le quali ho vissuto gli anni migliori della mia giovinezza, in una città dolce e canora, lieta e XIV GLI ANEDDOTI DI G. G. FERRARI sentimentale, che m' è sembrata senz'altro la più bella d'Italia?... Un giorno , conducendolo a passeggiare nella Villa Reale, davanti alla cui poetica entrata il T^ai- siello era sceso da un calessetto che faceva rodere d'invidia il suo competitore Guglielmi, l'autore di Nina pazza per amore aveva tastato il giovanotto roveretano, per sentir da lui se davvero l'amor della musica fosse quello che lo avviava agi' incanti di Napoli. N'era seguita la bonaria e piacevole conversa- zione di cui ecco qui un brano che è tanto di quelli uomini e di quel tempo. — Tu dunque sei deciso, caro il mio Tirolese, a divenire compositore ? — Volesse il cielo ! — E va buono, va buono, lassa fa a me ! — Sono molto sensibile al disturbo eh' Ella si vuole pigliare per me, e non mi scorderò giammai della di Lei bontà ! — Ma tu che diavolo dice ? — Signore, ^lla.... — Ella, Lei, Signore! Ma, figlio mio, sti tier- mene ricercate e ridicole , a Napole nun s' usano ! Ccà nun se dà il Signore a nisciuno. Si dà del voi a pochi, e del tu a tuttuquante. GLI ANEDDOTI UI G. G. FERKAHI XV — « Come ti piace imponi ! » . — Uh, mmalora, tu aie letto Metastasio ? — E con che diletto ! — ^ravo ! Chillo è 'o masto dei poeti per i maestri di cappella drammatici ! E Metastasio ti sarà più utile dell'ignorante Paisiello. — L'ignorante Paisiello! Ma Voi scherzate! Io vi ho sempre considerato come il primo composi- tore drammatico del mondo ! — Mannaggia màmmeta! Fosse overo, almeno!.. Embè, vuo' sape 'a verità ? In musica io so' nu CIUCCIO ^ Prima di me, in una rivista del Tirolo, (Ar- chivio per l'Alto Adige, 1907, fascic. Ili), Eu- genio Zamboni abbozzò la figura del peripatetico filarmonico Ferrari, e anzi le pose attorno alcune delle pagine stesse di quelle sue memorie. 'Dopo dello Zamboni il dottor Pietro Pedrotti, di Rovereto, aveva scritto del Ferrari nella Vita Trentina, diretta, una dozzina d'anni fa, da Cesare battisti. Con chi avrà da fare, quando saranno ristam- pati, il lettore degli Aneddoti piacevoli? ^cco; con un uomo ecctllente, anzitutto; ingenuo, sincero, co- XVI GLI ANEDDOTI DI G. G. PKRRARl razzane, e con uno appassionato amatore e cultore della imparruccata Euterpe partenopea di due secoli fa. Era di quelli anni la moda del viaggiare in gran voga, e però non bisogna meravigliarsi che l'abbia seguita anche il Ferrari, il quale, dopo tutto, non si spicco da Rovereto precisamente per quella sincrona smania dei perditempo, o pel diletto am- biguo de' soliti avventurieri, sibbene per provvedere a' casi suoi spirituali ed economici dopo che nelle mani d'un cugino di lui, bel fiore di canaglia, era caduto quasi tutto il patrimonio paterno. Questo mi pare opportuno far considerare da che nel suo scritto accurato — che ha il merito precipuo d'a- verci additato un compositore di musica il quale non e poi stato degli ultimi o dei mediocri del se- colo decimottavo e che nessuno tuttavia conosceva — lo Zamboni quasi dimostra di volere assegnare il timido roveretano alla pericolosa categoria dei Ca- sanova, dei T)a Ponte, o di altri che a costoro so- migliarono e furono anche loro, come il figliuol della Zanella o lo svelto abate don Lorenzino, di quei giramondo che per via badarono piuttosto, e troppo spesso, a correggere la propria fortuna. Il Ferrari, no, non merita davvero ni cet excès d'honneur, ni cette indignile ! GLI ANEDDOTI DI Q. G. FKRRARI XVII Jìltra cosa è da quelli : è // figliuolo di un dabben uomo ; è il prosecutore, convinto e posato, di solide virtù familiari ; e lo studioso che si Vuol fare onore e pervenire ; è il viaggiatore, infine, che se pur non dispone di peculiari e brillanti qualità osservative e descrittive, per lo meno non s'intrufola nelle case ospitali, e non le appesta. Ji Napoli egli arriva quando la gloria di Pai- stello vi si spande più alta e più luminosa. Gli echi delle voci incantevoli di Scarlatti, di Leo, di Vinci e del Pergolesi vibrano tuttora in questa città del bel suono, della bella melodia, della grazia e della sapienza armonica, ^d e proprio il Paisiello, il grande Paisiello, che il giovanissimo roveretano arde di conoscere : e con lui che si propone di stu- diare, e da lui che aspetta di sentirsi svelare qual- che parte almeno del segreto miracoloso onde il caro e grande ^Miaestro suscita la commozione e l'incanto in tutti i publici d'europa. Com'egli abbia cercato d'assolvere questo suo non facile compito saprà il lettore dalla sua stessa nar- razione. Forse le poche lezioni di Paisiello gli gio- varono più di quelle che di grammatica e di reto- XVJIl «LI ANEDDOTI DI G. G. FERRA RI rica ebbe da un vecchio abate, a Rovereto : i let- tori degli Aneddoti se ne accorgeranno alle lor prime pagine. J^a che il signor Goti/redo mal- tratti qualche poco la grammatica, che importa ? Il senso di quelle memorie è chiaro — ed ella, pe' maestri di musica, non e stata obbligatoria neppur nel settecento. A me importa, che volete, che que- sto caro signor forastiero si sia fermato qui da noi per attingere da Napoli le più vive sue emozioni e le prime dottrine dell'arte che s'era scelta. Que- sto m'interessa, questo mi consola, nell'affetto orgo- glioso e devoto che ogni buon napoletano ha il tenero dovere di coltivare per la sua terra nativa. Per non fargli fare cattiva figura — il Ferrari davvero non lo merita — ho ritoccato la locuzione dialettale del Paisiello e quella ortografica : sentivano difatti più di Rovereto che di Partenope. (^ credo che nessuno me ne vorrà, tanto meno il signor maestro. Jll quale, separandomi in questo punto da lui, io faccio, obbligatissimo servitor suo vero, una pro- fondissima riverenza. S. DI GIACOMO. P. S. — Mentre son per licenziare gli Jlneddoii a' lettori della Settecentesca mi arrivano da Rovereto al- cune complementari notizie, sul Ferrari e sulla famiglia GLI ANEDDOTI DI (}. G. FKRKARI XIX di lui, delle quali non oso defraudarli. Radunandole in questo poscritto ho pur modo di ringraziare publicamente, e davvero moltissimo, l'avvocato Adriano Ferrari , che me le invia con la solita grande cortesia la quale ho in lui sperimentata fin dalle prime mie ricerche sul maestro Giacomo Gotifredo. L'avvocato Ferrari è un discendente da lui, ed esercita la professione a Rovereto, nelle vi- cinanze della piccola Casa rossa che gli ricorda la storia e la onorevole fatica degli antenati. Il maestro Giacomo Gotifredo sposò, nel 1804, la celebre pianista, e maestra presso la Corte di Londra, Vittoria Henry. N'ebbe due figli : Sofia Vittoria Lodo- vica, nata nel dicembre 1805, e Adolfo Angelico Go- tifredo, nato nel 1807. La Sofia, sposatasi assai giovane, morì dopo un anno dal matrimonio. Nel 1809 il maestro ammalò d'occhi e restò cieco fino al 1812, anno in cui recuperò la vista quasi com- pletamente. Poi riebbe il mal d'occhi, e ne perdette uno, il sinistro, poco tempo prima di morire. Negli ul- timi anni di sua vita rimase — ma non per colpa della famigHa — separato dalla moglie e in non troppo buoni rapporti col figlio Adolfo, che adorava la madre. Mori nel 1842. Nel 1848 Adolfo Angelico Gotifredo Ferrari, dive- nuto un cantante di gran merito (aveva studiato a.\- y Accademia Reale di Musica a Londra, sotto la guida del famoso Crivelli) sposò Joanna Thomson, dotata d'im- menso talento musicale. Moglie e marito divennero ri- nomati professori di canto e cantanti al tempo stesso: i loro concerti costituivano gli avvenimenti più artistici, più XX GLI ANKDDOTI DI G. G. FKURAUI importanti della stagione elegante di Londra. Il Ferrari fu, appresso, direttore della Società Filarmonica dì Lon- dra e professore di canto nella stessa Accademia Reale di musica ove egli aveva studiato : vi insegnò fino alla sua morte, avvenuta nel 1870. Due anni prima la mo- glie. Miss Joanna, era stata nominata maestra di canto della famiglia Reale d'Inghilterra; ne godette l'amicizia fino alla morte di lei, avvenuta nel 1872. Nel 1850 nacque Sofìa Ferrari e nel 1851 Francesca Jessie, ambedue ancora viventi. Figlie di quelli genitori non potevano avere che una educazione musicale e però tutte e due furono istruite nella stessa jìccademia Reale, ove ebbero come professore di canto il padre. La loro carriera artistica fu fortunata anche dal lato economico: Sofìa ottenne grandi successi cantando non solo oratorii, ma pur canzoni e musica d'opere teatrali. Morta la madre nel 1872, per volontà di S. M. la Regina Vittoria, ella prese il posto di lei presso la fa- miglia Reale. Nel 1877 sposò Mister Fred. J. Pagden, ricco avvocato di Londra, e si ritirò a vita privata. Le successe come insegnante a Corte la sorella mi- nore Francesca Jessie, che fu pure professoressa presso la Scuola nazionale di musica a Londra, ove divenne celebre maestra di canto. Nel 1893, morto Mr. Pagden, Francesca Jessie Fer- rari rinunziava anche lei alla sua professione, per unirsi alla sorella, con la quale vive ancora a Batheaston House (Near Bath). S, d. G. COMPOSIZIONI DI GIAC. GOTIFRKDO PKRRAUI XXI Composizioni di GIAG. GOTIFREDO FERRARI Teatro — Les Eoénements ìmprévus — Parigi, teatro Mon- tansier, 1793. Se mi tormenti, amor! — Scena con recitativo — Londra, Concerto Salomon. La villanella rapita — Opera buffa — Londra. / due Svizzeri — Id. Ibid. L'eroina di Raab — Id. Ibid. Borea e Zeffiro — Balletto Ibid. La T)ama di spirito — Id. Ibid. Canto — La villanella rapita — opera buffa — Per canto e pianoforte - Londra 1797. Sei romanze con accompagnamento di pianoforte — Pa- rigi—Le Due— 1793. Sei ariette — Vienna — Artaria. Sei duettini m italiano con accompagnamento di p. f. — Parigi 1796. Dodici ariette italiane di Metastasio, con accompagnamento di p. f. Op. 9 — Parigi, 1796. Sei canzonette italiane — Londra, 1796. Dodici nuove romanze con accomp. di p. f. libro I e II -Parigi, 1798. Le Separi — Grande scène, avec acc. de piano ou harpe — Ibid. Id. Tre canzonette con pianoforte o chitarra — Parte I e II — Leipzig. Sei canzoni a tre voci con piano — n. 1 — Ibid. T^apà — canzone con acc. di pianoforte — Ibid. XXII COMPOSIZIONI DI OIAC. (iOTIFREDO FERUARI Pianoforte ed arpa. Tre sonate con violino — op. I. Parigi, 1788. Tre idem — op. 2. Ibid. Tre idem, con violino e contrab. — op. 3. Ibid. Douze petites pièces — op. 4 — Vienne. Trois sonates avec violon et basse op. 5 — Vienne. Concerto in ut, op. 6 — Paris. Trois sonates avec violon et basse op. 7 — Vienne. Caprice pour le clavecin op. 8 — Vienne. Trois sonatines — Offenbach. Trois sonates avec violon op. 8 — Vienne. Douze petites pieces, op. 10 — Offenbach. Trois solos, op. Il — Paris, 1796. Trois sonates avec violon ad lib — Offenbach, 1797. Trois sonates avec violon et violoncelle obi. op. 12. Trois sonates avec flùte — Paris, 1798. Trois sonates dont la deuxième avec violon obi. op. 13, Offenbach. Douze sonates, op. 14 — Vienne. Trois sonates avec violon op. 15 — Ibid. Quatre sonatines pour harpe et violon op. 16 — Londres. Trois sonates d' une éxècution facile pour harpe et violon, 1797, Paris. Trois grandes sonates pour harpe, violon et violoncelle, Paris, Pleyel 1798 op. 19. Trois solos op. 20 — Offenbach et Paris. Duo pour deux pianos ou harpe et piano. Ibid. XXIV Variazioni per il pianoforte — Naples, 1793. Douze variations. Ibid. Ouverture des Evénements impréous pour le piano — Of- fenbach, 1797. Sonates faciles pour la harpe liv. 4, COMPOSl^IOXI DI GIAC. UOTIFRKDO FKRRAKI XXlil A treatise on Singing, Londres, e Parigi 1827. Solfeggi — 1 " e 2" libro — Londra. Studio di musica pratica e teorica — Londra. Un volume di solfeggi dedicato a M" Bradwood. Un volume di solfeggi dedicato a mademoiselle Naldi. Uno Studio di musica pratica — Londra. JItI de chant — Parigi. 11 Ferrari, scrisse il Fétis — dalla cui opera {Biographie universelle des musiciens) caviamo queste notizie — è pur autore di due graziose ariette francesi: Qu' il Jaudrait de philosophie! e Quand l'amour naquit à Cythère. COLLEZ. SETTECENTESCA FERRARI - Aneddoti. X GIACOMO GOTIFREDO FERRARI i»M,iurii:.MrimmirMiijiniiimmiiiNMiinmTinn7mTnmmTiìinaii]iMrii»i].ii,iiiiiiiiiiiimmiNiniiMiiMiiM]iiiiimiiiiimiiii iiiiiimiimiirrMiMiii'iimiMiiiim |ii»r[[niiiiiiiiiirnnMMiuiiniiMMimiirMmi{MMMnriinmTrnminiTrT7iTiHiM'nii,iiii:iuimM]iiiiiiiiiriiiiimiiMmii^iMiiNiiiiiiii'i^^ AL LETTORE. /\ LTRI scrivono per istruire le persone, altri per ■^ ^ far pompa di lor medesimi : alcuni si fan pregio di lodare, molti di criticare il prossimo. Io, senza pretensione o parzialità veruna, scrivo come se parlassi, e con l'oggetto e con la speranza tanto di dar trastullo a' miei amici e a chi mi legge, quanto per trar vantaggio dal mio lavoro, s'egli è possibile. Contiene esso un breve, e candido racconto di ciò che m' e occorso, che ho veduto, udito ed osservato, dalla mia infanzia sino al dì presente : ma, per non dir troppo di me stesso, e per meritar vieppiù il compatimento del lettore, ho sparso qua e là aneddoti, proverbi, facezie, pasqui- nate, ritratti di personaggi illustri e distinti che ho conosciuto, squarci di Poesia Italiana, Francese ed — 1 — G. G. Tkrrxri. — Aneddoti. 1 AL LETTORE Inglese, osservazioni sopra la Musica antica e mo- derna, sui Cantanti, Sonatori, Compositori etc. etc. E benché quest'operetta sia quasi affatto fuori della mia sfera , nulladimeno mi lusingo che sarà benignamente accolta : e se non si trova in essa la penna d'un celebre scrittore, vi si troverà almeno quella d'un uomo che dice la verità ! La sottometto e raccomando dunque allo zelo e alla cortesia de' miei amici, e di tutti coloro che per tanti anni di seguito hanno approvato le mie composizioni musicali , con tanta buona grazia e con tanto favore. G. GoT. Ferrari. PARTE PRIMA. Iv^^^HM M ^^^^^ffl ^^TÌmm! Wmwlw ^^.i^S BL^^ESpi^ ^^^' 1 — , . . , CAPITOLO I. DESCRIZIONE DELLA PARTE PIÙ AMENA DEL TIROLO MERIDIONALE ITALIANO SINO ALLE FRONTIERE DEL TIROLO TEDESCO — FACEZIE ETC. — SONETTO DEL CAVALIER V ANNETTI. ROVEREDO o Rovereto , è piccola Città della Lombardia Veneta, nella Val Lagarina, in- corporata sin da gran pezzo nel Tirolo Ita- liano. L'etimologia del nome di questa Città deriva da una Selva di Roveri, o Querce ch'ivi esisteva prima — 5 — G. GOT. FERRARI della fondazione d'essa, e le cui armi corrispondono esattamente all'emblema di Carlo II, Re d'Inghilterra, però sotto un significato differente, e che s' esprime con un e. r. da' due lati d'un albero di Quercia: (C. r. Carolus rex : C. r. civitas Roboreti). Contien Roveredo tra le otto, e nove mila anime. Ha Venezia all'Oriente, Milano all'Occidente, al Mez- zodì Verona, Insbruck al Settentrione. Il fiume Adige serpeggia poco lungi, ora umile, ora altero : bagna Saco, specie di porto per le Zattere e luoghetto abitato da molta nobiltà , a un picciol miglio dal- l'estremità del Borgo e Monastero dei Cappuccini di Roveredo. Il fiumicello Leno passa da un' altra estremità lungo il Borgo di San Tommaso , il cui Ponte unisce il Borgo alla Porta e Dogana della Città. Il Leno è utilissimo per le manifatture degli abi- tanti ; ma allo scioglier delle nevi, o dopo le piogge, ivi periodiche nell'autunno, diventa esso un torrente rapido e furioso, gonfiasi e s'innalza talvolta fino a dodici piedi e più sopra il suo livello , ed allora porta terrore, strage e rovina ovunque si precipita. Evvi in Roveredo un Castello , un Teatro , due Ospitali, sei Monasteri e altrettante Chiese, Piazze, Fontane etc. Un Corso imbellito da fabbriche di- verse, e particolarmente dai Palazzi dei Conti Fé- ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 7 drigotti, Alberti, e del Baron Piamarta, dal Teatro stesso e dal Convento dei Frati Zoccolanti di San Rocco , vicino a cui trovasi la Palazzina Bridi ed un Tempietto , fabbricato a posta , in memoria ed onore di Palestrina, Haendel, Gluck, Jomelli, Sac- chini, Hayden e Mozart '. V'è un gran numero di ^ Palestrina (Giovanni 'Pierluigi da) è il creatore, italiano, de solo genere di musica da chiesa che alla chiesa conviene. L immensa opera sua comprende novantatre messe, a più voci, centotrentanove mot- tetti da 4 fino a 12 voci. Lamentazioni, Offertorii, Magnificat, Salmi, Inni e due raccolte di Madrigali spirituali, tacque in 'Palestrina, presso Ti,oma, nel 1 524, morì a T^oma nel 1 594. E famosa la sua Messa di Papa Marcello. 'Pio IV lo nominò compositore della Cap- pella pontificia. Poco dopo divenne direttore della musica dell'Oratorio. Haendel (Giorgio Federigo), nato in Halle nel 1685, morì a Londra nel 1759. Era stato, come si dice, anche lui, come fu poi Mozart, un enfant prodige : appena decenne compose mottetti che si cantavano nella chiesa provinciale di Halle : a tredici anni fu inviato a studiare a Berlino, poi si recò ad Amburgo, oVe fece parte dell' or- chestra di quell'Opera. Non aveva ancora ventanni quando si rappre- sentarono le sue due opere, Nerone e Almira regina di Castiglia. Venne in Italia a conoscere la nostra musica. 'Dopo essere rimasto qualche tempo a Annover, ove l'Elettore lo aveva nominato suo maestro di cappella, partì per Londra, vi scrisse il Rinaldo, e si stabilì definitiva- mente in Inghilterra. Ebbe successi e sconfitte, si risollevò co' suoi fa- mosi oratorii verso il 1735, e da quel punto divenne incontestata la sua gloria. Qli oratorii sono opere gigantesche, d' un accento pieno di nobiltà, di potenza, di maestà, ^el 1 859 gli fu eretta in Halle, una statua colossale, opera dello scultore famoso Heidel. HAYDN (Francesco Qiuseppe), e non Hayden, come scrive il Fer- rari, nacque a Rohran, nel 1732. Morì a "Vienna, nel 1809. Era, uno dei piccoli coristi della cattedrale di Vienna. Studiò musica da 8 G. GOT, FERRARI molini da seta e da farina che fan girare a talento con ruote , ed altre macchine messe in moto dalle acque disviate del Leno. quel tempo, poi ne compose di tale che fu da tutti ammirata e desi- derata. La Loge olytnpique di Parigi gli chiese nel 1 784 sei sinfonie, che sono tra le sue più belle. Pochi anni dopo fu invitato a Londra perché vi avesse diretti i concerti di HanoOer-Square. Dopo se ne tornò, e fissò la sua residenza, a Vienna. Di questo tempo sono i suoi due più belli oralorii, la Creazione e Le Stagioni. Beethoven fu suo allievo. GLUCK (Cristoforo), nato a H'eidenWang nel 1714, morì a Vien- na nel Ì787. Era figlio del capo dei guardacaccia del principe di Lobl^owitz. Studiò a Eisenberg e a Kommotan. Fu a 'Praga, poi a Vienna, ove il principe Melzi lo invitò a far parte della sua orchestra familiare, e da Vienna poi lo condusse a Milano. In Italia il Gluck, scrisse le sue prime opere : con Orfeo e Euridice (1 762) cominciò la riforma musicale che da gran tempo egli sognava e la sua forma ita- liana si espresse con quella e altre opere successive. Ebbe per pre- ferito librettista il Calzabigi. E conosciuta la disputa che infervorò, tra giudoisti e 'Piccinnisti, tutta Parigi e a cui presero parte il Suard, Rousseau, Mormonici, Grimm, la stessa regina Maria-Antonietta. L'Ar- mida e /'Ifigenia in Tauride seppero far tacere i suoi avversarii : quel genio toccante, passionale, profondo, pieno di emozione comunicativa, tornò trionfante a Vienna, ove rimase fino alla sua sparizione. JOMMELLI ([J^Cicola). Questo caposcuola della musica settecentesca e nato nelle vicinanze di Napoli, in Aversa, nello stesso anno in cui nacque il Glucl^, 1714. Una sua accurata biografia scrisse Saverio Mattei (Elogio del Jommelli), contemporaneo ed amicissimo dell' insigne musicista. Il fommelli fu scolaro di Ignazio 'Prota, poi di Leonardo Leo. La sua prima opera fu L'errore amoroso (1737, Teatro Nuovo) accolta con grande favore. Per V Argentina di Roma scrisse il Rici- mero (1740), a Bologna dette /'Ezio, a Venezia la Merope, e vi* diventò direttore del Conservatorio t/e/Z'Ospedaletto. Fu a "Dienna, nella Corte di ^KCaria Teresa; nel 1754 si recò alla Corte di Stoccarda presso il Duca di Wurtembtrg. Comprò in quella città una casa e vi ANEDDOTI PIACKVOLI E IN'IEItESSANTI 9 L'instituzione delle Scuole normali , intesa per lo studio delle lingue italiana, latina e germanica e per le matematiche, fa molto onore alla felice memoria di Giuseppe II, che la eresse sulla fine del suo Regno. Evvi pure un'Accademia chiamata degli Agiati. Ma prima di quegli stabilimenti si distinsero in belle lettere i Cavalieri Vannetti, Rosmini e Fon- stelle quindici anni, componendo pel Duca diciassette opere serie e tre buffe. L'ultima sua composizione fu il famoso Miserere, capolavoro di espressione malinconica, eseguilo la prima volta in casa del ^TUCaltei, a Scapoli, da due grandi cantanti, l'Aprile e la de jìmicis, il mercoledì santo del 1774. ^M^or\ di apoplessia, nella notte del 25 agosto di quello stesso anno. E sepolto a Napoli, nella Chiesa di S. Agostino alla Zecca. Mozart (Volfango Amedeo) nacque a Salzhourg nel 1156, morì a Vienna nel 1791. Fu dall' infanzia un cultore ed esecutore di mu- sica di straordinario ingegno, un esempio meraviglioso di precocità mu- sicale. 'Prima opera sua fu La finta semplice. 3^el 1769 egli venne in Italia e fece rappresentare a ^Miilano il Mitridate. Nel 1 785 dette a Vienna Le nozze di Figaro e finalmente, nel 1787, a 'Praga, il famoso Don Giovanni. La sua gloria è universale. SACCHINI (Antonio). U^ato a Pozzuoli nel 1 734, da poveri pesca- tori. Fu allievo del T)urante. Sua prima opera fu un intermezzo su parole di Pietro 'Urinchera : Fra Donato, che fu rappresentalo nel Con- servatorio di Loreto a Napoli ; uscito da quello il Sacchini compose e fece rappresentare, ora al Nuovo, or al Fiorentini moltissime altre Opere buffe. Chiamato a Roma, vi scrisse, per /'Argentina, la Semi- ramide. Godeva d'una grande reputazione : fu in Olanda, fu poi a Londra nel 1771, a Parigi nel 1782. Morì nell'ottobre del 1786, dopo avere assistilo all'ingiustizia con cui fu trattato il suo capolavoro, /'Edipo a Colono, al quale i parigini anteposero, col loro solito spirito campanilistico, la Fedra di Lemoine. s. d. g. 10 G. GOT. FERRARI tana ; e gli Abati Tartarotti, Scarperi e Pederzani, i quali , più o meno , han portato onore alla lette- ratura italiana . Le montagne all'intorno e nel vicinato sono ripide e scoscese, ma di moderata altezza ; nell'inverno son coperte di neve ; nella state , secondo la loro posi- zione solare, scopron sul loro dorso una quantità di viti, gelsi, olivi, agrumi, alberi fruttiferi, abeti e roveri senza fine. Scavando poi nell' interno di esse vi si trovan masse immense di pietra focaia, d'anti- monio, di granito, e di marmi superbi pinti da na- tura d' uno o più colori, e risplendenti come uno specchio. I legumi, le frutta e i vini sono eccellenti in tutti quei paesetti ; il tabacco , oh , il tabacco poi vi è stupendo, stupendissimo ! A un miglio incirca di Ro- veredo, all'oriente si passa il Ponte di San Colom- bano degno da vedersi, essendo fabbricato d'un arco solo e slanciato per così dire da una montagna al- l'altra : a poche miglia al di là si trovan sette pic- cole sorgenti ad alcune braccia una dall'altra, chia- mate i sette Albi, le quali contribuiscono il più a tenere in corso perenne le acque del fìumicello, o ^ 11 cavalier Fontana fu direttore del Gabinetto di Storia naturale di Firenze. N. dell' Jl. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 11 torrente Leno, che passa ad un mezzo miglio per- pendicolare sotto il suddetto ponte. Da Roveredo sino al principio del Tirolo tedesco sonovi circa venticinque miglia ; si passa per Ac- quaviva, villaggetto di poche case, ma m situazione pittoresca ; viene Trento, Città rinomata tanto pel suo antico vescovato, quanto per lo Sacro Concilio che vi fu tenuto nell' anno 1 545 , in cui si stabilì definitivamente il celibato dei preti. Il Ponte sopra l'Adige non dà cattiva vista , poco lungi dal quale trovasi il villaggio Mezzo -Lombardo. La Cattedrale di Santa Maria Maggiore non è da sprezzarsi : ve- desi in essa un bel quadro che rappresenta il Con- cilio, e un organo che sebben vecchio e d'estensione moderata, può dar sempre piacere a chi lo sente. I Trentini poi lo portano alle stelle, e lo considerano come una delle tante meraviglie dell'Italia, e citano il Duomo di Milano, l'Arena o il Culiseo di Ve- rona, la torre Garesendi a Bologna, il Vaticano di Roma, il Foro di Pie' di Grotta a Napoli, i Quattro Cavalli di bronzo, il Ponte di Rialto ai Venezia e 1 organo di Trento. Narrano quei fanatici che arri- vato colà un celebre professore, desideroso di sentire e suonare il così vantato stromento, si fece introdur nella mentovata chiesa : alla vista del quadro restò in ammirazione ; ma più ancora nell'osservar la maestà 12 G. GOT. FEURARl dell'organo : e condotto sull'orchestra provossi a mo- dulare, e nell'udir l'emanazione di quei tubi armo- niosi e i suoni potenti e insiem soavi che ne tra- mandavano , rapito in estasi, e quasi in un delirio, esclamò cosi senz'avvedersi : Oh, che bell'istromento ch'è mai questo ! I soli mantici d'esso vagliono assai più che tutti i Cardinali del vostro Concilio ! Poche miglia al di là di Trento incomincia il terreno a diventare sterile e paludoso, l'aria cattiva, la gente snervata ; basta così. S'arriva finalmente a San Michele, frontiera dei due Tiroli, ma un pae- succio miserabile e malsano. Ivi cambia il linguaggio : ivi s'incominciano a sentir gli accenti gutturali e cor- rotti dei Tirolesi tedeschi, i quali porgon l'occasione a' forestieri e sopra tutto agl'Italiani, di beffarsi con- tinuamente d'una lingua così ricca, così bella come l'alemanna, e così dolce, se con dolcezza è artico- lata. Ecco che dice l'Abate Casti su tal soggetto. Conta l'insigne Poeta, in una delle sue graziosissime novelle , che una zitella , assalita e insultata da un moro, fu chiamata a un esame, e interrogata perchè si aveva lasciata insultare, rispose che aveva avuto gran paura. — E chi fu colui che v' insultò ? — Ei mi disse ch'era il diavolo ! — Che apparenza aveva? — Di un uom robusto. — La faccia ? — Nera. — II crine ? — Increspato. — Il naso ? — Schiacciato. — ANEDDOTI PIACKVOLI E INTERESSANTI 13 La bocca ? — Oh, che bocca ! — E che lingua par- lava ? E qui osserva il malizioso Casti : Se era il diavolo egli è poi naturale che parlasse tedesco. Bravo lo spiritoso Casti ! Ma sembrami ch'egli abbia dimenticato che in Italia pure s'odono degli accenti gutturali e risibili al par di quelli dei Tirolesi tedeschi. Infatti la gorgia dei Fiorentini non accarezza l'u- dito. La favella dei Bolognesi non vale certamente un'Alleluja del Padre maestro Martini. In quanto spettasi al dialetto esecrando dei Genovesi, via, qui si può dire con più verità del Casti : Oh, che lin- gua indiavolata ! Or mi sarà grato di offrire al lettore un sonetto del celebre cavalier Clemente Vannetti, senza dubi- tare un attimo che non sia favorevolmente accolto, ed in cui si troverà un' altra critica sui Tirolesi tedeschi. SONETTO. Del Tirolo al governo, o Marocchesi, Fur queste valli, sol per accidente Fatte suddite un dì ; del rimanente Italiani noi siam, non Tirolesi. E perchè nel giudizio dei paesi Tu non la sbagli, con la losca gente Che le cose non vede o il ver non sente. Una regola chiara io qui distesi. 14 O. GOT. FERRARI Quando in parte sarai dove il sermone Trovi in urli cangiato, arido il suolo, Il Sole in Capricorno ogni stagione ; Di manzi e carrettieri immenso stuolo, Le case aguzze, tonde le persone, AUor di' francamente : Ecco il Tirolo ! Bravo anche il Vannetti 1 Ma sebbene il Tirolo tedesco termini a San Michele e a Mezzo Lombardo, e che noi non siamo originalmente veri Tirolesi, bi- sogna però convenire che a Trento, a Roveredo ed anche ad Ala , si parla un italiano correttissimo, e vi s'incontran sovente delle teste tonde da far com- passione. CAPITOLO II. MIO NONNO — STABILIMENTO E MATRIMONIO DI MIO PADRE — MIA INFANZIA — CACCIA D' UCCELLETTI. IN ACQUE mio nonno in Roveredo, dal cui terri- torio mi fu detto non fosse mai uscito. Io non ebbi il vantaggio di conoscerlo, ma tanto udii di lui parlare da mio padre e da altri che ne posso dir qualche cosa. Fu egli allevato pel commercio, in cui passò tutta la sua vita. Era inoltre conoscente per- fetto delle qualità della seta , per le quali avea un ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 15 occhio e un tatto singolare, ne mancò mai d'impieghi onorati e lucrativi , da poter mantenere la sua fa- miglia con decoro. Era pure un uomo religioso e morale, lungi però dall'esser bacchettone o pedante. Ei diceva ai suoi figli : Fatevi una legge di non mai mentire, ne d'usar sutterfugi : fate sempre il debito vostro : se siete padri o padroni, comandate : se siete o figli o servi, ubbidite. Siate fedeli al Governo che vi protegge. Se siete presentati in qualche famiglia, conducetevi la cinquantesima volta con la stessa af- fabilità e decenza che vi conduceste nella prima ; ne siate mai superbi che del vostro onore e de' vostri talenti acquistati. Se si tratta di un appunta- mento tenetevi pronti piuttosto prima che dopo l'ora fissata. Fidi alla vostra religione, non vi frastornate la testa col volerne approfondare i misteri , perchè tutto è mistero in questo mondo. Non abbiate ani- mosità veruna contro le altre religioni, essendo tutte buone, perchè tutte concorrono alla stessa meta. Leg- gete e rileggete la Divina morale di Gesù Cristo : nutritevi di que' sentimenti e principii naturali e su- blimi : e ciò che più importa , metteteli in pratica da voi medesimi ! Sparì poi come un lampo quel bravo e valent'uomo, lasciando in vita cinque figliuoli ed una figlia. Avea già fatto prete il primogenito Bartolomeo , secondo 16 G. GOT. FKRRAKI r uso d' Italia, e allevati gli altri quattro pel com- mercio. Il cadetto Francesco fu il più abile , attivo e industrioso di tutti loro. Dotato egli di un'indole dolcissima, e sempre intento al suo dovere, meritossi facilmente l'amor paterno e il benvolere di ognuno. Assistito mdi dalla cura indefessa ed eccitato dal- l' esempio del genitore , potè in tal guisa istruirsi a segno che quando ebbe il rammarico di perderlo, non solo fu capace di provveder per se stesso, ma anche per tutti i suoi fratelli. Prese una casetta sulla Piazza del Podestà dove teneva un piccolo commercio di seta , e a forza d'assiduità, d'economia e d'industria risparmiossi tra qualche anno del bel denaro. Fu allora spalleggiato dal nobil Giuseppe-Maria Pedrigotti da Saco, e dal di lui nipote, il nobil Angelo Rosmini da Rovereto. Quei due cavalieri gli fecero affittare una gran casa, chiamata la Casa rossa, che pareva veramente fab- bricata apposta per lo stabilimento suo. Erano in essa tutti i comodi per abitare : in oltre scrittoio, fondachi d'ogni sorta, camere per allevare i bachi e lavorar le sete, caldajoni per filarle e tin- gerle, stalla, rimessa, pollajo, ed un orto pien di grazia di Dio. Tutto questo non costava alla Ditta Ferrari e Co. che duecento fiorini l'anno di pigione, presso a poco lire venti sterline. Situato così Fran- COLLEZ. SETTECENTESCA FERRARI - Aneddoti. LA CASA ROSSA ANKDDOTI PIACEVOLI K INTERICSSANTI 17 Cesco in un modo più estensivo gli fu necessità di accasarsi e prese in isposa una certa Maddalena Reisevitz , di famiglia mercantile , savia , avvenente, ma un po' chietina; egli era già bastantemente re- ligioso , onde se la intesero a meraviglia e furon sempre felici. Si occupava il marito degli affari di com- mercio, e lasciava quei di casa interamente alla mo- glie, pei quali era capacissima. Ebbero dieci figliuoli, dal cui numero non ne restano in vita che il minor nato, e l'impareggiabile fior di virtù che son io. Dall'età dei tre fino ai cinque anni fui a scuola da una Siora Checca Smitta dove non imparai che a giocare alle Pallotte. Ai cinqu'anni andai da don Trener per imparare a leggere, a scrivere e il cate- chismo etc. etc. A dieci anni entrai nelle scuole pubbliche e ad undici ottenni per premio di memoria un bel Virgilio, ben legato, sul cui frontespizio stava l'iscrizione che segue : Memoria minuitur nìsì exerceas, Jacohe dulcissime! Tale massima che mi parve, e che trovai poscia così vera , mi fu di grandissima utilità ; e dall' ora in poi non ho mai cessato d'imparare, ritenere o ri- petere a mente qualche cosa ; così che ho la con- solazione di aver la memoria tanto fresca adesso quanto l'avevo all'età di ventanni. ^ Bigotta. G. G. ¥&RRA.R\. — Aneddoti. 2 18 Gr. GOT. FEKRARI Con tutto ciò lo studio non era la mia passione dominante : ne aveva una che prevaleva sopra quella e sopra ogni sollazzo dei fanciulli. Nell'autunno io mi alzava coll'alba per andare a caccia d'uccelletti che si fa nel Tirolo italiano dal principio di agosto sino alla fine dicembre , tanto per piacere quanto per economia e bisogno. Le carni di manzo o di castrato sono troppo scarse e troppo care per la povertà del paese, e non v'è nobil be- nestante o bottegaio che durante quella stagione non abbia giornalmente sulla tavola un piatto d'uccelletti o di salvaggiume per arrosto. I contadini di que' contorni fanno una distruzione immensa di fringuelh, montani, merli, tordi, verdoni, frisoni etc. che pigliano in due modi i più crudeli, e che qui descrivo. Nei sentieri o passaggi più chiari dei boschetti più folti tendono una quantità di lacciuoli fatti di crine di cavallo : legano ogni fila di essi a due rami di albero d'eguale altezza e dove credono che gli uccelli debban passare per cercare vitto o bevanda: e così avviene ad ogni tratto, ma appena che l'uc- cello ha cacciata la testa fuori del nodo le sue ali aperte lo stringono con violenza ed è colto in esso pel collo. Un altro modo di pigliar gli uccelletti è quello ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 19 di disporre nel basso degli alberi e delle siepi, lungo i sentieri, degli archetti formati d'una bacchetta pie- ghevole, per mezzo della quale con certo magistero curioso, i poveri uccelli restan presi per le gambe. Una civetta, indigena di quelle rocche, cinta di ver- ghette sparse di vischio ; reti da tratta orizzontali, assai cognite in ogni paese d' Europa ; e roccoli o reti perpendicolari non conosciute in Inghilterra of- frono altri tre modi all'industria di quegli uccellatori onde divertirsi o guadagnare. I pettirossi sono i più numerosi ed i più facili ad esser minchionati, ed è incredibile la quantità che se ne pigliano e mangiano nel Tirolo italiano, allorché nel Tirolo tedesco se qualcuno toccasse uno di quegli uccelli ei sarebbe disonorato ed insultato. I Tirolesi Tedeschi hanno pel pettirosso un rispetto religioso, anzi una superstizione, poiché lo chiamano l'uccello della Vergine Maria. Un'altra caccia piacevolissima è quella di tirare al volo d'uccelli grossi e salvatici di passaggio, che si fa particolarmente a un miglio da Roveredo, sopra una montagnola, e in una selva della Valle Longa. I proprietari di quei terreni scelgono per conven- zione dei posti lontani mezzo miglio un dall' altro, destinati pe' cacciatori, e il primo di questi che ar- riva n'è padrone, ne v' è chi ardirebbe far caccia 20 G. GOT. FERRARI tra un posto e l'altro. Vanno talvolta la sera per essere i primi e dormono sotto un albero, una siepe, o una rocca per tenersi pronti allo spuntar del sole a tirare agli uccelli. Se la giornata è serena v'è poco passaggio, ma se il tempo è nebbioso e pioviggina, passano a migliaia, in isciami che pajon nuvole. La più gran parte di quegli uccelli sono stornelli , co- lombe, anitre, oche, come pure cigni, cornacchie e grue. Le prime quattro sorta volano unite ed in or- dine, ma son così scaltri e così destri che se a loro si tira in faccia o da un lato s' alza in un batter d'occhio lo sciame come se fosse un uccello solo, ed evita in tal modo la morte o la ferita ; bisogna allora tirare alla coda quando son passati, ed allora se ne fan cadere venti o trenta in un sol colpo. Le altre sorta passan così alto che il fucile a pallini non vi può arrivare ; pur se ne colgon talvolta con delle carabine a palla. E cosa incredibile il veder giungere quei paesani al mercato carichi di filze d' uccelletti , e sebben li vendono a basso prezzo, pur dalla quantità che ne pigliano guadagnano abbastanza da comprare della farma di grano giallo , o nero di Turchia , che si coltiva a meraviglia nel paese e con la quale fan la polenta che lor serve di nutrimento tutti i giorni dell'anno. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 21 Oltre quei contadini vi sono anche dei proprietarii di boschi che fanno speculazione di tali caccie, e che mantengon diversi paesani incaricati di tendere ogni giorno nella stagione sino a mille e più lacci ed al- trettanti archetti, e che poi fan vendere gli uccelli che pigliano, nel pubblico mercato. Nel mentre che io mi divertiva frequentando tutte quelle caccie, aveva anche la passione della musica, che mi toccava l'udito ed il cuore. Io non mancava mai di andare alle messe cantate o ad altre funzioni in musica. Se nella state si faceva qualche Serenata io m'alzava a qualunque ora della notte e mi metteva alla finestra mezzo nudo per ascoltare. Se trovava una spinetta, un violino, o una chitarra io mi diver- tiva a pizzicare, a far susurro : aveva persin preso passione per suonare la campana del mezzodì che era la più grande della città. Scoprendo mia madre il sentimento innato che io già mostrava per la mu- sica e il progetto che aveva formato con un mio intimo amico d'andare in Italia per divenir musici, mi fece imparar di moto proprio a solfeggiare, si- cura nella sua opinione che la musica non poteva essermi che di vantaggio in qualunque situazione io mi trovassi nel mondo. A quel tempo, anno 1775, non s'era ancor ve- duto un pianoforte in Roveredo, ne si poteva prò- 22 G. GOT. FERRA RI curare un clavicembalo in affitto. Eranvi delle spi- nette e delle sordine, passabili, a tre ottave e mezzo, fatte da un certo Chiusole, tabacca]©, genio naturale per le meccaniche. Gli chiese mia madre se volesse farmi un clavicembalo a coda e a quattro ottave e mezzo : ei ne prese 1' impegno mediante la somma di fiorini novanta, e riuscì così bene che il mio stru- mento faceva l'ammirazione di tutta la città. ^ Ebbi dunque per maestro il Pulii, professor solido e solfeggiatore come non ne ho mai sentito dopo. Ma oltre il darmi un maestro di musica mi diede pure un confessore. Questi fu il Padre Salesio dei Zoccolanti, chiamato il Padre orbo, perchè così era : ogni domenica mi faceva andare a confessarmi seco- lei ; essa da un canto, io dall'altro del confessionale. Talvolta la sera mi conduceva a passeggiare e a prendere il perdono nella chiesa delle monache di Saco, dov'era una certa madre Teresa che passava per santa : m'introduceva nel parlatorio e mi lasciava solo con essa. Questa mi diceva i miei peccati. Le chiesi una sera Cornelia li sapesse : mi rispose tenerli dal suo Angelo tutelare. Io, innocente, innocentissimo, e minchione come un vero Tirolese di quei tempi, credeva positivamente che i santi di quaggiù stessero ^ Un fiorino del Tirolo vale un po' meno di due scellini , moneta inglese. N. dell' A. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTEUKSSAXTI 23 in corrispondenza con gli Angeli di lassù. Mio padre poi, più spregiudicato di sua moglie, non cessava di parlarmi di mio nonno : ripetevami sovente ciò che dissi più addietro, anzi cercava ogni occasione per insinuarmi quei principi] sani che avea concepiti egli stesso. Contento di vedermi porgergli orecchio mi disse un giorno che se tutto il mondo pensasse come mio nonno, si avrebbe più pace, più morale e più amicizia tra gli uomini , ne si vedrebbero divolgare ad ogni tratto tante nuove sette che corrompono la vera religione. CAPITOLO IH. VOTO DI MIO PADRE - SANTUARIO SUL MONTEBALDO — MIA EDUCAZIONE A VERONA — PASQUINATE. r U colto leggermente dal vajuolo mio fratello Lodovico e delle due pustolette che n'ebbe una gli lese l'occhio dritto, la quale gli fé' perder la vista. Infelice mio padre per tale accidente fece ♦ voto alla Madonna della Corona di visitar quel Santuario colla moglie e con le due figlie mag- giori se Lodovico guariva. Non risparmiò ne mez- zi ne oro : ma non ci fu rimedio. Ad onta di queste ei si credette in debito di fare un'offerta a quella Vergine e risolve di partire allorché mia 24 G. GOT. FKIiRARI madre aveva deciso di mandarmi a Verona. Andai dunque seco loro. Partimmo la mattina da Roveredo, e restammo qualche ora in Ala, città commerciante e piacevole. La sera si dormi a Peri, piccolo villaggio ma ben situato : trovasi esso a un quarto di miglio dall'Adige, al di là del quale evvi il porto di Rivalla, cioè due barche coperte di tavole per trasportare pas- seggieri e mercanzie di qua e di là del fiume. In faccia a Peri si vede l'altissimo Montebaldo che fa riparo al lago di Garda : alla metà del monte com- parisce nobilmente la Canonica e la Chiesa, o il Santuario, della Madonna della Corona. Albergammo alla casa della posta, tenuta da un certo signor Ventura uomo placido e ospitaliere : ci diede egli una cena squisita, a buon prezzo, e per so- pramercato del vin Santo eccellente e fatto in casa. Due fabbricanti di seta di quel luogo corrispondenti di mio padre cenarono con noi e chiacchierando dopo cena fu lor chiesto se potevano darci qualche in- formazione giusta sulla storia della Madonna della Corona. Rispose uno che quel Santuario apparì inaspettatamente una mattina con sorpresa inesprimibile del vicinato e dei viandanti : e che i miracoloni fatti da quella Vergine erano innumerabili. Soggiunse l'al- tro senza cerimonie che la storia era falsa, ma che ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 25 un Eremita e suoi amici portatisi sul Montebaldo e lanciatisi con corde a macchine nella selva vi fab- bricarono in secreto la Canonica e la Chiesa. Poi, tagliato il fondo degli alberi che le coprivano li fecero cadere una certa notte, e il dì seguente ap- parì in bella vista il Santuario mentovato ; che aveva udito parlare della quantità dei miracoli fatti da quella Vergine, ma che non ne aveva visto uno solo . Ciò non iscoraggì punto i miei genitori. Partiron l'alba seguente con le mie sorelle e col maestro di posta che cortesemente gli accompagnò al di là dell'Adige sul porto di Riva Alta, ove tro- varono gli asinelli già ordinati e pronti per salir lentamente quella ripidissima montagna. A un miglio del Santuario furono obligati di lasciar gli asinelli in una specie di rifugio, non potendo salirvi che a piedi. Giunti nella chiesa e fatte le loro devozioni ritornarono a Peri e di là a Roveredo, colla spe- ranza di trovare Lodovico guanto per miracolo : ma lo trovarono infelice come lo avevan lasciato. ' Comunque la cosa sia ciò che non falla si è che dopo la bat- taglia di Rivoli Napoleone fece il miracolo di trapassare Montebaldo col suo esercito e con la grossa artiglieria tirata su a contrappetto, e con un cannone di smisurato calibro la cui esplosione portò il terrore panico per tutta la valle. N. dell' A. 26 G. GOT. FERRARI Io intanto me ne andai col carrozzone passando per Volargne, fine delle Alpi Tirolesi, dove presen- tasi maestosa la ricca pianura della Lombardia Ve- neta. Giunto a Verona mi feci condurre istante- mente dal mio destinato precettore, e giustamente venerato, don Antonio Pandolfi. Questi m'istruì un po' meglio nella lingua italiana e latina, mi diede un'idea delle matematiche, della geografia, della fi- losofia morale del Muratori e delle opere del Me- tastasio che m'interessavan pij di tutto. Ma il tra- sporto e il gusto prevalente che io avevo per la musica nuocevano non poco alle istruzioni di Don Pandolfi. Mi fu dato per maestro di solfeggio il Cubri, prete melenso e briccone, buono appena a fare an- dare avanti un principiante : mi dava pur lezione di accompagnamento e in capo ad un anno io sol- feggiava, accompagnava tollerabilmente a vista, pren- deva lezione tutti i giorni di lavoro e di festa, e pagava un tallero di Baviera ogni sedici lezioni. Vedendo il mio precettore e i suoi amici che il Cubri non faceva più per me, mi fu dato per maestro di canto il Marcolla, eccellente professore, e il Borsaro per suonar di mano molto più abile del Cubri : io pagava loro lo stesso prezzo però ogni dodici lezioni : ma il denaro di mio padre era me- ANEDDOTI PIACKVOLI E INTERESSANTI 27 glio impiegato, poiché nell'anno susseguente che ri- masi a Verona feci dei progressi rapidi e visibili. A tal epoca m'occorse un piccolo evento che m'ha sempre pesato sul cuore e che mi fa provar qualche consolazione nel confessarlo. Poco prima che io andassi a Verona mia madre scrisse colà all'arciprete di Santa Maria Antica, per pregarlo d'essere il mio confessore tanto ch'io stessi in quella città. Accetto egli la domanda con piacere ed io andavo frequentemente da lui subito dopo il mio arrivo, ma raramente in appresso : tanto perché ei mi sembrava una specie di Padre Salesio quanto per una circostanza che sto per dire e che mi provò che i suoi principi non erano liberali. Egli ed altri fanatici o chietini m'incoraggiarono a disprezzare, anzi ad odiare gli Ebrei, chiamandoli i più gran nemici di noi Cristiani. Non ci volle molto per persuadermi, e quando io andava a passeggiar per Verona coi miei compagni e che incontravamo un Ebreo ci beffevamo impunemente di lui, or con parole, or con gesti, ora imitando in caricatura i cantici della sua Sinagoga, ora i gridi che fan quei poverelli nel loro Ghetto o per le strade. Un giorno, mentre io stavo giocando alla palla con alcuni giovinetti nel cortile del palazzo Zenobio, passò per là un Ebreo con un sacco sulle spalle 28 (ì. GOT. FERRARI gridando come al solito : « roba vecchia ! » , La- sciammo la partita ed incominciammo a tormentare quel pover uomo : egli, adirato ed inviperito, levò il suo fardello dalle spalle per gettarlo su di me ch'era a lui vicino : ma io più giovine e più lesto di lui scappai fuori del palazzo : ei mi seguì, ma quando fui ad una certa distanza, pigliai una pietra nella strada e gliela slanciai sulla testa. Stordito egli dal colpo e dalla ferita si fermò, ed io mi salvai in casa di Don Antonio, passando per la spezieria che tenevano i suoi due fratelli. Non tardò molto a presentarsi nella stessa bot- tega il maltrattato mercante di roba vecchia, lagnandosi giustamente ed amaramente di me. Scese il mio pre- cettore, ed udendo il mio errore m'obligò di chiedergli perdono e di dargli quel poco denaro che io aveva in saccoccia. L'Israelita fu soddisfatto e dopo d' es- sere stato medicato dal Pandolfi se ne tornò in Ghetto. Don Antonio mi menò allora nella sua camera e mi fece una rammanzina severa, facendomi sentire che io non doveva mischiarmi che della mia reli- gione ne aver disprezzo per alcun'altra, e sopratutto per quella degli Ebrei poiché noi stessi Cristiani crediamo nell'antico Testamento. Che io doveva os- ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 29 servare inoltre che il nostro Salvatore stesso era nato da una Vergine Giudea. Ciò bastò per emanciparmi dai pregiudizi del mio Arciprete e de' suoi pari : quando poi conobbi in privato qualcuno di quei perseguitati li considerai sempre come miei fratelli. In quella primavera rappresento ssi al Teatro Fi- larmonica un'opera sena. Eravi la Danzi nella sua gioventù primiera, cantante di agilità sorprendente, il David ~, padre del presente, nel suo fiore, come pure ' La 1)anzi, moglie del compositore Francesco 'Danzi, nato a Mann- heim nel 1763, si chiamava Margherita Marchand ed era figlia del direttore del teatro di Monaco. Sposò il Tìanzi nel 1790. (^ra una insigne cantairice, che emerse specie nelle Nozze di Figaro e nel Ma- trimonio segreto. 5V!e/ 1794 e nell'anno seguente viaggiò in Italia col marito, e tutti e due si distinsero particolarmente a Venezia e a Fi- renze. Morì di malattia di petto, nel 1 799, a trentatre anni, a JWo- naco. s. d. g. - // Lindoro nella Nina pazza per amore, di Qiovanni Paisiello, fu Giacomo David. ^ACacque a Presezzo, presso Bergamo. Era dotato — scrive il Félis — d'una Voce di tenore sonora e facile e, a furia di studii di vocalizzazione assai scrupolosi, finì per cavarne il più gran partito : alla più sicura intonazione accompagnò sempre il gusto più perfetto del canto. Studiò col Sala, maestro alla Pietà dei Turchini. 5V!e/ 1785 andò a Parigi, ove produsse una enorme impressione nello Stabat del Pergolesi. Tornato in Italia vi cantò per due stagioni, col rinomatissimo ^^archesi, alla Scala di Milano. A Napoli, nel 1 789, cantò nella Nina con la Coltellini, poi passò a Londra. Nel 1812 tornò a Bergamo, [^el 182 1 cantò un'ultima Volta a Lodi. Ebbe per soli suoi allievi un suo figliuolo, natogli a Napoli e di nome Qiovan- ni, e il Nazari, che forse superò il maestro, s. d. g. 30 G. GOT. FHRRARI Paccherotti il modello dei cantanti di quel tempo; con tutto ciò l'opera andò a terra. Giacche ho parlato di Teatro, narrerò qui due pasquinate abbastanza mordenti. Quando il maestro Mortellari lasciò l'Inghilterra, partì egli di Londra col cavalier Pisani, nobil veneto e suo mecenate. Giunti a Padova il buon cavaliere fece scritturare il suo protetto per scrivervi un'Opera e un Ballo. La compagnia era certamente cattiva, ma il Mortellari era anche uno di que' vecchi in- testati che non vogliono adattarsi al buon gusto del giorno, oltreché la sua musica era debole e nuda di armonia. Fé' dunque un fiasco, un fiascone, e fu servito con questo complimento ; Cantanti senza voc^, Ballerini senza gambe, Musica del Mortellari ! ' Gaspare 'PacchiaroHi nacque in un villaggio della Romagna, nel 1744 : morì a Padova nell'ottobre del 1821 . Era un soprano di cui la meravigliosa messa di Voce, l'espressione, la vita, il fuoco onde ani- mava il suo canto destarono meraviglia ed entusiasmo, ^ra brutto, ma seppe — come scrive Niccolò 'Uommaseo nell'elogio di Francesco Maz- zoleni, tenore — per virtù di lunghi studii, correggere e Volgere in pregi i difetti della natura, ^ra un grande artista, oltre che un grande can- tante. Lasciò, non avido ne Vanitoso, la scena a soli quarantacinque anni. s. d. e. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 31 L'ultimo teatro che fece il celebre Mombelli \ chia- mato il tenore dei terzetti, fu la Pergola in Firenze : aveva egli settanta e più anni, e voleva ancora can- tare ; il po' di voce che gli restava era tremolante, calava da dar fastidio etc. etc. Essendo egli stato per vent'anni l'idolo dei fiorentini fu rispettato, ma quando andò la seconda sera al teatro per vestirsi trovò sulla porticella del suo camerino scritto a ma- tita rossa : A settanta Ne si balla, ne si canta ! Or cangiando il tono, ma non di soggetto, chieggo il permesso di dirne un'altra che mi par geniale. Era già più di un secolo che la Repubblica di Venezia si trovava sull' orlo del suo precipizio : diversi Senatori di buon senno e gran politici eran morti o ritirati ; alcuni zerbinotti di poca testa e ' Domenico Mombelli, nato nel 1751 a 'Dillanova, pr<;sso Vercelli, debuttò a 'Parma nel 1 779, poi si fece udire, con grande successo, a Bologna, a Roma, a Napoli ove giunse nel 1783 e fu scritturato al San Carlo come primo tenore. 'Da quel punto fino al 1800 divise con Giacomo David la gloria d' esser considerato come uno dei più grandi tenori d'Italia. j4veva spjsato la cantante Luisa Laschi nel 1 782 : vedovo di lei sposò una sorella del famoso ballerino Vigano. Morì a Bologna a 84 anni, il 15 marzo 1835. Compose anche molta musica di chiesa e parecchie ariette italiane, s. d. g. 32 G. GOT. FERRAKI ignorantelli avean preso il loro posto, e per conse- guenza gli affari della Repubblica andavano a rom- picollo. Un giorno vidersi fissate sopra una porta del Palazzo Ducale le qui sotto iniziali : P P P I 1 I R R R G Questi dettero gran sospetto e timore ai nuovi Senatori. Ecco le spie in ballo : denunzie secrete una sopra l'altra ; arresti dapertutto. Finalmente offrirono una somma grande di danaro, e il perdono a chi spiegherebbe il significato delle suddette lettere. L'autore di esse non aveva bisogno di denaro e neppur si sarebbe fidato del promesso perdono. In conseguenza, qualche tempo dopo, fé' comparir le iniziali riempite così .' Patres Patriae Perierunt. luvENES Ignari Imperant. Respublica Recens RuiT Gratis COLLEZ. SETTECENTESCA FERRARI - Aneddoti. o Pi O o Di o ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI :^3 CAPITOLO IV. PROMESSA DI MATRIMONIO - RITORNO A ROVEREDO — MORTE DI MIA MADRE - SITUAZIONE SCABROSA DI MIO PADRE. I OCHI mesi prima di lasciar Verona fui invi- tato alle nozze dei due fratelli di don Pandolfi che secolui facean famiglia nella stessa casa, e vedendo eh' eglmo erano così contenti e felici, mi saltò in testa di pigliar moglie anch' io. Confidai tal progetto al mio amico Gujerotti , ed ei mi propose sua sorella Giuditta , che stava in pen- sione in un convento di monache. Io gli dissi che voleva prima conoscerla e farmi conoscere. Le scrisse dunque, ed essa con piccola mancia sedusse la so- rella portinaia a lasciarmi entrare con suo fratello nel parlatorio. Era già pronta la verginella : si pre- senta al cancello, io le fo' una riverenza, essa me la rende : servo suo ! ^ serva sua ! Mi piacque, le piacqui, e con un sorrisetto reciproco e senz' altri discorsi ci demmo parola di sposi. Aveva essa un- dici, io tredici anni e mezzo. Nell'uscire dal parla- torio entrammo in bocca al lupo : la madre priora stava a una finestra. Ci vide, s'insospettì, e ne fé' consapevole la famiglia del mio amico, e da quel G. G. Fkbrari. — Aneddoti. 3 3+ (ì. GOT. KKKKARI momento in poi non ho più veduta la mia cara spo- setta. Minerebbe all'eccesso, perchè era veramente bellissima, e sin che stetti a Verona non cessai di bramarla. Che sia divenuto del suo precipitato amore noi so ; so che il mio deve essersi svanito per viag- gio, poiché giunto a Roveredo non pensai più a Giuditta. Egli è facile immaginare la consolazione e il di- letto che provai nel rivedere la mia patria e nel- l'abbracciare i miei genitori e parenti, ma l'ansietà di dar pruova dei miei progressi nella musica e più ancora di far udire la mia voce argentina e sopra acuta, superava tutto. Io sperava di indurre mio padre a lasciarmi dare interamente alla musica in- vece del commercio : ma il colpo andò a vuoto. Mia madre, ansiosa al pari di me di sentirmi e farmi sentire , avea combinato pel mio arrivo una piccola accademia, invitando alcuni amici tra' quali il Pulii, mio primo maestro. Nel mettermi a cantare mi sentii rauco. Provai e riprovai, ma inutilmente, anzi non potevo attac- care una nota. Accostossi a me il Pulii, che come vecchio di mestiere avea già scoperto dal mio par- lare che io stava in sul cambio della voce, ed es©r- tommi a non isf orzarla, perchè l'avrei potuta per- dere. Piansi come un bambino, né potei più far ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 35 nulla quella sera. Per consolarmi il buon padre mi permise di prender lezione di flauto dal signor Fran- cesco Untersteiner, sonatore della misericordia ! Pure in capo a qualche mese io sonava passabilmente le cose di quei tempi e con flauto a chiave sola. Mia madre tentò allora di ricominciar le sue celie tra il Padre Salesio e la madre Teresa, senz'avve- dersi che l'aver vissuto due anni consecutivi in una città grande mi aveva aperto un po' gli occhi e la mente e che le mie idee incominciavano a svilupparsi. La compiacqui però una volta sola e andai a con- fessarmi secolei dal Salesio, poi la sera mi lasciò a solo a solo nel parlatorio con Teresa. Questa, secondo avea fatto prima, mi disse i miei peccati : io la ringraziai ironicamente, indi mirandola con astuzia le feci l'occhietto. Divenne ella rossa come un gambero, e scappò via subito per render conto a mia madre dei miei detti e gesti, lo allora m'insospettii, e ri- tornando a casa dichiarai a mia madre che io voleva cambiar di confessore e che era in età troppo avan- zata per dar retta alle chiacchiere d'una chietina. Ciò fu abbastanza perchè io non sentissi parlare più di Salesio, ne di Teresa. Sino a quel tempo le faccende di mio padre andavan col vento in poppa : egli avea risparmiato del denaro, comprato un bel campo, e un fìlatajo 36 G. GOT. FERRARI o molino da seta, dove teneva impiegate talora sino a venticinque e più persone. Avea pure stabilito due fratelli a Verona, uno sensale, l'altro mercante di seta, che gli costaron di bei quattrini. Ma la sua prima disgrazia fu il prendere in casa e come socio suo fratello Giambattista, e di cambiar la Ditta di Francesco & C. in Fratelli Ferrari. Aveva il Giambattista moglie, due figlie ed un figlio, il qual divenne pai il martello di mio padre e dei miei fratelli e di me stesso. Qualche tempo dopo morì il detto mio zio, e mio padre ebbe la debolezza di prendere per socio il di lui figlio, di accordargli cinquecento fiorini all'anno di salario, un interesse nei profitti, casa franca eccetera eccetera. Gli procurò pure in isposa la signora Teresa Fuiten di Trento, erede di trentamila fiorini, la qual somma fu data al cugino sotto la responsabilità di mio padre. Eravamo allora quattro fratelli in vita, e quattro sorelle, due delle quali gemelle che poi moriron nell'infanzia. Eranvi ancor due bocche da forno a mantenere : lo zio prete e la zia nubile, i quali favoriti da natura di un appetito felice e di un gusto soprafino se la disimpegnavano a meraviglia, sce- gliendo i migliori cibi ed i migliori vini, tanto più che niente lor costavano. 11 peggio poi che potesse occorrere al mio geni- ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 37 tore fu di perder la sua consorte : finì essa di vivere alla prematura età di anni trehtasette, lasciando il marito nella più gran desolazione e tutti gli affari della sua numerosa famiglia sossopra. Fu compianta mia madre non solo dai suoi parenti ma da ognun che la conosceva ; perchè sebben di soverchio divota come già dissi avea però un cuor generoso e ac- cudiva a tutto ciò che spettava alla sua famiglia come una donna di casa la più attiva ed economica. La situazione di mio padre divenne allora da far pietà. Mio zio prete non si occupava che di far del buon vino : andava al passeggio, alla caccia, in confessionario, e ogni sera, a giocare a trionfo o a tressette, in casa Vigagnoni, colle sue penitenti. Mia zia era sempre col rosario, coH'uffizio della Madonna in mano, o colle dita nell'acqua santa allorché ve- deva una pila. Le mie due sorelle che restavano erano malaticce e chietine al non plus ultra . Mio cugino, bacchettone ed ipocrita tirava avanti aspet- tando di disfarsi di suo zio e benefattore. Di quattro * Non mi scorderò mai di mia sorella Barbara quando la condussi a Saco per sentirvi un'Opera buffa, eseguita a meravig.ia dai nobili dilet- tanti di quel luoghetto : venne ella sola per compiacermi, ma fu osservato da quei che le stavano accanto che non alzò mai gli occhi sul palco- scenico né li mosse dal catechismo che aveva portato seco, e che lesse e rilesse fino a che calò il sipario ! A^. dell' yl. 38 G. GOT. FKRKARI fratelli maschi era io il maggiore, ma ancor troppo giovine per dare assistenza a mio padre : oltre che io odiava il commercio e adorava la musica, e in- vece di frequentare lo scrittoio e le camere delle sete era quasi sempre al clavicembalo o col flauto alle labbra. La mia voce era cambiata e la esercitava ad ogni possa : il Pulii mi consigliava saviamente a non sforzarla negli acuti ma di cercare a poco a poco di unire la voce di petto a quella di testa, o falsetto, per acquistare in tal guisa, diceva egli, il vio- loncello delle voci umane, cioè il Tenore. Ma altri impicci ancora disturbavano non poco il povero ge- nitore. Non essendovi più padrona di casa restavan gli affari di famiglia in balìa delle mie infelici sorelle e della mia macilenta zia, che tutte e tre non con- tavano per una. Io, oltre la distrazione della musica, aveva anche presa l'usanza di andar, di quando in quando, a fare una visita alle lavoratrici di seta, e la lor conversazione m'interessava più che i libri maestri e gli organzini del negozio. Eravi tra quelle ragazzotte una certa Orsolina Vitadèo, figlia di un ^parrucchiere che abitava a due porte della casa di mio padre. Era essa gentile e vistosa e mi dette nell'occhio e mi punse il cuore un po' più della Giuditta di Verona. Se ne accorse la furbettella : ne le increbbe, né fu ingrata. Non potendo io visitare ANKDDOTI PIACEVOLI K INTEIiKSSANTI 39 apertamente una tal famiglia, me la intendeva secolei quando veniva a lavorare la seta. Una sera sul far del bujo uscii da un granajo e rampicai come un gatto sulla casa vicma, poi slan- ciandomi e strascinandomi a gambe aperte su quel tetto, arrivai alla finestra del granajo della mia bella. Saltai dentro, ma nel saltare inciampai nelle teste da parucca e in altri ingombri, facendo un grande strepito. Udì il Vitadèo, e credendo che fossero ladri armossi di un bastone di misura per assalirli, ma la tenera Orsolina, sapendo di che si trattava, e pietosa delle mie ossa, confessò il tutto al genitore. Salì egli nel granajo, e sebben fosse un poco in col- lera, non potè trattenersi dal ridere nel vedermi così impaurito, agitato e confuso della mia imprudenza. Mi sgridò più per essermi esposto al pencolo di cader nella strada che per aver tentato di fare al- l'amore con sua figlia. Questa piangeva di compas- sione per me : ei l'abbracciò, le perdonò, indi accompagnommi dalla sua alla mia casa e mi fé' promettere che non avrei più usato di tali scherzi. Informato di ciò mio padre e di quanto ho detto poc'anzi e vedendo pure che non poteva far di me ciò che bramava, mi propose di andar per due anni nel convento dei Padri Benedettini di Mariaberg, per impararvi la lingua germanica : ma il suo scopo era 40 G. GOT. FERRA HI di allontanarmi dalle tentazioni della musica, dall'Or- solina, e dal bel sesso in generale. E sedotto io dalla gran voglia di viaggiare, dalla curiosità di vivere in un convento e di impararvi una nuova Imgua, senza pensare ad alcuna cosa abbracciai l'offerta di prima giunta e fu stabilita la mia par- tenza pel dì 1 5 di settembre, CAPITOLO V. PARTENZA DA ROVEREDO — BREVE DESCRIZIONE DI BOLZANO E DELLE VALLI CHE CONDUCONO A MA- RIABERG - PARTE DEL SOGGIORNO IN QUEL CON- VENTO—SCUOLA E MUSICA. iJEMPRE intento il mio genitore ad eccitarmi la voglia pel commercio, fece nascer 1' occasione di accompagnarmi egli stesso sino a Bolzano , per darmi il gusto d'assistere a quelle fiere che quat- tro volte all' anno vi si tenevano. Scelse la fiera di S. Bartolomeo, come la più brillante e pia- cevole di tutte. Partimmo dunque posteggiando da Roveredo a Trento, poi San Michele, Egna, Bron- zuolo e infine Bolzano. Questa è una città piuttosto considerevole e ricca, tanto per le sue fiere, quanto per la sua posizione geografica, che le dà il mezzo di trafficare senza gran difficoltà colla Svizzera, Al- ( OLLEZ. SETTLCL.\ lESCA F-RRARI - Aneddoti. o z < N o « S < < Pi o z < cu ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 41 sazia, Baviera, Carinzia, Camicia, e colla parte set- tentrionale dell'Italia. I contorni di Bolzano son pittoreschi ; il suolo è fruttifero, e sebbene a cinquanta miglia al nord da Roveredo pur dobbiam cederle il vanto in fatto di grani, frutta, legumi etc. etc. Le sete e i tabacchi non vaglion molto ma i vini che fanno quei Bolzanesi sono squisiti, e se li be- vono copiosamente in allegria. Hanno essi un pro- verbio che ripetono e che mettono in pratica più volte al giorno : Qui bene hihit bene dormii ; Qui bene dormii non peccai ; ^l qui non peccai in Paradisum volai. Restai colà circa otto giorni, e come io non po- teva essere di alcuna utilità a mio padre gli chiesi il permesso di andarmene al mio destino : ei me lo concesse, e partii con cavallo, sedia e guida, rac- comandato al Reverendo Padre Priore e a Mon- signore il Prelato e Reverendissimo Padre Abate dei Benedettini di Mariaberg. Questo convento tro- vasi nella Val Venosta, a cento miglia giuste da Bolzano. Stemmo tre giorni in viaggio per arrivarvi ; non fu molto, considerando che le strade sono 42 (i. GOT. FERKARI rapinose, mal tenute, e quasi sempre saglienti. Ot- tanta delle mentovate miglia offrono una monotonia j perpetua : si passa per la lugubre e spopolata città di Merano, che darebbe l'ipocondria ad un Pulci- nella : dopo cui s'entra e si esce da valle in valle, non iscoprendo che la stessa sorta di alberi, verdura e rocche : si fan talvolta dalle dieci alle quindici j miglia senza vedere una casa o ruina vivente ; una specie di fiumicello scorre continuamente lento e muto, che vi dà freddo, anzi vi agghiaccia. Ma a Val Venosta però cambia il teatro comple- tamente di scena. Slaunders è il primo villaggio che si trova a mano dritta, fabbricato sopra una gran rocca ; di là vedesi poco lungi la cittadina di Glu- rentz, eretta in quadrato, cinta da mura e con quattro porte laterali ma che son sempre aperte e senza sentinella alcuna : stava sotto gli ordini d'un capitano che non aveva altri soldati da comandare che sua moglie e i suoi figli. Al di là da Glurentz si presenta l'imboccatura della Valle Enghedina, che conduce in poche ore a Choira, capitale dei Gri- gioni. Dirimpetto, e a tre miglia da Slaunders, af- facciansi in prospettiva elegante e pomposa la Chiesa e il Convento di Mariaberg, situati a un miglio per- i pendicolare di altezza sopra la pianura della valle. Al pie' di quella montagna vedesi il villaggio di ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 43 Purgaitz che contiene poche case ma una bella Chiesetta ed un fortino dove risiede un giudice con due soldati invalidi, i quali non hanno altro da fare che mangiare bere e dormire, poiché non si è mai dato esempio che quegli eroi siano stati chiamati fuori per una rissa, un furto, o un omicidio. I buoni abitanti di quelle valli essendo così buoni, religiosi ed onesti non fa d'uopo di forza per tenerli in pace. Sono inoltre così devoti al loro Sovrano come i Lazzaroni napoletani a San Gennaro ; e se si tro- van malati o in isfortuna chiaman Dio in soccorso acciò prieghi l'imperadore d'accordar loro la grazia di cui han bisogno. Se si offre loro l'elemosina di un sol quattrino, vi caricano, vi molestan quasi di ringraziamenti e benedizioni ; e dicono nel lor lin- guaggio contadinesco e dal fondo del loro cuore : %)ergelt's God in Himmel ham ; vergelt's God, truila, traila, tansend male : « Dio vi renda grazie su in cielo. Dio vi renda grazie tre volte, tre volte, mille volte ! » . Nel vederli la domenica alla messa con che devozione si genuflettono, come s'inchinano alla consecrazione, elevazione e comunione, baciando persin la terra e dandosi al petto dei colpi tremendi di contrizione come se avessero commesso peccati orribili ella è cosa da edificare e da far ridere as- sieme ! O beati montanari, quanto v'ammiro e in- 44 tì. GOT. FKRRARI vidio e quanto parmi vi sian bene applicate queste due strofe : Felice età dell'oro, bella innocenza antica, quando al piacer nemica non era la virtù ! Dal fasto e dal decoro noi ci troviamo oppressi, e ci facciam noi stessi la nostra servitù! METASTASIO, Demetrio. Lasciai a Purgaitz la mia guida e il mio equi- paggio e mi portai a piedi a Mariaberg, essendo la strada troppo erta e sassosa per salirvi in vettura. Entrato nel Monastero inviai le mie raccomandatizie a chi spettavansi e fui accolto con la più grande affabilità. Il padre Priore mi presentò a sua Rive- renza il Prelato davanti al quale, secondo il co- stume, chinai il ginocchio dritto, baciandogli l'anello risplendente e benedetto che portava. Fui poscia introdotto dal maestro di scuola, il padre Mariano Stecker, giovine di venticinque anni, d'estrazione contadinesca, ma d'ottimi costumi. Aveva egli il naso aquilino, gli occhi grigi, i capelli rossi, ma sull'in- sieme una fisionomia dolce e piacevole. Non sapeva ANEDDOTI PIACEVOLI K INTERESSANTI 45 la lingua italiana ed io non conosceva affatto la tedesca : sicché ce la intendemmo da principio col poco di latino che io aveva imparato. Ma non pas- sarono molte settimane ch'io mi faceva capire a meraviglia neìY elegante dialetto Alemanno -Tirolese. ^ La indovinò mio padre nel mandarmi colà, accioc- ché io fossi in salvo dal bel sesso mentre non v'erano in quel luogo altre donne che tre vecchie paesanacce per munger le vacche, per far la crema e il burro, per lavar la biancheria e per altre faccende consi- mili femminili : ma la sbagliò solennemente nel cre- dere di allontanarmi dalla musica. La regola di quello stabilimento era di non ammettervi nessun frate da messa né chierico se non sapeva cantare, o suonare qualche stromento all'improvviso ; i laici poi vi erano ammessi come portinai cuochi o servi- tori, e senza saper la musica ; ma vi eran sempre venti e più padri e fratelli musicanti che prendevano in pensione trentadue scolari, provveduti di tutto, eccetto il vino, e senza buone mani o regali, per la sola somma di fiorini novanta all'anno per testa, obligandosi, oltre il mantenimento, d'istruirli nelle ^ Era Stecker già in quel tempo un gran musicante, e a forza di stu- diare il Fux ed altri teorici maestri divenne in seguito un gran compo- sitore specialmente per le fughe d'organo. N. dell' jl. 46 G. GOT. FERRARI lingue tedesca e latina, nell'aritmetica e in qualun- que ramo di musica esercitato da essi monaci. Non passava giorno che non ci fosse qualche fun- zione in musica nella chiesa di quella Madonna. Presi subito lezione di violino e viola e di un poco di violone e corno da caccia. Nelle ore di mezze va- canze della scuola il Padre Stecker aveva la bontà di darmi di tratto in tratto qualche lezione di cem- balo, o mi permetteva di esercitarmi sul suo instru- mento. Era questo una spinetta o sordina a tre ottave e mezza, solamente con martelli di latta. Malgrado della povertà dell' instrumento quante volte mi dilettai nel sentirvi eseguire le sonate di Schubert, di Metzger etc. , le fughe di Hàndel , dei Bach etc, ma con che precisione e con che anima quel frate le suonava ! Aveva egli una raccolta preziosa di musica carpita e copiata da lui stesso, e permetteva di copiare anche a me tutto quel che mi gradiva. Non tardò molto che divenni il confidente e l'aiutante dei furti musicali di Stecker. Tra i monaci di quel convento eravi un certo padre Bonifazio , uomo il più pingue che io abbia mai veduto. Il suo corpo somigliava ad una botte, gli ondeggiava il mento sino alla metà del petto, le sue mani parevan due cuscini di piume e le dita come tanti salami di Verona. Sonava il violino e il ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 47 cembalo come un zampognaro, e cantava come un barbagianni. Pure era ricco da se, e spendeva del gran denaro per procacciarsi da Lipsia, Francoforte e Manheim la musica pubblicata e nuova che gli conveniva. Fece pure venire da Augusta un gran pianoforte a coda e a quattro ottave e mezza, fe- nomeno non ancor veduto in allora nel Tirolo, Il padre Mariano era intimo amico del padre Priore: questi (secondo la regola di quell'istituzione) possedeva un grimaldello col dritto d'aprir a sua voglia tutte le camere da letto del Convento. Imprestava di tempo in tempo tal chiave al mio maestro , il quale , non tenuto ai doveri notturni di quei monaci, sceglieva il momento d' aprir la camera di Bonifazio quando essi erano ai primi mattutini : prendeva e portava nella scuola la musica che bramava: indi la copiava in abbreviatura : ai secondi mattutini la riportava nella suddetta camera, senza che il proprietario se ne po- tesse accorgere. Oltre ciò il padre Mariano visitava qualche volta il padre Bonifazio e suonava sul suo pianoforte le operette copiate. Il deluso Bonifazio ar- rabbiava, non sapendo come un altro avesse la musica che credeva possedere egli solo. Appena ch'io fui informato d'un tal rigiro offersi la mia assistenza, che fu accettata con piacere. Ve- niva Stecker a risvegliarmi sovenle a mezzanotte 48 G. GOT. FERRARI ed io m'alzava, pronto come un cagnolino e contento e felice di truffare onestamente la musica di chi non potea farne buon uso. Ebbi gran difficoltà nel principio , ma poi presi la mano e l'occhio alla maniera d'abbreviare, e scri- veva tanto presto quanto il mio precettore : e il co- piare in quel modo tre sonate per cembalo o pia- noforte in un'ora non significava gran cosa per noi. Egli è vero che quella musica non era così lunga, ne così caricata di note ed accidenti come la pre- sente. Io aveva inoltre il piacere di far colazione tutte le domeniche col mio precettore: ei mi trattava con uova fresche, pane arrostito e burro : io lo serviva con del caffè che aveva portato meco da Roveredo, e glie Io faceva non nell'acqua ma nella crema, ciò che produceva una bevanda squisita e che raccomando a tutti i ghiotterelli *. Dopo colazione ci mettevamo ad empir le ab- breviature : poscia in chiesa a far musica : di ritorno a scrivere, a pranzare, a riscrivere; in chiesa ancora, e così si passavano le domeniche, tra la santa reli- ^ La crema di Mariaberg era schiumata da un latte puro di vacca o di capra e non già da un latte (Dio sa di che bestia !) adulterato e corrotto come si vende impunemente in tutte le strade e cascine di Londra! A^. dell' Jl. COLLEZ. SETTECENTESCA FERRAR! - Aeddrti. IL MONASTERO DI MARIENBERG ANKDUOTI PIACEVOLI K INTKRESSANTt 49 gione , tra buoni pasti e musica divina ! Il copiare, l'empir gli abbozzi e il vedere e il sentir eseguire la musica copiata mi fu d'un vantaggio indicibile per leggere all' improvviso. Ma con tali occasioni e tentazioni che cosa poteva io divenire ? Addio scrittorio, addio camere delle sete, addio speranze deluse del mio genitore. Viva la musica ! CAPITOLO VI. CONTINUAZIONE DI MARIABERG - MENSA -- CACCIA. I .A carica del padre Mariano era quella d' i- struire i suoi alunni nelle lingue Tedesca e Latina e nell'aritmetica. Presiedeva tre volte il giorno alla no- stra tavola ed eravam serviti come segue. Ogni giorno, alle sette di mattina, colazione : nei giorni di grasso zuppa di pane con brodo sugoso fatto con carne di camoscio o cervo : a mezzodì pranzo con la stessa sorta di zuppa, bollito colla stessa sorte di carne, intingoli di coniglio, lepre e di molte specie d'uccelletti, come anche di marmotta e ginocchi d'orso, che con salsa di agro dolce fanno il man- giare più delicato e squisito. Arrosti di ogni specie di salvaggiume ivi cacciato, incominciando dalla starna fino al cervo. Le carni di beccaria e il pollame non G. G. Fkrkabi. — Aneddoti .4 50 O. GOT. FKRKAUI si consumavano che nei giorni di gran festa , come pure 1 legumi e le frutta che si facevano venire da lontano e a caro prezzo. Alle sette della sera si ce- nava, e la cena era, fuori dell'intingolo, una ripeti- zione del pranzo. Nei giorni di magro poi eravam serviti ancor meglio : una zuppa di erbaggi, di orzo o biada con burro ed uova fresche sbattute : Ca- nedlen o K tósse, specie di ravioli; Nudlen, specie di maccheroni conditi pure con burro, uova ed aromati, pasticcetti di ogni sorta, una varietà di pesci d'acqua dolce tra i quali una specie somigliante allo sgombro chiamato ^ngedeiner fish, la cui carne è rossa, salata da natura e saporitissima. Nei giorni di mezze vacanze o di festa ci rega- lavano una due o tre pietanze extra che si divora- van tutte una dopo l'altra come se niente fosse : ma l'aria serena, l'acqua cristallina di quel luogo, le ram- picate e i salti che si facevano per quelle rupi avreb- bero dato fame ad uno svogliato e fatto digerir l'acciaio. Parrà forse strano come si poteva mantenere così bene una tale scuola e ad un prezzo così basso : ma quei venerabili monaci non pensavano al lucro, ma solo a consumare le loro entrate e ad istruire la gioventù. Erano pure caritatevoli al maggior segno : viaggiavano delle miglia per soccorrere qualcuno che avessero sa- puto essere nell'indigenza: visitavano gl'infermi, prò- ANEDDOTI PJACKVOLI E INXEKESSANTI 51 curavano di consolarli, e amministravano loro i sa- cramenti quando era necessario. In convento non mancavano mai di assistere alle loro preghiere di giorno e di notte. Fatti i loro doveri erano sempre piacevoli e giocosi; si divertivano ora facendo musica, ora alla passeggiata o alla caccia, ora giocando al bigliardo o alle chiglie e terminando sempre con un pranzo o una cena ristorante che la provvidenza ad essi mandava e che facean partecipare ai loro amici. In- somma erano religiosi veri, non trappisti ne bacchettoni. Mantenevano quattro esperti e robusti cacciatori per tirare principalmente ai camosci e cervi che ivi ab- bondano, e tal caccia si fa in quel paese nel modo seguente. Van fuori i cacciatori a vicenda a due a due ciascuno con una banderuola in saccoccia e armati di un fucile a due canne, con pane, formaggio, ac- quavite e una zucca piena d'acqua fresca; e con tali provvigioni restano talvolta tra quelle selve, rocche e montagne e in mezzo alla neve sino a tre e quattro giorni, ne mai ritornano senza preda. Allorché veggono di lontano uno sciame di cervi o camosci spiegano la banderuola per sapere da dove viene il vento, che se spirasse verso quegli animali sentendo essi l'odore dell'uomo se ne fuggirebbero sul momento ad una 52 G. GOT. FERRARI gran distanza e per conseguenza i cacciatori sarebbero obligati di far dei gran giri per sorprenderli. Dormono quei montanari sotto un albero, una rocca o una spelonca, e quando son di ritorno escono gli altri due, e così via via. Nell'inverno vanno anche alla caccia degli orsi neri che si trovano in quelle più alte e gelate montagne . Vanno fuori allora tutti e quattro assieme muniti d'un paio di scarponi ferrati a ghiaccio, col solito fucile ma con baionetta e con coltello da saccoccia la cui punta è ricurva aguzza e tagliente come un rasoio. Sanno già presso a poco dove albergano gh orsi, e colà si portano. Appena scoperta o una tana o caverna, tre di essi si nascondono alla meglio, il quarto lascia il suo fucile ai compagni e si avanza un poco col suo coltello che porta in un fodero nella saccoccia laterale e mezza aperta dei suoi calzoni. Sentendo l'orso l'odore del- l'uomo esce pian piano dalla tana e si fa avanti con apparenza amichevole : ma quando egli è vicino ei ^ Credesi generalmente che gli orsi di quella razza non siano carni- vori né sanguinarli e che stiano (soprattutto le femmine) tre e quattro mesi dell'inverno senz'alimento sostenuti dal loro grasso, dal non far moto e dal non traspirare. Quei cacciatori però dicevano che gli avevan veduti più volte uccidere degli animali, succiando loro il sangue, e che le loro tane e caverne erano piene di frutta salvatiche, di erbaggi, radici etc. ma così ben tenute e in salvo dalle intemperie che parevano poste lì dalla mano dell'uomo. ^AC. dell' A. ANED1>0TI PIACEVOLI E INTERKSSANTI 53 si rizza in piedi e lo abbraccia non già per isbra- narlo, ma solo per succiargli il sangue : il cacciatore si lascia abbracciare, ma prima che l'orso abbia spun- tato gli artigli o aperta la bocca, egli è già ferito mortalmente dal coltello fatale con cui il cacciatore gli apre e lacera furtivamente il ventre : sviene in sul punto la povera bestia e cade addietro: sorven- gono immantinente i nascosti compagni e lo finiscono senza che se ne accorgga ne soffra alcuno spasimo. Talvolta l'orsa timida o inquieta si affaccia dalla ca- verna, e vedendo il padre de' suoi figli trucidato e temendo per essi si slancia furibonda per assalire, ma resta sempre vittima delle baionette o fucilate. Allora entrano i cacciatori nella tana, legano gli orsotti con delle corde e li conducono o trascinano al convento. Giunti colà si mettono a strillare e a saltar come matti, gettando i loro cappelli verdi in aria e con- tenti e gioiosi come se avessero un tesoro. Il dispensiere gli accoglie con gaudio, e li tratta con un pranzo alla Mariaberg, e con vini eccellenti che essi prefe- riscono di molto all'acquavite. 54 (}. GOT. FERRA UI CAPITOLO VII. SECONDO MATRIMONIO DI MIO PADRE — FANATISMO PER LA MUSICA SACRA PER L' ORGANO E PER LA RELIGIONE. LJn anno dopo il mio arrivo a Mariaberg mi fece parte mio padre che aveva preso in seconda moglie la signora Francesca Goliardi, vedova del fu suo intimo amico, e madre d'una ricca erede di nome Catterinetta ; che avea concluso quel matrimonio tanto per la necessità di avere una donna di casa, quanto per facilitare a suo tempo le mie nozze con la figlia, la cui fortuna ci avrebbe dato il mezzo di dare scaccomatto a suo nipote, che lo annoiava perpetuamente. Ciò non mi recò meraviglia, perchè, poco tempo dopo il mio ri- torno da Verona, aveva già avuto più di un indizio di un tal progetto. Ma la Catterinetta non mi piaceva, ne mai mi piacque, onde l'affare andò a monte. Risposi a mio padre che in quel momento io non aveva il minimo desiderio di prender moglie, e che se aveva dimostrato qualche inclinazione per le zitelle ciò non era stata che una cosa passeggiera. Infatti il mio trasporto per la musica aumentava giornalmente, ed era incoraggiato dai progressi che io faceva sui nuovi stromenti e dalle approvazioni ANEDDOTI PIACKVOM K INTERESSANTI 5 5 che ne riceveva, così che io non pensava più ad altro. Presi in oltre affezione per la musica da chiesa, e le messe, le antifone etc. che vi sentiva di Seifert, Seidelmaun, Abate Vogler, e soprattutto quelle del Padre Arauss, che mi toccavano all' eccesso. Eravi un organo superbo, ed un certo padre Giuseppe lo sonava divinamente. Prendeva egli un soggetto dal principio, dal mezzo o dalla fine d' un pezzo di musica esa- guito un momento prima, e come se preludiasse ex tempore ne tirava una fughetta deliziosa, e così ben modulata e concatenata da rapire. Ma un'altra passione non meno violenta della musica si sviluppò in me e si impadronì della mia mente e del mio cuore: la Religione ! Ogni giorno, or per do- vere, or per diporto, io serviva una due o tre messe, assisteva a tutte le funzioni ecclesiastiche, aveva per confessore un vecchio venerando e liberale, che dopo uditi i miei peccati mi dava uno schiaffetto dicendo: Ego te absolvo. La musica sacra non mi facea più provare un sentimento di piacere, ma di religione : il padre Giuseppe col suo organo mi facea ardere e gelare nello stesso punto. La chiesa di Mariaberg era spaziosa ed ornata elegantemente. Sull'altare mag- giore erano posati quattro scheletri di martiri coperti da una tela dipinta su cui erano rappresentati. Nei giorni di gran festa si scoprivano, ed allora compa- 56 G. GOT. FKRRAKI ri vano in una gran cassa vetrata sul davanti, ma così ben conservati che parevan scolpiti in marmo. In mezzo ad essi il tabernacolo, sopra cui una gran croce d'oro : la chiesa era a tre navi, e a ciascuna delle due laterali eranvi tre altari, tutti consacrati a sei Vergini differenti: il primo altare a mano dritta era dedicato alla Madonna della neve, rappresentata come un fantoccio di cera , vestita graziosamente di raso bianco, con orecchini e croce di diamanti, e con collana e smanigli di perle. Presi questa per la mia santa tutelare, e andava ogni sera a prendere il per- dono davanti al suo altare: quasi ogni notte sognava il Paradiso e mi pareva vedervi Angeli, Arcangeli, Serafini, Cherubini e la mia Madonnina fra essi. Tanto era cresciuto il mio fanatismo per la reli- gione che avendo scoperto dove i monaci tenevano le loro discipline mi levai di nascosto una notte e mezzo vestito e pian pianino andai a prenderle : e mi battei a spalle nude sino a che feci sangue, poi mi cinsi la schiena ed i fianchi con un cilizio d'ac- ciaio pungente e mi coricai. La mattina appresso quando venne il servo a fare i letti, trovando il mio capezzale e i miei lenzuoli insanguinati ne fé' parte al maestro di scuola. Mi chiamò Stecker nella sua cella e mi chiese come ciò fosse accaduto. Io avrei voluto nascondere ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 57 il mio giochetto ma divenni rosso e dovetti confessare il fatto. Sorrise Mariano e mi raccomandò seriamente a non far più tali cose; adducendo che le discipline ed i cilizii non erano che ciarlatanerie usate da ipo- criti o superstiziosi , che non avevano da far nulla con la vera religione, e che se io non prendeva il suo consiglio in tempo avrei perduto il cervello come hanno fatto tanti, ne sarei mai stato utile alla società, ai bisognosi e a me stesso. Tai sentimenti detti ed espressi da un uomo che io amava e venerava mi colpirono a segno che da quel tempo in poi non pensai più a discipline, o cilizii, ne a tante altre balordaggini da superstiziosi, e fin tanto che soggiornai in quel monastero fui sempre contento e felice come non lo sono poi più stato ne sarò mai. CAPITOLO Vili. FESTA TEATRALE RELIGIOSA AL PADRE ABATE ED AI MONACI DI MARIABERG. OENSIBILI e contenti gli abitatori di tutti quei dintorni ai favori, alle generosità, ed elemosine che i filantropi benedettini continuamente spargevano in ogni parte risolverono di dar loro una festa teatrale. Il giudice di Purgaitz, il capitano di Glurentz, l'oste di Slaunders e il signor barbiere (der Herr 58 G. GOT. FKRRAKl ^arbier) del convento si misero alla testa di quella intrapresa e in poche settimane fecero una colletta di più di cinquecento fiormi. Alcuni signori di Choira e Merano, aderenti di quei monaci, contribuirono il più in tale occasione e vi si portarono in folla. Il signor Barbiere, alla barba delle Muse, si fé' animo di scrivere il Poema, o per dir meglio il Programma, a cui diede per titolo L'arca di <^oè, in un atto solo. Non essendovi in quei villaggi una sala bastante- mente grande per servire da teatrino provvisorio, offerse l'oste di Slaunders il suo cortile, unito al granaio, il quale fu convertito in palcoscenico ed il cortile in platea, circondata da tavole, coperta da tende ed ornata con rami d'albero, corna di cervo e pelli d'orso: ornamenti molto usati in tutte le osterie di quei paesi. Nel fronte della platea eravi una poltrona desti- nata pel Padre Abate, con sedie ai due lati per dodici dei suoi monaci ; diverse file di banchi pei forestieri e benestanti del paese, indi un gran palco per la gente comune alla quale i direttori avevano favorito l'ingresso. Il palcoscenico rappresentava 1 in- terno aperto dell'Arca, e vedendo l'autore che non vi poteva introdurre tutti gli animali creati pensò bene di farne abbozzare una gran quantità sulle scene. Fuori del fondo dell'Arca vedevasi il mare, il sole ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 59 a dritta, la luna a sinistra, e diverse stelle rilucenti sparse qua e là. Sul davanti del palcoscenico stava da un lato la porta del Paradiso dipinta in azzurro, e dall'altro lato la porta dell'inferno dipinta in rosso. Sei personaggi di ogni sesso furon gli attori i quali travestendosi tante e tante volte ne fecero comparire più di sessanta : ne v'è, per così dire, classe, pro- fessione o rango di società che non sia comparso su quello scenario. Un'ora prima di cominciare era già la platea piena di spettatori. All'arrivo del Prelato e dei suoi mo- naci si levaron tutti e li applaudirono con le più vive acclamazioni. All'alzar del sipario comparvero sulla scena sei montanari vestiti da cacciatori e sei con- tadine, vestite da signore. Dopo fatta una riverenza al Padre Abate cominciarono a cantar delle loro melodie nazionali, ma molto bene e con gusto na- turale ed esattezza; poi a valzare facendo delle at- titudini e dei movimenti graziosissimi. Indi la metà di essi uscì di scena per travestirsi, ed intanto gli altri mangiavano, bevevano e parlavano fra di loro come se fossero stati nei loro tugurii, ne vi fu mai uno che guardasse il pubblico, ne gli addrizzasse una sentenza, una frase, una sola parola. Rientrati in scena i travestiti ne sbucavan degli altri per fare lo stesso, e così avanti, durante quasi tutta la rappresentazione. 60 G. (50T. FERRA KI E ora parlerò dello scioglimento. Avendo avuto l'of- ferta il prediletto drammatico barbiere di far uso di ogni cosa che appartenesse al convento o ai suoi amici, per contribuire alla riuscita del suo sublime poema fece vestire e comparire un di quei montanari col più splendido piviale del Prelato, colla mitria in testa, col pastorale in mano e colla croce di dia- manti che gli premeva sul petto. A mano dritta del fìnto Prelato fé' comparire un altro montanaro vestito con cappello a tre acque guarnito di piume d' ogni colore di uccelli salvatici di quei monti, coll'uniforme d'un invalido, colla sottoveste ricamata del giudice di Purgaitz, con brache di pelle nera, stivali, speroni, una frusta ed una spada al fianco, intendendo in sua testa di rappresentar San Michele. A mano manca fece comparir pure un altro montanaro decorato con due pelli di orso cucite assieme, con due corna di camoscio fissate in sulla testa di una pelle e con tre gran code di volpe attaccate in lungo una all'altra e cucite al codino dell'altra pelle, credendo così di rappresentare il diavolo. Eran seguiti i tre montanari dal giudice , dal capitano , dall' oste e dal barbiere vestiti in gala e colle lor famiglie : indi seguivano gli altri montanari e montanare con abiti da caricatura e da far crepare dalle risa. Avanzossi allora il salvatico Prelato verso la platea. ANEDDOTI PIACEVOLI K INTERESSANTI 61 e gli altri presso a lui : poscia alzando la mano be- nedì il vero Prelato e gli spettatori : al segno della croce fece il diavolo un grido infernale scuotendo furiosamente e le corna e la coda. L'Arcangelo tirò la spada per ucciderlo, ma conoscendo Lucifero la forza di quel brando, e più veloce del santo, spiccò un salto verso la porta dell'inferno e con due o tre cornate la sforzò e vi si buttò dentro. Si videro subito le fiamme , e si sentirono per alcuni secondi urli e gemiti delle anime dannate, che facevano ri- brezzo e terrore. Chiusasi poi la porta dell'inferno si aprì spontaneamente quella del paradiso , e San Michele, rimettendo la spada nel fodero, v'introdusse rispettosamente il suo compagno. Chiusasi anche quella porta comparvero due suonatori, ciascuno con una tromba lunga dieci piedi, fatta di scorza d'albero, e che produce un suono somigliante al così chiamato Corno inglese o voce-umana; suonarono abilmente una melodia patetica ed un valtzer vivace per esprimere che essendo già il diavolo nell'inferno vi sarebbe tutta pace ed allegria su questa terra, e per annunziar nello stesso tempo il ritorno dei celesti viaggiatori. Al suon soave di quella tromba s'inginocchiarono tutti : il sole e la luna, mossi da diversi ordigni invisibili, s'ac- costarono e si toccarono come per baciarsi, e le stelle, mosse pure nello stesso modo, facevano loro cerchio. 62 G. GOT. FERRARI L' entrata dell' inferno fu destramente trasformata in una seconda porta del Paradiso. Cessate le trombe di suonare s'udirono tre colpi di tuono per esprimere la Trinità, e in quel punto s'aprirono ampiamente le due porte, nell'interno delle quali vedevasi un'infinità di fiaccole con ispecchi di dietro, con vetri traspa- renti davanti di mille forme e colori, con emblemi celesti d'intorno e che, col contrasto e splendore degli astri nel fondo, offrivano il più imponente colpo d'oc- chio che si possa vedere. Comparve finalmente il mitrato coli' armato mon- tanaro dalla seconda porta, per mostrare che aveva fatto il giro di tutto il Cielo ; avanzaronsi essi nel mezzo del palcoscenico vicino alla platea , il primo con una superbissima ghirlanda di fiori artificiali , il secondo con un gran ramo d' olivo, pure artifìziale, in mano. Fu presentata la ghirlanda al Padre Priore ed offerto il ramo d' olivo al Superiore : essi d' ac- cordo col poeta misero la ghirlanda in sulla testa e il ramo d'olivo nella mano destra del vero Prelato ; questi alzossi e voltandosi e rivoltandosi all' intorno diede col celeste ramo quattro benedizioni agli spet- tatori. Qui si calò il sipario, ed allora gli applausi, gli strilli ed i pianti di gioia e contento fecero echeg- giare le mura del granaio e del cortile. Fu chiamato sullo scenario l'autore e in quel mentre gli applausi ANEDDOTI PIACEVOLI K INTEKESSANTI 63 si duplicarono e si triplicarono al segno da far rim- bombare tutte quelle valli. Finalmente, dopo d'essersi calmati un momento, saltò fuori una voce esclamando : Es lebe der Herr Barbìer ! Viva il signor barbiere ! Allora tutti in coro ripeterono col più gran trasporto e furore : Viva il signor Barbiere ! CAPITOLO IX. PROGETTO DI FARMI FRATE — RITORNO A BOLZANO E A ROVEREDO. C3uANTO fui grato al mio amico il signor bar- biere per r ammissione favoritami a quello spet- tacolo e quanto vi godei non saprei descrivere. La felicità eh' io vedeva fra quei monaci con- tribuì non poco ad accelerare in me il progetto che aveva già formato di farmi benedettino , e scrissi a mio padre chiedendogliene il permesso. ^ Questo fortunato poeta non era solo il barbiere del convento, ma il chirurgo pure, secondo l'uso di Germania. Aveva formato un piano che gli riuscì a meraviglia. Ogni anno, al primo di gennaio egli faceva prender medicina a tutti i monaci e scolari e preparava gì' ingredienti secondo l'età dell'ammalato o del non malato. AI primo d'aprile cavava sangue a ognuno. Al primo di luglio dava un vomitivo a tutti , e al primo d'ottobre cavava sangue come prima. Durante i due anni che passai a Mariaberg non ho mai sentito parlsu' d'un raffreddore né d'altre mcomodità. N. dell' A. 64 G. GOT. FKRRARI Egli mi rispose che non gli rincresceva punto ch'io nutrissi sentimenti religiosi ma che 1' idea di farmi frate gli pareva una cosa passeggiera come quella dei miei primi amori. La botta fu ben tirata e mi colpi davero. Diceva inoltre mio padre che egli aveva gran bisogno della mia assistenza, tanto per sollevarlo nella sua prossima vecchiaia quanto per aver cura dei miei fratelli di minore età. Soggiungeva che se insistessi nel mio progetto me ne pentirei di sicuro; ma ch'ei si aspettava di vedermi ritornare alla pros- sima fiera di San Bartolomeo guarito interamente dalle inclinazioni fratesche. Io docile e sempre schiavo della persuasione abbandonai l'idea del monastero e mi posi a studiare un po' più la lingua tedesca e r aritmetica per compiacere il mio genitore : senza però lasciare la cara musica. Prima che spirasse il tempo fissato pel mio sog- giorno in quel convento, ricevei l'ordine di trovarmi a Bolzano il 1 5 settembre. Ansioso di riveder mio padre ne provai un gran piacere, ma più mi rincre- sceva di lasciar quel luogo sacro e felice, e quante lagrime sparsi nel momento di partire ! Ma il dolore di un giovinetto è come quello d'un vecchione: passa presto, si dilegua facilmente. Lasciai Mariaberg il dì ordinato, alle cinque di mattina, calcolando che se era stato tre giorni da ANKDUOTX PIACEVOLI E INTERESSANTI 05 Bolzano per arrivarvi salendo, non avrei speso che un giorno per ritornare indietro scendendo , senza pensare che non avrei avuto che un sol cavallo per far tutto il viaggio. Pure mi riuscì. Trovai a Pur- gaitz una carrettella in pronto, con catene di ferro per molle e con un sacco empito di foglie d'albero per cuscino. Il cavallo era robusto, e mi fu dato un cacciatore del convento per iscorta, che supposi più per difendermi dalle aquile o dai falconi che dagli assassini, colà non conosciuti. Appena montato nella mia nobile carrozza pigliai le redini e la frusta e buongiorno a Manaberg, al padre Abate e alla Madonnina della neve : non pensavo più che a ri- veder mio padre. Mi fermai più volte a diverse pic- cole osterie per rinfrescare il cavallo, or con fave, foglie ed acqua , or con pane bigio inzuppato nel vino. A mezza strada mi fermai due ore, ove trovai per esso una buona biada. Il cacciatore, forte come un leone, ma non uso a viaggiare che sulle sue gambe incominciava a lamentarsi che gli dolevano le membra e la schiena : gh feci dare un buon pranzo e del buon vino, e rimontammo in carretta. Continuai ad aver cura del mio poledro, ma giunto a Merano ei non poteva più andare avanti e fui obligato a trat- tenermi ancor due ore. Il cacciatore si trovava scon- quassato da capo a piedi, e durante le ultime qua- O. G. Ferrari. — Aneddoti 5 66 G. GOT. FERRAKI ranta miglia non fece che prender tabacco, fumare, sbadigliare e maledire ad ogni tratto i sassi e le buche che s' incontravano per la strada e che gli davano delle scosse insopportabili. Avvezzo io sin dall' in- fanzia a viaggiare in ogni sorta di vetture con molle di ferro ed anche senza molle, non soffersi la mi- nima cosa, anzi me la godei moltissimo alle spalle del malcapitato cacciatore. Finalmente, alle dieci di sera , arrivammo a Bolzano. Trovai mio padre a cena ed ebbi la felicità di cenar seco. Il dì seguente mi esaminò per assicurarsi se io aveva studiato a Mariaberg, ciò eh' egli desiderava, e restò molto edificato nel vedere che io sapevo sommare, sottrarre, moltiplicare e dividere con fran- chezza, e che lo scrivere una lettera mercantile in italiano o in tedesco non era che un giochetto per me. Egli aveva avuto un' educazione alla buona e prendeva lucciole per lanterne intorno a ciò che faceva suo figlio. Misemi subito alla corrispondenza, mi mostrò il modo di tenere i libri e il quaderno delle fiere ; mi fece conoscere le monete diverse che vi si trafficavano e mi mandò di qua e di là a ri- scuotere il denaro o a pagare. L'uso in Bolzano di far pagamenti era di mandar fuori uno del negozio con dei sacchi pieni di argento e dei viluppi di oro; ma per non portare un tal peso intorno alla città ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 67 se ne deponevano alcuni sul banco d'un caffè cen- trale dove la padrona serviva il caffè, e le si diceva : « Qeben sie acht ! (Fate attenzione !) » ed ella ri- spondeva : « /a, ja ! (Sì, sì !) » . Si portava il resto dov'era destinato e si ritornava a riprendere ciò che si era lasciato sul banco. Vi si vedevano talvolta trenta e più sacchi o viluppi appartenenti all'uno e all'altro negoziante, né si è mai sentito parlare di uno sbaglio o di una mancanza. Tempi felici ! Fe- lici paesi ! L'ordine e l'esattezza negli affari ed in ogni cosa era mirabile in Bolzano. Se qualcuno si portava ad un appuntamento cinque minuti dopo l'ora prescritta era ricevuto con disprezzo e mala grazia. Se uno ritardava un pagamento perdeva su- bito il credito. Un invitato a pranzo che fosse ar- rivato tardi bisognava che si contentasse dei residui e senza cerimonie gli si rideva in faccia, declamando il proverbio italiano : Chi tardi arriva male alloggia. Quando si ordinavano cavalli di posta era pronto il postiglione all'ora fissata, ma se dopo due o tre minuti non vedeva né bagagli né viaggiatori egli stac- cava i cavalli, ritornava alla posta e si doveva pa- gare per mezza corsa. Qualche volta io andava con mio padre all'ultima messa delle undici e mezzo : al batter della mezz'ora e prima che il campanello avesse cessato le sue vi- 68 G. GOT. FERRARI brazioni il prete aveva già fatto il segno di croce e detto : Introibo ad altare 'Dei. Oh, che puntua- lità, e che piacere ! Verso il fine della fiera eranvi tre giorni di giro, o cambio, e lo strepito che vi si faceva per negoziare qualche dozzina di migliaia di fiorini era certo più forte di quello che si fa nel cambio di Londra in tre anni, negoziandovi migliaia e milioni di lire sterline. Lasciammo Bolzano il dì ventinove posteggiando sino a San Michele , dove pel gran concorso dei viaggiatori non si trovarono più cavalli di posta. E non volendo mio padre dor- mire in un luogo così malconcio affittò un paio di bovi ed un bovaro per condurci a Trento. Saltai sul sedile con quel villanaccio, e a forza di pungere e tormentare quei poveri animali arrivammo a Trento in due ore di tempo ; e il giorno appresso non mi parve vero di trovarmi nel mio sempre diletto Ro- veredo. CAPITOLO X. MISCUGLIO DI COMMERCIO, MUSICA ED AMORI. ►SCENDEMMO di vettura alla Casa rossa verso il mezzodì e trovammo la famiglia sotto il portico. Secondo il solito veniva a incontrare mio padre , ma così affamati e così curiosi di saper sue nuo- ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 69 ve come s' ei fosse ritornato dagli Antipodi. Mia matrigna m' accolse cordialmente , e più ansiosa di mio padre di farmi sposare sua figlia che avea già dimostrato qualche inclinazione per me, la man- dò a cercare in sul momento per farla pranzare con noi. Ma la povera Catterinetta m'era così anti- patica che la trattai con una freddezza tale che s' avvicinava all' inciviltà. Verso un' ora venne mio cugino al suo posto nello scrittojo ed udendo ch'e- ravamo arrivati salì , e si presentò col suo brutto ceffo su cui si vedevano la bacchettoneria e 1' ipo- crisia scolpite : pure si sforzò d' accoglierci alla meglio. Dopo pranzo mi condusse mio padre in tutte le camere del negozio, agli agenti e lavoranti. Indi mi fece sedere accanto a lui nello scrittojo, e così con- tinuai ora spesso or di rado per circa due anni, frequentando le camere delle sete etc, ma più per obbedienza e rispetto che per amore al commercio. Nel corso di quel tempo avvenne una circostanza un po' singolare nel suo negozio. Ebbe egli in un punto stesso la commissione da Berlino e da Am- sterdam di spedire in quelle piazze due casse di seta tinta pesante ognuna duecento libbre ma di sorta differente. L'incaricato di marcarle prese sbaglio, ed indirizzò la seta destinata per Berlino ad Amster- 70 G. GOT. FERRARI dam e quella di Amsterdam a Berlino. Il corrispon- dente prussiano ebbe lo spirito di vender la seta per conto di mio padre : 1' olandese , invece , sdegnato dello sbaglio rimandò la cassa di ritorno, ma in ciò fare sbagliò egli stesso poiché invece della seta mandò a Roveredo un gran cassone bensì pesante duecento libbre ma pieno di the. Desideroso mio padre d'e- vitar la spesa di rimandar quel cassone ad Amster- dam fece subito cercar lo speziale per giudicare della qualità e del valore di quella mercanzia, come pure per sapere se avrebbe potuto vendersi. Lo speziale trovò il thè bonissimo e vi mise un gran valore, ma nello stesso tempo dichiarò che per consumarne quella quantità in Roveredo e nei contorni ci vorrebbero almeno sessant'anni. Ciò parrà strano agl'inglesi: ma che direbbero i miei compatriotti se sapessero che nella casa delle Indie a Londra si vendono annual- mente all'incanto trenta milioni di libbre di the, ven- ticinque dei quali son consumati nei tre Regni di Sua Maestà Britannica, e che portano alla Dogana fra tre o quattro milioni di sterline d'entrata all'anno ? ^ La maniera di fare e di bere il the in quei paesi è questa : Se ne piglia un pizzico con le dita e si pone in una picciola cocoma piena di acqua fredda : si fa bollire per mezz'ora, indi si passa in uno staccio e si prende caldo con del zucchero rosso come purgante : talvolta si lascia raffreddare, ed allora invece del zucchero vi si spreme del sugo di limone e si piglia come cordiale. N. dell' yl. ANKDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 71 Poco dopo il mio ritorno fui introdotto all'Acca- demia dei Dilettanti e non sapendo alcuno quel che io avessi fatto a Mariaberg restarono tutti attoniti ch'io sapessi sonare non male un quartetto e concerto di flauto e fare da secondo violino o da viola in un quartetto a vista. Fama Volat. Fui subito invitato a Seco e a Foianeghe, villeggiatura del nobil G. M. Fedrigotti, la cui consorte era una vera dama, donna di spirito e liberale. Il signor Giuseppe Maria suo- nava la viola, suo fratello Domenico il flauto, ed il loro fratello Giampietro (ora conte) il violoncello, e cantava con poca voce ma con molta buona grazia. Di ritorno a Roveredo fui introdotto sull' organo della cattedrale di S. Marco dove quasi ogni do- menica ed in altre feste si faceva qualche funzione in musica. Ivi feci furore ed era considerato come una maraviglia o un portento , ne potevano capire come io potessi cantare o sonare ogni cosa all' im- provviso. Ma il furore che io faceva non era troppo lusinghevole per me , perchè i miei ammiratori che costituivano quell'orchestra non erano gran cosa : e siccome la mia critica non può far loro alcun torto così li descrivo liberamente e con tutta la verità e severità possibile. Maestro di cappella don Pasqui, uomo fantastico e villano, pessimo organista e com- positore da sassate : Don Zandonatti suo secondo, 7 2 Q. GOT. FERRARI più esperto in amore che in armonia. I cantanti erano la più parte preti, che strillavano come frati. Primo violino : G, Untersteiner, legale e scolaro di Tartini \ che ci seccava alla morte coi concerti e colle sonate insipide di quel gran teorico e sonatore. Primo dei secondi ; F. Feyer, ex prete, fabbricante di corde armoniche che rastiava come un pettine per farsi sentire. Viola l'ottuagenario Marcotti , che suonava così dolcemente da non far sentire una nota. Vio- loncello l'avvocato Bettini. Violone o contrabbasso F. Ranzi, chiamato il Franzele (Franceschino) delle madri, che tirava giù a campane doppie. Infimo flauto F. Untersteiner che battezzai già primo flauto della misericordia e il cui secondo era un certo Agno- letti, sartore, degno del suo primo. Oboe solo il ma- cilento Laurenzi che suonava come un piffero. Corni di caccia don Graser, bel giovine, e il Tambossi con- ciatore di pelli ed uom robusto. Tromba Checco Corsi ex vetturino mercante di voga. Timpani il Madernini sagrestano di S. Giuseppe , che faceva andare tutta l'orchestra di traverso, battendo sempre ^ Qiuseppe 'Uartini, l'autore della famosa sonata del diavolo, violi- nista e teorico musicale, nacque a 'Pirano, neW Istria, nel 1692; morì a "Padova nel 1770. Fondò a Padova una scuola di violino fio- rentissima, e oi pubblicò pure un Trattato di musica secondo la vera scienza dell'armonia (1754), un metodo L'arte dell'archetto, e i Prin- cipii d'armonia musicale contenuta nel genere diatonico (ì 759). s. d. g. ANEDDOTI PIACKVOLI E INTERESSANTI 73 fuor di tempo. Insomma il musicante più puro e più perfetto di loro era il gonfìapalloni che levava i mantici. O Mariaberg ! — dicevo io, perchè non sei dov'è San Marco ? Non dico che la musica di quei frati fosse eseguita coli' espressione e delicatezza dovuta, ma in tanto vi si sentivano le note chiare e giuste, gli accenti, i colori e la misura come un pendolo. Ma quei raschiatori di San Marco parevano tanti ciechi che giocassero al bigliardo ! Egli è certo che la musica mi è stata sempre una gran mezzana , ma allora, e atteso le mie cir- costanze, mi nuoceva non poco. Dov'era per me lo scrittoio ? In casa dei dilettanti di Saco. Dov'erano le camere delle sete ? All'Accademia e sugli organi di Roveredo. Dov'era la voglia di celibato e di farmi frate ? In grembo alle più belle figurine del paese. Io visitava quasi ogni famiglia : le signorine eran tutte affabili con me ed io ero innamorato di ognuna : ecco un'altra tentazione di matrimonio che si mani- festa , ma in che modo ! Una mi piaceva perchè aveva i capelli biondi o castagni, l'altra per gli occhi neri o azzurri : m'incantava di questa la vita snella, m'interessava di quella la gobbetta : di chi mi toc- cava la voce, di chi lo spirito, di chi l'affabilità o la grazia. Insomma l'ultima ch'io vedeva io pensava sempre che dovesse diventare mia sposa. In mezzo 74 G. GOT. FKRRARI a tutto questo mio padre gioiva nel vedermi bene accolto da per tutto, ma gli rincresceva che io mi trovassi così sviato. Mio cugino non avrebbe voluto mai vedermi nel negozio , ma crepava di gelosia e di rabbia nel sapere con che distinzione io era trat- tato in casa Pedngotti. Mia madrigna lagrimava e sospirava perchè io corteggiava or questa or quella senza mai alzar gli occhi sull' adorata sua Catteri- netta. Io stesso vedeva che la mia carriera era in un disordine terribile. Mi feci coraggio e mi deter- minai di abbandonare la musica e gli amori e di mettermi al sodo. Partecipai il mio progetto a mio padre, ei mi abbracciò, m'incoraggiò e, sapendo ch'io desiderava d' imparare la lingua francese, m' offerse un maestro che io accettai con tanto giubilo come se mi avesse offerto una moglie il giorno prima. CAPITOLO XI. STUDIO DI LINGUA FRANCESE — SQUARCI DI POESIA — FACEZIE. IL solo che potesse insegnare la lingua francese in quei tempi a Roveredo era l'amabil signor Don Marco Tazzòli, uomo sopra i sessanta anni, d'il- lustre famiglia, onesto, liberale e pien d' aneddoti e facezie. Fu egli nella sua gioventù segretario pri- ANKDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 75 vato d' un Ambasciatore di Francia alla Corte di Torino, e sapeva il francese forse meglio dell'italiano. Ei mi dette lezione, non tanto per interesse quanto per r amicizia eh' ei portava a mio padre e per la stima e riconoscenza che io gli dimostrava , essendo questo il miglior modo per acquistar l'affezione e le cure inestimabili d' un maestro. Oltre le istruzioni elementari ei mi faceva leggere le lettere di madama di Sevigné, il Telemaco , la morale di Seneca , ed un poco della storia antica di Rolin. Non contento d'insegnarmi la lingua francese, cer- cava di farmi conoscere altre cose utili o piacevoli alla società : io leggeva seco , o copiava squarci di poesia italiana : ei mi raccontava storielle d'ogni sorta, e COSI m'istruiva divertendomi. Eccone qui una che mi disse avere udito dal suo Ambasciatore. Una dama della Corte di Luigi XV uscì un giorno dal palazzo delle Tuilleries per passeggiare nel giardino : era essa al di là dei settant'anni, brutta, imbellettata e con un naso da far paura , però coperta di una veste ricamata e ricchissima, ma fuor di moda, anzi molto antica. Due servitori la seguivano con livrea di gala. Avanzatasi ella un poco nel giardino incontra un cavaliere che si mette a ginocchio davanti a lei e le prende e le bacia l'orlo della veste. I servi vo- levano scacciarlo, ma essa non volle, e dimandò sul 76 G. GOT. FERRARI momento a quel signore che cosa intendesse fare. « Scusate, disse egli sempre in ginocchio e con occhi bassi, scusate, madama se vi ho offesa, ma sappiate che io sono il più grande ammiratore ed il più gran fanatico per le antichità : nel vedere la vostra su- perbissima veste non ho potuto fare a meno di ba- ciarla » . Oh ! — rispose la galante parigina — se non si tratta che di antichità baciate dunque il mio naso che ha venti anni più della mia veste ! » . Levossi l'antiquario, e nel vedere quel pezzo di nasone fece una profonda riverenza e tirò avanti. Conversando un giorno sopra la ricchezza e l'a- varizia di certi individui del paese si sfogò egli contro di essi severissimamente, e raccomandommi d'esser sempre generoso, né mai spilorcio. Vedete come parla il celebre Anacreonte : È duro il non amare ! Duro è l'amare ancor ! Più duro poi mi pare Il non goder d'amor. Sangue, saper, costume E indifferente o vii : Solo dell'oro il lume Sembra, in amor, gentil. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 77 Pera per sempre quello Che prima l'oro amò : Il padre ed il fratello Per l'oro ex non curò. Oggi ogni mal funesto Solo dell'oro è don : E, quel ch'è più, per questo Gli amanti più non son ! I sentimenti di quest' ode, uniti alle disposizioni che io aveva già succiate dalla liberalità di mio padre , mi fecero colpo , ma in seguito mi furono fatali , poiché sin da quel tempo non mi curai più del denaro che per ispenderlo. Un altro giorno chiesi al maestro quale era la ragione per cui io non sentiva che lamenti e discon- tentezze. Che altri diceva : Che mondo di miserie ! Che valle lagrimosa ! Altri : Non mi curo più della vita ! Vorrei morire ! E ciò da persone che mi sem- brava mangiassero , bevessero e si divertissero alle- gramente. Mi rispose don Marco che io non era ancora in età da conoscere il mondo ne da vedere quello che accadeva nell'interno delle famiglie e dei cuori di coloro che io credeva gioissero allegramente. « Leggete questo squarcio del nostro ammirabile Metastasio, il poeta e filosofo più naturale che abbia 78 G. GOT. FERRARI mai esistito, e avrete una picciola idea delle miserie della vita umana » : Perchè bramar la vita ? E quale in lei Piacer si trova ? Ogni fortuna è pena, E miseria ogni età. Tremiam fanciulli D'un guardo al minacciar : siam gioco adulti Di fortuna e d'amor : gemiam canuti Sotto il peso degli anni ; or ne tormenta La brama d'ottenere : or ne trafigge Di perdere il timor. Eterna guerra Hanno i rei con se stessi : i giusti l'hanno Con l'invidia e la frode. Ombre, deliri, Sogni, follie son nostre cure. E quando Il vergognoso errore A scoprir s'incomincia, allor si muore. DEMOFOONTE. Scoprendo il vecchierello che io cambiava di co- lore, ch'era agitato, che i miei occhi s'empivano di lacrime, fìngendo di non vedermi scrisse sul momento lo scherzo seguente che mi fé' tanto ridere : EPITAFFIO. Giace sepolto in questa oscura fossa Un capron che morì seguendo il gregge : Al pastore lasciò la pelle e l'ossa, E le corna nel fronte a quei che legge. ANEDDOTI PIACEVOM K INTERKSSANTI 79 Mi scrisse pure subito dopo una pasquinata che passò poi in proverbio, diretta ad un famoso pre- dicatore, la cui eloquenza attraeva ogni persona e convertiva i più grandi scellerati, ma la cui condotta privata non era prudente ne esemplare ; cioè che avrebbe detto piuttosto : V'amo ! Vi adoro ! che Dominus vobiscum. La pasquinata è in dialetto milanese e dice : Chi fa quel che i preti diss Va segur in Paradis : Chi fa quel che i preti fa A cà del diavol se ne va. Vedendo ch'io mi divertiva ebbe la compiacenza di narrarmi una storiella non men visibile dell' epi- taffio e della pasquinata. Un povero venditore di Hbri teneva un panchetto in una strada e si sfiatava gridando ogni momento : Compendio della storia an- tica di Rolin ! Compendio della storia di Francia di Millot. Compendio della storia d' Inghilterra di Goldsmith etc. etc. Nissuno comprava un libro. Passò un faceto, ma a cui il libraio ispirava pietà e gli disse ch'ei non avrebbe mai fatto fortuna co' suoi compendi] conosciuti da ognuno , ma che dovrebbe avere una storia completa e nuova e che se voleva glie ne scriverebbe il titolo. L' accettò il venditore 80 G. GOT. FERRARI e l'incognito glie lo scrisse, poi lo consigliò a farlo stampare e ad incollarlo sopra ogni volume eh' ei possedeva. Così fece quel pover'uomo e pochi giorni dopo comparve al banchetto con la sua biblioteca, gridando : Storia completa del nostro padre Adamo, il primo uomo sopra la terra, scritta dal suo pre- cettore. Neil' udire il titolo d'un'opera così bislacca accorsero tutti in folla e senza guardare ne pensare che Adamo non poteva avere avuto un precettore la comprarono e in pochissimo tempo non ve n'era più un esemplare. Furon tutti corbellati, e il libraio fu sorpreso e consolato. Caro quel don Marco! Co- m' era amabile e come conosceva e si dilettava ad istruire e a compiacere la gioventù ! In materia di religione egli era intrepido filosofo morale, e diceva : Sostengo che la religione è la più bella cosa che abbia inventato l'uomo, anzi che abbia rivelato Iddio : tutto è buono nella vera religione, niente v'è di cattivo; Son tanto portato per essa che proteggerei persino i bacchettoni se non avessi osser- vato nel corso di mia vita che essi sono generalmente furbi ed egoisti ; fanno delle elemosine ai poveri per ostentazione, fanno doni alla chiesa per isfarzo, leg- gono il Nuovo Testamento per ipocrisia, ma non mettono in pratica una sola delle tante virtù che contiene ! COLLEZ. SETTECENTESCA FERRARI - Aneddoti . BOLZANO Via del e Foglie ANEDDOTI PIACF.VOM K INTKRKSSANTI HI CAPITOLO XII. INCLINAZIONE DEL COMMERCIO - APERTURA DEL TEA- TRO DI ROVEREDO - NUOVO STUDIO DI LINGUA ITA- LIANA - FRAMMENTI DI POESIA. LiO scopo principale del mio genitore nel farmi imparare il francese era ch'io potessi tenere la cor- rispondenza in quella lingua. Essendo stato quat- tro mesi sotto l'istruzione di don Tazzòli io ne sapevo al di là del bisogno per tale oggetto , ma varie circostanze m' obbligarono di lasciarlo , non però senza gran cordoglio. M' applicai allo- ra sempre più al negozio , alla scrittura doppia, a tenere il quaderno delle fiere etc. ma coltivando sempre la mia diletta musica, tanto più che il com- mercio andava al peggio e che io prevedeva che essa sarebbe stata un giorno il mio pane. Era mio padre soggetto ad una malattia comune del paese, la doglia di mal di petto, e negli ultimi anni di sua vita n'era attaccato una o due volte nell'inverno, che lo teneva ogni volta in pericolo o infermo per sei o sette settimane. In quel frattempo il suo nipote si lagnava aspra- mente che tutto il peso del negozio cadesse su di lui, faceva il padrone assoluto e quando il suo con- G. G. FEmiKni. — Aneddoti. ti 82 G. GOT, FERRARI valescente zio ritornava agli affari ei Io riceveva con aria altera e dispettosa : mio padre soffriva il mar- tirio ed io moriva di passione senza che mi fosse lecito di crocifìggere quell'ingrato ! Vicino ad una fiera di Bolzano, detta del Corpus T)ommi, trovaronsi ammalati tutti e due. Fui allora mandato io stesso a far quella fiera con procura Fratelli Ferrari, ciò che lusingò non poco la mia ambizione e il mio amor proprio. Far tratte sopra le prime piazze d'Eu- ropa, accettar cambiali, far pagamenti, ricever de- nari ! Che stimolo fu quello per farmi amare il commercio ! Ma che ! Ritornando dalla fiera trovai a Rove- redo che si facevano le prove di un'opera buffa per l'apertura del teatro ! Giannina e Bernardone ' di Cimarosa fu quella che vi si rappresentò e eh' era piuttosto un pasticcio o centone, che un'opera. Ma non importa, era nuova in quel paese e le novità piaccion da per tutto. La compagnia si poteva chia- mare uno scarto dell'Italia, fuori d'un Fucigna, basso caricato, che non era cattivo attore, e d'una Casalis, prima donna, che non diceva male. Asseriva ella aver ventinove anni, ma si sa quale è il privilegio delle prime donne. Aveva però la carnagione e la ^ Opera che il Cimarosa scrisse, per "Venezia, nel 1785. s. d. g. ANEDDOTI PIACKVOM K IXTKRKSSANTI S?> voce bastantemente fresche. Fu scolara dell'orbo Bet- toni nel Conservatorio dei mendicanti di Venezia, e sapeva il suo mestiere : fece alcuni teatri con ap- plausi in Italia poi andò e restò dieci anni a Dresda rappresentando particolarmente le opere deliziose di Naumian, Schuster, e Mislivezeck . Avendo essa bi- sogno di un maestro che le passasse la parte e non essendovi in Roveredo un tal soggetto mi fece di- mandare se io volessi avere la compiacenza di assi- sterla. Risposi che io era solamente un dilettante, ma che se mi credeva capace l'avrei servita senza ' tNiaumann (Johann Qottlieh) e non Naumian, nato a ^lasewitz, presso Dresda, nel 1741, morì a Dresda nel 1801. Scrisse una Den- tina di opere, oratorii, salmi, messe e mottetti. Il Mislivezeck a cui ac- cenna il Ferrari è certo il Mysliweczer (Qiuseppe), che nacque a Praga, nel 1737, figlio di un mugnaio, e da principio, violinista nelle chiese di 'Praga. Scolaro del famoso organista Segert, pubblicò nel 1 760 le sue prime sinfonie, ch'ebbero grande successo. Fu a "Oenezia nel 1 763, Ju poi chiamato a Napoli, ove scrisse il Bellerofonte, che piacque in- finitamente. Qui a ^ACapoli egli era detto Venturini, oppure il Boemo: vi tornò nove volte, poi fu a Roma, a ^TiCilano. a Bologna, ove nel 1770 s'incontrò con Mozart. Confessava di non sentirsi ispirato che dal cielo d'Italia, come ÌVin^elmann, come "Uhorwaldsen. A Napoli, nel 1778, scrisse la sua famosa Olimpiade, ove è quell'aria indimen- ticabile Se cerca, se dice... Morì a Roma a quarantaquattro anni, nel 1781. Lo Schuster (Giuseppe) maestro dell'Elettore di Sassonia, nacque a Dresda nel 1748. Col Nauman, nel 1765, intraprese un viaggio in Italia. Scrisse pei teatri di Napoli e di Venezia. Morì a 'Dresda nel 1812. Jl Napoli dette Didone abbandonata. L'idolo cinese, Creso in Media e /'Isola disabitata, s. d. g. 84 <;. GOT. FKRRARI alcun interesse, tanto per obbligarla quanto per esser utile all'apertura del teatro. Accettò essa la mia of- ferta, eccitando così la mia ambizione e il mio amor per la musica. Altro che la procura dei Fratelli Ferra- ri! Nell'udirmi chiamare Signor o'^aesiro io mi sentiva esaltato, liquefatto, imbalsamato di gioia e contento. Fui dunque introdotto dalla signora Casalis ed essa mi accolse con la più grande civiltà : le passai la parte con franchezza, poiché il suo quaresimale non era che roba vecchia, non classica, e per con- seguenza, facile a decifrarsi. Dopo che l'opera andò in iscena continuai a frequentare la prima donna, e le ho grandi obbligazioni. Ella mi fé' conoscere, cantare, e accompagnare una quantità di musica dei poc'anzi mentovati maestri, i duetti da camera del padre Martini , le cantate del cavalier Alessandro ' // padre Giov. Ballista Martini è stato il più erudito musicista che il settecento abbia avuto, tacque in Bologna il 25 aprile del 1706 e c'ebbe i primi insegnamenti musicali dal padre, violinista. Mor) nel 1784 a 3 di ottobre. I dizionarii biografici consacrano parecchie pa- gine a questo insigne italiano, autore di quella Storia della musica che anche oggi è un'opera delle più consultale e vantate. Lo Scarlatti (,/llessandro) che il Florimo indica quale fondatore della scuola musicale napoletana e maestro nel Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, ebbe, in verità, predecessori, in fatto di somiglianti fon- dazioni, non da meno di lui: il T^rovenzale, per esempio. ^A^è mai in- segnò ai Poveri di Gesù Cristo : e questo m' hanno dimostrato le mie ricerche recenti nell'archivio, fin qua inesplorato, di quel Conservatoiio, Morì nel 1725. s. d. g. ANEDDOTI PIACKVOLI E INTERESSANTI 85 Scarlatti messe in duetti dal Durante etc. etc. Ve- dendo il trasporto che io avevo per la musica m'in- coraggiò a comporre ed io senza sapere alcuna re- gola cominciai a scrivere delle serenate, e con grande esito per quei buoni Roveretani e Sacardi. Scrissi poscia delle melodie, per flauto, per violino, viola e violoncello, sul genere di Davaux, di Saint-George etc. che io chiamava, com'essi li chiamavano, Quartetti. Mi divertiva pure nel dar lezione per amicizia a questo o quello. 11 principe Venceslao Lichtenstein, Canonico di Bologna, stava allora a Roveredo in casa e sotto la cura del suo ajo, il chiaro Abate Tachi. Sua Altezza fu colà il mio Scolaro prediletto, poiché aveva talento, studiava e mi trattava con la più grande affabilità ! Sentendo apprezzar da pertutto le mie disposizioni musicali, mi determinai di darmi alla musica e d'an- dare a studiarla professionalmente a Napoli appena fossi stato fuori di minorità ! La sola difficoltà che io aveva di andare in Italia era il non saper bene tal lingua ed il parlarla come un veneziano corrotto: ma una circostanza felice mi favorì in questo. Strinsi amicizia con una mia cugina. Annetta Parisi, giovane di buoni costumi e fanatica per la lingua e lettera- tura italiana. Ci volevamo bene, ma molto bene, e senza un partito che le si offerse e ch'ella accettò. 86 G. GOT. FKRRARI credo che da cugini saremmo divenuti consorti : ma il nostro amor nascente passò sott'acqua e restammo in appresso sempre amici veri. Sebbene io avessi l'occasione di vederla quasi tutti i giorni, pure mi scriveva essa delle lettere gentilissime, ma così bene che io aveva vergogna in rispondere. Glie lo dissi, ed essa mi consigliò a prender lezione dal suo maestro. Ne chiesi il permesso a mio padre, ed egli che non sapeva rifiutarmi nulla, me lo concesse. Il Signor Don Giuseppe Pedezzani fu il mio nuovo maestro di lingua italiana. Veniva a darmi lezione in casa dei miei cugini Parisi e seco loro : era egli un po' bisbetico, serio, buffoncello, critico, galante colle signore, satirico con chi non gli andava a genio, ma linguista e letterato di gran merito. Fu poscia ri- conosciuto tale a Verona , a Firenze e per tutta l'Italia. Stetti tre soli mesi sotto le sue istruzioni, e cosi avessi potuto restarci assai più ! Nulla di meno ei mi corresse da quegli errori massicci e triviali di cui era infetto e mi pose in istato di potermi aiutare da me. E se in appresso fui e son capace di farmi intendere ne debbo certo la principale obbligazione al chiaro e severo Pedezzani. M' istruì colla gram- matica del Corticelli e col farmi leggere, copiare ed imparare a mente dei frammenti di prosa e poesia d'autori che fan testo di lingua : se occorreva qual- ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 87 che dubio o difficoltà ei li scioglieva subito ricorrendo ai classici italiani che teneva sulla tavola ove si stu- diava, ma con tal rapidità e franchezza che pareva ch'ei li sapesse tutti a mente. Se mai si presentava qualche voce antica e fuor d'uso ei prendeva allora il Decamerone e con tal pretesto mi lasciava scorrere qualche passo grassetto ma sempre scritto colla pu- rezza di lingua del Boccaccio. Ecco qui alcuni squarci di poesia che da lui raccolsi e che spero non saran disgraditi al lettore: Avarizia. Sen giace qui fra questi marmi unita D'un avciro crudel l'alma meschina, Che pianse, quando morte ebbe vicina. La spesa del sepolcro e non la vita. GIOV. FRANCESCO LOREDANO. Ingratitudine. Donna vidi raminga in nuda arena Languida, ed arsa dal calore estivo, Pianta sorger di pomi e fronde piena, E un ruscello apparir limpido e vivo. 88 G. GOT. FERRA HI Ella assisa alla dolce ombra serena Or di pomi si pasce or beve al rivo : Spirto ripiglia, e ristorata appena E quelli prende e prende questo a schivo. Alfin superba in pie si leva e poi Con atti oltraggia sconoscenti e rei Il ruscello, la pianta e i frutti suoi. Seccansi e l'acqua e i rami in faccia a lei. Pastorelle, scacciatela da voi ! L'iniqua ingratitudine è costei. SILVIO STAMPIGLIA. Sonno. Giace in Arabia una valletta amena Lontana da cittadi e da villaggi. Che all'ombra di due monti è tutta piena D'antichi abeti e di robusti faggi. Il sole indarno il chiaro dì vi mena Che non vi può mai penetrar coi raggi Sì gli è la via dai folti rami tronca : E quivi entra sotterra una spelonca. Sotto la negra selva una capace E spaziosa grotta entra nel sasso, Di cui la fronte l'edera seguace Tutta aggirando va con torto passo. In questo albergo il grave sonno giace, L'Ozio, da un canto, corpulento e grasso. Dall'altro, la Pigrizia in terra siede Che non può andare e mal si regge in piede. ANEDDOTI FIACEVOLI E INTERESSANTI 89 Lo smemorato Oblìo sta sulla porta, Non lascia entrar ne riconosce alcuno : Non ascolta imbasciata, ne riporta, E parimente tien cacciato ognuno. Il silenzio va intorno e fa la scorta, Ha le scarpe di feltro e il mantel bruno ; Ed a quanti ne incontra di lontano Che non debban venir cenna con mano. LODOVICO ARIOSTO. CAPITOLO XIII. MORTE E FUNERALE DI MIO PADRE - CONDOTTA OR- RIBILE DI MIO CUGINO - MIA ROVINA E PARTENZA PER ROMA COL PRINCIPE W. LICHTENSTEIN. r INITA r apertura del teatro e interrotto il mio studio di lingua italiana, mi detti seriamente alla musica. Mi levava coll'alba e mi coricava più tardi che poteva, e in tal modo non mi assentava du- rante il resto del giorno dal negozio dove mio padre mi vedeva con tanta ansietà. Nel susseguente inverno egli fu attaccato di nuovo dalla sua doglia e per quindici giorni fu in gran pericolo. Sul ventesimo dì stava molto meglio ed io andai a divertirmi in slitta fino a notte. Al mio ri- torno trovai la donzella di casa che usciva dalla 90 G. GOT. FERKARI camera da Ietto di mio padre tutta agitata : le chiesi com'egli stava, e mi rispose che peggiorava. Entrai allora con prestezza ed ebbi appena il tempo di ba- ciargli la mano eh' era quasi fredda , e il dolore e insieme la consolazione di cogliere l'ultimo suo sospiro con le mie labbra. L'impressione che mi fece un tal colpo non è dif- ficile immaginarsi : non parlerò dunque che del suo funerale. Ebb'egli non solo gli onori d'un negoziante, ma tali che nessun nobile aveva avuto prima. La cittadinanza, il corpo mercantile, il clero, le fraterie, le confraternite ed un'infinità di popolo segui il suo cataletto : vi si contarono più di ottocento torce accese. Ciò deve sembrare una fandonia, ma pure è vero e non è meraviglia. Quel buon uomo aveva non solo assistito i suoi fratelli, il nipote a Roveredo, i-* nipoti a Verona, e dotate le loro sorelle, ma fa- ceva del bene a chiunque se poteva : carità ai po- veri, elemosine e regali ai frati ed alle chiese. Dirò ancor più : ei prendeva dei depositi a ragione del cmque e sei per cento d'interesse, poi gl'imprestava ai poveri filatori al tre e mezzo o al quattro per cento, acciò potessero comprare la foglia, allevare i bachi, e filare un po' di seta. Poche settimane prima di morire mi disse eh' ei s'accorgeva d' essere stato un poco troppo liberale, ma che non se ne pentiva, che ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 91 aveva fatto molti ingrati ma che aveva pur trovato qualche riconoscente che lo indennizzava e rendea felice. Ma il poverello non conosceva abbastanza l'in- gratitudine, ne poteva immaginarsi in qual rovina stava per trovarsi la sua famiglia. Appena seppellito si trattò di far lo stralcio del negozio. Il signor Rosmini accettò d'essere mio tutore e dei miei fratelli : ma non potendo egli agire né in favore ne contro di se stesso e neppur del suo zio Fedigrotti dette ampio potere a mio cugino: questi accomodò l'affare a suo talento dividendo la rimanenza delle sete e i buoni crediti tra i capita- listi e lui, e lasciando crudelmente a noi pupilli tutti i crediti sballati. Non contento di ciò ebbe l'audacia e l'infamia di offrirmi ottanta fiorini all'anno per re- stare nello scrittoio, come se io avessi dovuto spazzare i fondachi e dopo che mio padre gli aveva accor- dato cinquecento fiorini 1' anno e un interesse nei profìtti alla morte del suo genitore ! Io rifiutai con disprezzo ed orgoglio l'offerta vigliacca e scandalosa di quell'ipocrita e mi preparai a litigar seco appena fossi giunto in età. Tutti del negozio, tutti del paese furono sdegnati d'un procedere così iniquo : i Fedrigrotti e i Rosmini stessi mi offrirono ottantamila fiorini di capitale per levarlo da lui, a condizione però che avessi sposato 92 G. GOT. FKRRARI la Catterinetta : ma ad onta del mio gran desiderio pel matrimonio ed anche per essere utile ai miei fra- telli pure non potei risolvermi a sposare il denaro solamente di quella ragazza e di rendermi e renderla infelice. Un'altra ragione mi distornava da un tal matri- monio ed era che io mi trovava già impegnato con una certa Livietta Fedrigrotti in età di sedici anni, la qual mi promise di non maritarsi prima dei ven- tuno se io manteneva la mia parola e mi faceva avanti in tempo. Feci parte al mio buon Principino Lichtenstein di ciò che m'era occorso e del mio progetto d'an- dare a Napoli, ed ei m'incoraggi a lasciare tutto e a darmi alla musica, sicuro che riuscirei, e m'offerse gentilmente di condurmi seco fino a Roma dove di- visava dirigersi qualche mese dopo. Stava a Vienna in quel tempo il celebre Paisiello la cui musica drammatica mi aveva toccato più di qualunque altro maestro : egli componeva il suo fa- moso T^e Teodoro in Venezia. Scrissi subito al mio intimo amico Bridi, colà banchiere, acciò mi procu- rasse Paisiello per maestro di contrappunto al suo ritorno a Napoli. Bridi, sempre pronto a favorirmi, tentò, e riuscì col mezzo del Marchese Circello, Am- ANKDDOTI PIACKVOLI E INTERESSANTI 93 basciatore di Napoli \ e del suo segretario privato, l'Abate Leprini. Paisiello promise non solo d'istruir- mi, ma non volle sentir parlare d'alcuna specie di ricompensa. Allora io era quasi sempre alla musica, ne entrava nel negozio se non quando era sicuro che mio cugino non vi fosse, giacché la sua persona m'era divenuta insopportabile e disgustevole. Giunto in età maggiore divenni tutore dei miei fratelli e voleva attaccare il cugino in legge, ma un certo Tommaso Hortis, primo scritturale del nego- zio mi consigliò a non farlo, dicendo ch'io non po- teva agire senza la sua assistenza, e ch'ei non po- teva neppure agire contro il cugino tanto ch'io fossi a Roveredo ; ma che se io era determinato di par- tire per Napoli e gli volevo dar procura contro il cugino, lo facessi. Mi fidai dell' Hortis che mi facea tanto l'amico, ma che, come un nuovo Giuda, mi tradì e finì di rovinare i figli del suo padrone e be- nefattore. Al primo novembre 1 784 partii per Roma col Principe Lichtenstein e coU'abate Tachi, preceduti dal corriere Ignazio Sattini di Trento, lasciando ai miei fratelli e ai nipoti al di là del bisogno ci * 'Pel marchese di Somma Circello consultare , se mai , i Fa- sci delle sue interessanti corrispondenze da Parigi in jìrchivio di Stalo di S^i^apoli. s. d. g. 94 G. GOT. FKRRARr che mobigliarsl , un poco di danaro e Y usufrutto per trent'anni consecutivi delle mie piccole rendite sul vignobile alla Sega in fondo, sul fìlatojo alla Sega in cima, e sul Campetto ai Sabioni. Talis pater, talis filius. CAPITOLO XIV. MIO ARRIVO A ROMA E A NAPOLI - CONVERSAZIONE CON DON GIOVANNI PAISIELLO. /arrivammo a Roma il dì sei, ove io non istetti che otto giorni, per vedere alla sfuggita una picco- lissima parte delle bellezze infinite dell'arte che con- tiene quella magnifica ed ora povera città, e delle quali non parlo, essendo esse troppo cognite a chi viaggia od a chi legge. Preso un tristo commiato dal Tachi e dal mio mecenate, me ne andai il dì quindici mattina colla vettura del procaccio, ed arrivai a Napoli la sera del venti novembre 1 784. O che seccatura per far cento e cinquanta miglia ! La mattina seguente presentai la mia raccoman- dativa al celebre maestro Don Giovanni Paisiello \ ^ Era allora Paisiello in età di 52 anni, avvenente, grande di statura e con una (isonomia dolce come la sua musica ; liberale, anzi sfarzoso, buon amico come buon marito : visse sempre in perfetta amicizia con ANEnOOTI PIACKVOM K INTERESSANTI 95 M'accolse egli colla bonarietà naturale sincera e pro- pria d'un napolitano. ^ Stava giusto per sortir nella sua calessetta e per andare a far la solita passeg- giata alla Villa Reale prima di mettersi al lavoro. Mi propose d'andar seco : mancai di svenir di sor- presa e di diletto. Come ! Io, povero ignorantello, in calessetta e al passeggio con un uomo simile ! Non lo poteva credere, mi facea quasi vergogna : pure v'andai. Traversando il Largo del Castello egli mi disse : — 'O vi Uà 'o Castiello 'e H'uovo. ' E chillo è 'o Vesuvio. Chillo là ncoppa e 'o castiello 'e San- t'ermo. la moglie, ma non ebbe mai la felicità d'avere un sol figlio. Era pure elegante nel vestire, portava un frontino e passava almen due ore il giorno alia sua toletta per farsi radere ed acconciare la testa. Nota dell'A. ^ La fede di battesimo del 'Paisiello, riprodotta dal registro par- rocchiale del Duomo di 'Uaranto e conservala nella (biblioteca Ac- clavio, a 'Uaranlo, dice : « Qiovanni Gregorio Cataldo figlio legittimo e naturale dei coniugi Francesco Paisiello e Qrazia Antonia Fuggiale, da "Caranto, nato nel giorno 8 maggio 1740 alle ore sei di notte, fu battezzalo il 1 2 dello stesso mese, servendo il rito della Santa T^oma- na Chiesa, dall'abate don Saverio Guleota, canonico di questa chiesa metropolitana. "Padrino fu maestro Domenico Racle di Gallipoli. » Il "Paisiello morì a setlanlasei anni compiuti, nel 1816. [ACel 1784 , quando il Ferrari lo vide a [/^Capali , Paisiello non aveva cinquanladue anni, ma soltanto quarantacinque, s. d. g. * L'yJ. si sbaglia. "Paisiello indicava, certo , Castelnuovo e non Castel dell'uovo, che dal posto ove in quel punto passava la galessetta non si poteva scorgere, s. d. g. 96 G. GOT, FKKRAUI E un poco più avanti : — Chisto è 'o Triato T^iale 'e San Cario. E alla voltata di S. Ferdinando : — Chisto eco. è 'o palazzo d"o Re. Passato il Gigante : — 'O vi Uà Puortece. Lia bascio sta T^umpeie, e appriesso sta Castiellammare, e po' Surrknto, l'i- sola 'e Capri... ^ guarda Pusilleco, 'Piedegrotta etc. etc. Io non vedeva nulla : i miei occhi erano pieni di lagrime di gioia e di contento nel sentire il dia- letto e l'enfasi di quel buon uomo : accanto a Pai- siello io mi credeva nei sette cieli. Giunti alla Villa Reale ed entrati per passeggiare nel giardino, occorse presso a poco la conversazione che segue. — Dunque, caro il mio Tirolese... — Signore, io sono italiano. — E vero, scusami, abbi pazienza. Dunque, caro mio, tu sei deciso a divenire compositore ? — Volesse il cielo ! — (? Va buono, va buono, lassa fa' a me. — Sono molto sensibile al disturbo ch'Ella si vuole pigliare per me, e non mi scorderò giammai della di Lei bontà ! — Ma tu che diavolo dice ? COLLEZ. SETTECENTESCjl FERRARI — Aneddoti. O M u > O OC ANEDDOTI PIACEVOLI E IXTEKESSANTI 97 -Signore.... — ^lla, Lei! ^ta, Hglìo, sii iiermene ricercate e ridicole non s'usano a Napoli ! Ccà nun se dà del signore a nisciuno : si dà del voi a pochi e del tu a iutiuquante. E perciò non fare più 5/1 ce- rimonie cu me ! — Come ti piace imponi ! — Uh ! mmalora ! Tu hai letto le opere di Me- tastasio ? — E con che diletto ! — Bravo ! Chillo e o poeta e 0 masto dei mae- stri di cappella drammatici. Mò, mò : quando co- mincerai a scrivere ariette, ti sarà più utile Meta- stasi© che l'ignorante Paisiello. — L'ignorante Paisiello ! Voi scherzate ! Io vi ho sempre considerato come il primo compositore drammatico del mondo ! — Mannaggia mammeta! Fosse overo, almeno! ^mbé, sappi che nella musica io songo nu ciuccio ! — Songo nu ciuccio ! Non vi capisco. — (^ mo te parlo in italiano tanto che pozzo. Voglio dire che sono un asino. — Ma, caro maestro, voi mi scoraggite ! Come ! Voi da quel che ho veduto , udito e sentito dire avete fatto la delizia di tutta l'Europa per un quarto di secolo, ed ora vi chiamate un nulla ! Dopo tante G. G. Ferraki. — Aneddoti. 7 98 (). GOT. FkRUARt belle opere scritte qua e là con riuscita e furore, dopo tante novità che il vostro genio ha prodotto, vi chiamate un nulla ! — Caro mio, tu non devi credere ch'io sia senza amor proprio. Se tu mi parli di esprimere la parola, di combinazioni armoniose , di far cantare un pa- store , un buffone , un guerriero, un'eroina nel loro proprio carattere, se mi parli di effetti teatrali ti dirò ca io nun mme metto paura 'e nisciuno. Ma in fatto di vera musica mi chiamo uno zero perchè essa è un'arte e una scienza così profonda ed inesauribile che io la riguardo come appena incominciata. In quanto alla novità, dopo la creazione non v'è nulla di nuovo su questa terra. — Sarò dunque io colui che discoprirà gli arcani e i prodigi della musica e che dopo tutto non avrò neanche la soddisfazione di produrre una novità ! Caro Paisiello mio, tu mi fai disperare, tu mi farai dive- nire lazzarone, corsaro o rinnegato ! — (^ va chiano, caro mio ! Tu sei troppo focoso ! Tu non devi pensare alla novità , ne approfondare negli arcani della scienza musicale, ma ti basti solo cercare la verità. Studia il tuo contrappunto senza interruzione, esamina la musica dei buoni autori an- tichi e moderni, non ti stancare di leggere il Me- tastasio ed altri drammatici poeti , e quando avrai AN'KDnOTI PIACEVOLI K INtKUKSSANTI 9f) scarabocchiato qualche pezzo di cartapecora e al- cuni quinterni di carta da musica, scriverai giusto e con verità, e ciò farà apparire la tua musica scien- tifica e nuova. — Respiro. E vi domando perdono del mio tra- sporto inconsiderato e ridicolo. — Sfatte buono, figlio mio, e nun mme fa tanta cerimonie. — Permettetemi , caro maestro , che io vi faccia ancora due quistioni. — Vediamo. — Vorrei sapere come avviene che due compo- sitori scrivono sulle stesse parole e che la loro mu- sica è differente ; e come un compositore solo possa scrivere tante cose, come avete fatto voi, senza ri- cadere e ripetersi ogni momento, e producendo sem- pre qualche cosa che somigli alla verità. — Mo te capàceto. Cerca due uomini somiglianti l'uno all' altro tanto che sia possibile : esamina in essi le loro fattezze, e troverai per sicuro che quelle dell' uno non saranno esattamente come quelle del- l'altro. Dunque se i lineamenti del volto differiscono fra di loro, le idee della mente debbono pure va- riare. E ciò corrisponde alla differenza dei due com- positori che scrivono sulle stesse parole. Veniamo adesso al compositore solo. Figurati di possedere un lOÒ G, r,Ot. PHURARt albero che si nutrisca, si riposi e ti produca a suo tempo un certo numero di frutta, ma però non tutte della stessa fragranza e bellezza, come accade. La novità del compositore è appunto questa, che invece di produr delle frutta, come l'albero, scrive una quan- tità di note più o men sensibili o eleganti ma gene- rate sempre dal suo proprio albero di musica, in quanto poi al ripetersi tu la sbagli, caro mio , poi- ché non v'è ne ci puoi essere un compositore o un autore che non si ripeta più o meno ; in fatti tutto si ripete in arte come in natura. — Caro maestro mio, vi ringrazio al sommo di quanto m' avete detto : ho più imparato da voi in un'ora di ciò che ho fatto in dieci anni, dacché m- cominciai superficialmente ad imparar la musica. Ma se non sono troppo mdiscreto avrei un'altra questione da farvi, e poi non vi secco più. — Dì pur su quanto ti piace : eccome cca ! — Bramerei sapere qual differenza fate della mu- sica d'un compositore italiano e di quella d' un te- desco. — Ti dirò : se i due professori avessero studiato neir istesso modo non vi sarebbe differenza alcuna. Capisci ? — Hum!... ANKDDOTI PIACKTOLl K INTERESSANTI 101 - — Ma gl'italiani incominciano generalmente senza finire e i tedeschi finiscono prima di cominciare. Non so se mi spiego. — Scusate, maestro, ma io non vi capisco. — J^o' te permado. in Italia non facciamo caso che della melodia , sia per natura o per gli effetti armoniosi che le voci o la maniera di cantare ci pro- ducono : ne usiamo modulazioni che per rinforzare l'effetto della parola. In Germania, poi, sia per al- tre ragioni sia perchè i tedeschi si visggono inferiori a noi pel canto , essi non si curano della melodia ne l'usano che pochissimo, ondechè sono obligati di servirsi d'un'armonia ricercata, per supplire in tal guisa alla mancanza e alla bellezza magica della voce. — Ma non v'è nessuno che abbia studiato come si dovrebbe e che si sia distinto ? — Anzi ce ne sono molti, tanto italiani che te- deschi. — E chi sono essi ? — Te ne citerò qualcuno. Per esempio non v'è compositore italiano che possa superare il canto pu- rissimo dell' Hasse, i cori ingegnosi e nerboruti del- l'Haendel , né le opere tragiche del Gluck. Ma non v'è neppure un solo compositore tedesco che possa superare la scienza del Padre Maestro Martini , il 1C2 , G. GOT. FERRARE contrappunto del Durante , o l'armonia grandiosa e robusta del Padre maestro Vallotti. Ma è già tempo ch'io vada a scrivere. Andiamo. — Se mi permettete vorrei restare ancora a pas- seggiare. — Bene. Poi vieni a casa mia alle due. Troverai un buon piatto di maccheroni e' 'o zuchillo, uno stufato alla genovese, e dopo pranzo ti darò da la- vorare. — Io non so come ringraziarvi, caro maestro, di tante bontà , ne sarò mai felice sin che non possa dimostrarvi la mia gratitudine. — Statie buono, stalle buono.... Addio. — Addio. N.B. Hasse ebbe la fortuna di trovarsi a Vienna allorché il Metastasio era al servizio dell'imperator Carlo VI, e pel corso di ventanni scrisse la musica su diverse opere e can- tate di quel divino poeta. Tanta fu la fama che s'acquistò colle sue composizioni eleganti che per parecchi lustri fu chiamato in Germania e m Italia il Dio del canto, titolo che dopo la sua morte fu trasferito al rinomato Antonio Sacchini. Durante fu uno dei dodici candidati che si presentarono a Napoli per divenir maestri di cappella del conservatorio della Pietà dei Turchini. Si diede loro un madrigale da mettere in musica , a cinque parti reali con contrappunto doppio e severo. La composizione di Durante prevalse sopra i talenti * Jll sugo di carne alla genovese. ANKDDOTI PIACKVOLl K INTERESSANTI 103 di Vinci, Leo, Feo, Porpora e tutti gli altri. Fu subito im- pegnato il gran contrappuntista a Vienna per ordine deirim- perator Francesco I ma non vi stette che poche settimane per la seguente ragione. Essendo egli stato condotto dai suoi amici ad una rivista militare ed a fuoco, fu tanto impaurito e spaventato dallo strepito dell'artiglieria che cominciò a tre- mare, a ridere, a piangere e a mostrar tanti sintomi di pazzia che fu creduto necessario rimandarlo a Napoli, dove riprese il suo posto nel suddetto conservatorio, in cui formò un gran numero di scolari eminenti. Nota dell'A. L' Hasse (Giovanni Adoljo) nacque a ^ergdorf, presso JìmbuTgo, nel 1699. Studiò a Napoli e fu allievo del Porpora. Vedi Kandler : Cenni storico-critici intorno alla vita ed alle opere del celebre compositore di musica do. Adolfo Hasse detto il Sassone. Ma questo libro è pieno di errori, s. d. g. CAPITOLO XV. SOLILOQUIO - MAGNIFICA ERUZIONE DEL VESUVIO - CENA ALLA SICILIANA. IVIalgrado il vivo desiderio e l'ambizione che io avessi di ritornarmene con Paisiello, pure ei mi aveva reso così confuso, avvilito e agitato, che io sentiva la necessità di restar solo. Passeggiai più volte su e giù per la Villa Reale riflettendo a ciò che farei e a che sarebbe di me. A ventun anno incominciare il contrappunto ! A che età incomincierò l'armonia ? E quando potrò scrivere un'opera ? Ah, se mi fossi 104 G. GOT. FKKRARl fatto frate ! Se avessi accudito un poco più al ne- gozio e sposata la Catterinetta ! Perchè non ritornerei a Rovereto per mettere alla ragione il mio cugino? Nel mentre che la mia fantasia era preoccupata e abbattuta da pensieri lugubri ed oppressivi occorse una circostanza che , sebbene inaspettata e spaven- tevole , pur mi diede nuovo spirito e coraggio. In- cominciò ad offuscarsi l'atmosfera : si sentiva da lon- tano una specie di terremoto : la gente tutta correva in folla verso l'altura di Chiaja. Dimandai che cosa era e mi fu risposto esser caduta della neve sul Ve- suvio, ch'ei vomitava una quantità prodigiosa di fu- mo e che s' aspettava immediatamente un' eruzione. Bravo ! — diss' io a me stesso — Bravo ! questo è proprio il momento per venire a studiare il con- trappunto ! Pur mi feci animo, e seguitai la turba. All'aspetto del monte restai attonito ed estatico aven- dolo veduto due ore prima tranquillo. La colonna del fumo era larga come il suo bacino , o cratere, e pareva innalzarsi sino alle nuvole, ma così densa e di color cosi nero che io mi aspettava ad ogni tratto che stesse per spandere le tenebre sopra tutto l'orizzonte. Il popolo napoletano era quieto, e diceva : Ma- donna mia, te ringrazio ! E viento 'e scerocco e nun c'è paura pe Napole! Giesù Cristo mio, preja ANEDDOTI PIACKVOM K INTERESSANTI 105 a San Gennaro ca nun facesse cagna oienlo prim- ma ca fenescc l' eruzzione ! Ciò mi dette corag- gio, e me ne andai al mio alloggio , l' albergo di Venezia, di rimpetto alla casa di Paisiello. Alle due mi portai da lui per pranzare, ed egli mi presentò a sua moglie, danna Cecilia, e a suo zio don Cic- cio (o Francesco) : e da quel momento in poi sono sempre stato l'amico di casa. Nel corso del pranzo mi o^erse donna Cecilia di condurmi la sera con don Ciccio ed un altro amico al Teatro del Fondo per sentire un' opera di suo marito // mondo della Luna. Accettai l'offerta con trasporto, ma mi presi la libertà di chiederle se non aveva paura dell'eruzione che minacciava scoppiare da un momento all'altro. — Tu che dice? Che eruzzione? Che eruzzione? !.. Chello e nu poco 'e fummo ca esce 'a dint ' 'o cratere. E po', doppo ca fosse n eruzzione 'o viento è a scerocco, e pe Napole nun c'è paura. — Ma non sentite il terremoto ? — Tu qua' terramoto? E 'o ffuoco d"o vulcano ca volle nu poco e fa stu rummore. ^un è ter- ramoto. c^a, che te miette paura ? — lo ? No. Non ho paura, no, no, davvero. — Puveriello ! — disse sorridendo — Sei accostu- mato a vedere le montagne del Tirolo coperte di 106 G. GOT. FERKARI ghiaccio ed ora ti fa specie vedere le nostre fu- manti ! Sarà meglio che tu non venga al teatro. — lo! Ma per sentire un'opera di Paisiello ci verrei quando anche fossi sicuro di trovar la lava infocata nell'entrare a teatro ! — Bravo, Benissimo ! Si' nu buono figliulo! Dun- que, alle sette, torna eco. e ce jammo tutluquantz nzieme. — Tante grazie. Dopo pranzo mi menò il mio maestro nel suo stu- dio e fattemi diverse questioni su ciò che io aveva imparato mi dette da lavorare incoraggiandomi col dire che la mia carriera sarebbe stata molto più breve dell' usato. M'invitò d'andare a casa sua mattina e sera quando io voleva, e che mi avrebbe dato le- zione ogni qual volta gli fosse stato possibile. Lo ringraziai. Alle sette ritornai da donna Cecilia e con essa e coi suoi amici me ne andai al teatro dove mi di- lettai moltissimo nel sentire un'opera vecchia, ma gra- ziosissima , messa in iscena dal compositore stesso. Ritornando dal teatro a casa Paisiello, il romor del Vesuvio era molto più sensibile e di tratto in tratto si sentivano dei colpi che parevano piccioli tuoni. Io tremava come una foglia , ma cercava di fare il bravo. Donna Cecilia, maliziosetta come sono ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 107 tutte le femmine , se ne accorse e mi fece restare a cena. Diversi invitati arrivarono successivamente e ci diedero la nuova che l'eruzione aveva scoppiato e eh' era la più bella cosa del mondo da vedersi, lo mi feci rosso e pallido in un sol punto e gli altri si ridevano di me. Vedendo ognuno in allegria presi ancora nuovo coraggio e montai con essi sul lastrico della casa '. Oh, che spettacolo ! Che meraviglia ! Che beli* orrore ! La notte era buja, l'aria mutola, il mare assonnato , immobile la terra , invisibili le stelle : pareva in verità che il vulcano avesse assor- bito gli elementi tutti e il firmamento stesso. La som- mità del Vesuvio stava coverta di neve : tre torrenti di fuoco a certa distanza un dall' altro si facevano largo in mezzo ad essa , scorrendo furiosamente e spandendo la lava nel basso della montagna vicino a Portici alla Torre del Greco e sin nel mare. Ol- tre la lava si vedevano qua e là delle aperture che parevano fiaccole. La bocca del vulcano vomitava una colonna di fumo, ora nera ora mischiata con ma- terie combustibili e con pietre infocate d' immensa grandezza che scoppiando nell' aria, porgevano alla vista una specie di fuoco d* artifizio. Ciò mi ram- mentava la festa teatrale data ai Benedettini di Ma- ^ Terrazza scoperta, dai rìapolelani chiamata < ll'asteco». 108 • G. GOT. FERRARI riaberg : ma quella non era che una finzione celeste, e questa mi pareva una realità infernale. Un quarto d'ora dopo di noi salì donna Cecilia j)er chiamarci a cena. Nell'affacciarsi sul tetto gridò immantinente : — Mamma mia! San Gennaro mìo, e che .spa- vento eh' è chisto ! Venite a cena, venite a cena! Quell'eroina che poc'anzi si burlava di me scappò giù come un fulmine. Scendemmo alfiae, e trovam- mo una cena preparata alla siciliana, cioè una grande ed unica scodella ovale nel mezzo della tavola, piena d'insalata condita con olio, aceto, pepe, sale, aglio, ova dure, alici, locusta, polpe di pollo , di fagiano e insomma delle cose più sostanziose, e abbastanza per venti persone. Dopo l'insalata rinfreschi d' ogni sorta : pasticcetti , mandorlato , mostacciuoli , frutta squisite e gelati in quantità. E che lacryma , che vin di Malaga, e che punch all'inglese che fu be- vuto alla salute di San Gennaro e di Paisiello ! Verso mezzanotte lasciammo i due consorti e il vecchierel don Ciccio, mezzo concio di liquore. Gli amici di casa m'accompagnarono al mio albergo e me ne andai a letto. Come passai quella notte lo lascio indovi- nare a chi legge. ^ In dialetto napoletano nzalatiera. AN*KDDOTl PIA(^KV*OLl K INTKRKSSAXTI 109 Il dì seguente mi levai di buon mattino ; 1' eru- zione era sempre spaventevole e durò cosi all'incirca per un mese di seguito. Si sentivano suonare le cam- pane delle chiese principali della metropoli: proces- sioni di qua e preghiere di là: si bruciavano degl'in- censi , della mirra, dei rami d'alloro che esalavano una fragranza soave e deliziosa : le lampade tutte ac- cese davanti le immagini esposte nelle piazze e in ogni strada , e in mezzo a tutto questo mandolini, chitarre , tamburini , canti , balli e maccheroni da pertutto. Verso il mezzodì andai a casa Paisiello per fare una visita di convenienza e dovere , ma il mae- stro stava scrivendo V Antigono, da rappresentarsi al San Carlo per la nascita del Re, e non potei ve- derlo ne prender da lui lezione. Da Paisello passai a casa Coltellini per presentare una letterina di rac- comandazione alla signora Celestina, prima donna del teatro dei Fiorentini, della quale sto per parlare nel capitolo che segue. no T. FKIUtAKI La mattina si portò al Caffé del Veneziano ren- dez-vous de' virtuosi. Vi trovò l'impresario del Teatro Nuovo. Gli si accosta, lo saluta, tira un viluppo di musica dalla saccoccia, e glielo presenta, dicendo: — Chisto e. 'o pkzzo pe fa risuscita la tua e mia Adalinda! 'Damme sissanta ducale e so' cun- tento. L'impresario guarda il titolo del manoscritto e legge: « Vaga mano sospirata, terzetto postumo dell'. ■^Ja- linda » . Conoscendo egli la malizia teatrale di quel maestro, piglia il terzetto, prega il cafettiere di pagare Guglielmi, se ne va in fretta dal copista, ordina una prova, e si produce la stessa sera. Si sparse la notizia in un batter d'occhio per tutta Napoli. La sera, un'ora prima di principiare, non si poteva entrare in teatro che con difficoltà e pazienza; finalmente s'incomincia. 11 pubblico, stando in aspet- tativa del nuovo pezzo, passò sopra ed applaudì ciò che lo precedeva. Viene il terzetto, e si fa replicare tre volte consecutive : ciò dà risalto al primo finale, e i pezzi del secondo atto fischiati la prima sera, sono quasi tutti replicati, sopratutto un duettino cat- tivo per la musica, infame per le parole. — Mannaggia 'a triato ! — mi diceva sovente Paisiello — E mannaggia 'e crapicce d"o pubbrecof Nella quaresima del 1 786 si dette al Teatro del ANKDDOn IMACKVOLI K 1 NI EHKSSANTl 149 Fondo un oratorio, il Gefle, sotto la direzione ed impresa del conte don Peppino Lucchesi, figlio del principe di Campofranco e fanatico per la musica. Fece egli un centone ossia pasticcio , ma così ben disposto che pareva un'opera originale. Vi cantavano la Marchetti, prima donna assoluta (Oh, che bella creatura e che pazza 1), Mengozzi tenore e Carlo Rovedino, basso cantante. Il maestro Cipolla e il valente Millico scrissero diversi pezzi per quell'oc- casione, ma ciò che parto la palma furono le due arie che Cipolla scrisse per Carlo Rovedmo. Aveva questi una voce profonda ed acuta, sonora e pastosa, vibrante e soave : univa la voce di peiito a quella di testa come due capi di seta, e diceva il cantabile come un angelo. Don Peppino trionfava del suo successo, ma non aveva denaro abbastanza per sostenere uno spettacolo così magnifico e costevole. Chiese perciò la grazia a Ferdinando IV di dare quattro rappresentazioni extra nelle prime domeniche di quaresima, ma di giorno, e pei frati, preti e secolari senza femmine, ne nei palchetti ne in platea. La grazia fu accordata, e fece quattro piene immense. Vi andavano in folla, * La figlia di Gsfte, che il Florimo cita (voi. IV, p. 350) ma con canlalrici diverse, tra le quali Jlnna Coltellini. 150 G. GOT. FKUKAKI tanto per vedere in una sala di teatro una quantità di frati, come per sentire e vedere la matta Mar- chetti filar la voce, sfioreggiare, e far delle attitudini e dei gesti curiosissimi per dar trastullo a quei so- spirosi reverendi. I ricchi fra loro pagavano , ma i poveri francescani e cappuccini avevano l'entrata gratis. Una sera un cappuccino, trovandosi in un palchetto vicino all'orchestra e ansioso di vedere e udire s'al- lunga fuori, e la sua barba piglia fuoco ad una candela di un suonatore di contrabasso : questi lascia imme- diatamente il suo violone, afferra il cappuccino pel mento, gli strappa la barba, gli estmgue il fuoco e lo salva dall'esser bruciato o almeno sfigurato. Verso la fine di quaresima m'offerse gentilmente il cavalier Campan di condurmi seco a Roma, per assistere alle funzioni della settimana santa e delle feste di Pasqua. Nulla di più aggradevole poteva accadermi in quel momento. Viaggiare con un signore di garbo : incontrare il mio principino Licktenstein il quale m'aveva già mandato un invito per tale oggetto : veder la pompa e lo splendore di quelle funzioni, e sentire le musiche sacre di quei classici fu per me un regalo da non dimenticare in vita. * Palestrina, Vinci, Leo, Hasse, Haendel, Durante, Marcello, Padre Valloni, Pergolesi, Padre Martini, Jomtnelli. [I^ota dell' A. ANKDDOTI PIACEVOLI K INTKRICSSANTl ]51 Partimmo da Napoli il venerdì della settimana di passione ed arrivammo a Roma la domenica delle Palme, colle nostre sonatine, coi pezzi favoriti della Grotta di Trofonio, che io aveva tradotti per piano- forte e violino, e con ventiquattro variazioni da me solo composte in imitazione di quelle che ammirai nella mia prima gioventù. Non parlo delle funzioni per la stessa ragione che non parlai dei monumenti innumerabili di quella città. Mi portai subito dal mio buon principino il quale mi accolse con la sua solita affabilità. Il giovedì santo fui introdotto, col mio primo violino, all'Accademia che teneva ogni settimana la nobil signora Flaviani; ove le mie sonatine fecero molto effetto e le varia- zioni furore, sebben vi fossero allora in Roma due pianisti assai più abili di me, i Masi, padre e figlio, quest'ultimo stabilito poscia molti anni in Londra. Ciò che mi piacque e mi toccò il più in quell'Accademia fu lo Stabat mater del Pergolese, eseguito con or- chestra e cantato da due vecchi musici della Cappella Sistina, con voci deboli e difettose, ma che le filavano e modulavano così bene che mi tennero colle lagrime agli occhi dalla prima nota in sino all'ultima. La sera di Pasqua andai col mio Cavaliere a fare un po' di musica dalla Duchessa d'Albania dov'aravi una piccola e piacevole società di dilettanti e dove 102 O. (}(IT. FliKUAia avemmo pure gran successo e ci divertimmo assaissimo. La Duchessa aveva un aspetto nobile, una figura superba, e se la sua faccia fosse stata illesa dal vajuolo la potrei comparare alla già lodata Lady Hamilton: in quanto all' affabilità , allo spirito ed alle maniere dolci e seducenti non ho mai trovato una dama più amabile di quella. Finita la musica, c'invitò a seguirla tutti nel salone di suo padre Carlo Eduardo Stuart, il Pretendente d'Inghilterra. Stava egli seduto sopra un picciol trono : accoglieva ogni persona con la più gran cortesia e gli si scopriva in volto la gioia e la contentezza nel vedere ognuno chinare il ginocchio davanti a lui, e in sentirsi chiamar Maestà, Il giorno appresso si desinò col signor Campan dal suo medico ed amico il dottor Martelli , uomo di spirito, sapiente, enciclopedico piccante insomma^ una specie di un Muzio Clementi. Aveva egli una sposina più vezzosa ed amabile di qualunque romanella ch'io abbia mai veduta : ci dette un sontuoso banchetto, con vino d'Orvieto, di Cipro etc. dopo di che ci fece un po' di musica. E. per terminar la giornata ci narrò e ci lesse l'amabil Martelli delle facezie graziosissime, alcune delle quali ho l'onor d'offrire al lettore. Si sa che Pio VI incominciò a seccare le Paludi Pontine per la qual cosa s'acquistò il soprannome di ANKDDOTl PIACEVOLI K JX TKRKSSANTI 153 seccatore dai begli spiriti, e dai così detti pasticcetti di Roma. Quando fece il buon Pio il suo viaggio a Vienna, per raddolcir l'odio di Giuseppe II contro i frati, Marforio dimandava a Pasquino dov'era an- dato il Seccatore. Rispose Pasquino « ch'era andato a seccare l' Imperatore » . Pochi giorni dopo chiese ancora Marforio : « Ma, caro Pasquino, tu sempre scherzi : dimmi ora sul serio che cosa è andato a fare il nostro buon Pontefice a Vienna ? » Soggiunse Pasquino : « Oh, se mi parli sul serio, ti risponderò egualmente, e ti dirò la verità : egli è andato a Vienna per cantarvi due messe : una senza gloria per se stesso, l'altra senza credo per l'Imperatore » . Sotto il papato di Benedetto XIV Lambertini, il Senato dei quaranta di Bologna inviò due Ambasciatori a Sua Santità per chiedere una grazia. Scelsero i due primi nobili di quella città : sua eccellenza Orsi dei qua- ranta e sua eccellenza Bovi pure dei quaranta. Il segretario di Benedetto, stupido a quel che pare, invece di annunziarli come dissi rivoltò il sentimento e li annunziò come segue : Sua Eccellenza dei qua- ranta Orsi : sua eccellenza dei quaranta Bovi. E quell'amabile Principe rispose : Fate entrare sul mo- mento queste ottanta bestie ! Sua Eminenza il Cardinale York visse com'è già noto molti anni in Roma e vi lasciò in santa pace 154: a. GOT. KKHKAKI le sue spoglie. Durante la sua esistenza fu amato e rispettato da ognuno e soccorso liberalmente , come suo fratello Carlo, dalla Corte papale, ma più ancora dalla generosità di Giorgio III re d'Inghilterra. Il car- dinale York era un uomo eccellente, liberale, fanatico per la letteratura italiana e sopra ogni cosa per gli improvvisatori. Aveva per segretario e maggiordomo un certo Abate Cantini, fedele, piacevole e devoto a Sua Eminenza. Comparve in Roma un celebre improvvisatore, l'abate Gavazza, Lo introdusse il Can- tini dal cardinale ; questi s' invaghì del talento di quell'uomo e senza saper ch'egli fosse il più gran libertino e scialacquatore del mondo gli offrì un ap- partamento nel suo palazzo, la sua tavola, carrozza ed un salario onorevole. Gavazza, senza un baiocco in saccoccia, avrebbe accettato la frusta per due paoli. Alla fine di ogni anno soleva il Cardinale saldare i suoi conti col Cantini. Gavazza faceva dei debitucci e mandava a palazzo, per esser pagati, i suoi cre- ditori. Passò la sua imprudenza per un anno o due ma sulla fine del terzo anno montava il suo debito a più di mille scudi. Ciò offese il Cardinale, ed or- dinò al Cantini di non pagarne che la metà e di far sapere al signor improvvisatore che se all'avvenire non facesse giudizio ei l' avrebbe scacciato dal suo palazzo. Qualche giorno dopo salì il maggiordomo ANKDUOTI IMACKVOLI K INTEUKSSANTI 155 tristo tristo nell'appartamento dell'amico, «Che cos'hai, Cantini, sei malato ? « No, ma ho una cattiva nuova da darti. « E che cos'è } » « Sua Eminenza è teco in collera. Non vuol pagare che la metà del tuo debito e se continui a fare il pazzo ei ti vuol li- cenziare » . « Oh, se non c'è altro, siedi, e vedrai come si fa la pace con un uomo di spirito » . In pochi minuti scrisse il sonetto che segue, lo dette al Cantini da presentare al Cardinale e ne ottenne ciò che desiderava. A SUA EMINENZA IL CARDINALE YORK. Vostra Altezza Real per sua bontà So che al Cantini l'altro dì parlò, E mossa dalla sua benignità Mezzo di quel tal debito pagò. Io La ringrazio di Sua carità, E le son grato quanto mai si può. Ma il dir ^go te absolvo per metà Nella Chiesa di Dio mai non si usò. E vostra Altezza l'userà con me ? Ella che è sempre specchio di virtù, Principe, Cardinal, figliuol di re ? ! 156 G. GOT. IICRKARI Eh, via : alzi la mano un po' più in su, E dica : Ego te absolvo come va : Che per quest'anno non la secco più ! // misero improvvisatore ABATE Gavazza. Ai 31 dicembre. N. B. Osservi il lettore la data del sonetto. CAPITOLO XXII. CONTINUAZIONE A ROMA - RITORNO A NAPOLI CON MR. ALBERT, INGLESE. F UI pure presentato alle figlie di Mr. Lagrené , pittore celebre e direttore della Reale Accademia di * // Ferrari parla qui di quel Lagrenée Vaine (Qian Luigi Fran- cesco) che fu scolaro di Carlo van Loo e nacque a 'Parigi nel 17 25. Ottenuto nel 1749 le prix de Rome, il Lagrenée venne in Italia e vi passò alcuni anni : tornò a T^arigi con una tela che vi conseguì un grande successo : Il ratto di Dejanira. Nel 1755 V Accademia di pit- tura lo ammise tra' suoi componenti; nel 1760 l'imperatrice delle Russie lo nominò suo primo pittore e lo chiamò a dirigere l'accademia di Belle Jìrti della capitale. Nel 1781 gli fu data la direzione della scuola francese di T^oma, e a Tlpma egli dipinse il suo più conosciuto quadro, la Vedova dell'indiano. Nell'anno in cui il Ferrari conobbe a Roma il famoso pittore questi aveva sessantadue anni: morì nel 1805, a Parigi. Disegnatore impeccabile e severo il Lagrenée si trovò all'Ac- cademia di Francia quando vi fu ammesso il Greuze, al quale il di- AMDDOri PIACEVOLI K INTKUKSSAXTf ] '>7 Francia a Roma. Erano elle fanatiche per la musica, sebbene non avessero alcuna disposizione per essa ! Lungi dell'esser belle, la loro amabilità e il loro buon cuore le facevan comparire piacevoli senza i vezzi passeggieri della gioventù , e 1' ornamento allettativo della musica. Tenevano una conversazione la più brillante in cui io sia mai stato : un gran numero d'artisti ne facea la base : v'intervenivan molti lette- rati, e ogni rango rispettabile di persone , sino alle prime stelle di nobiltà in Europa. — Monsieur La- grené era un buon vecchietto, e vedendo ch'io dava piacere alla sua società colle mie sonatine , e con delle canzonette , che aveva composto dopo il mio arrivo in Roma, mi prese in amicizia, e quando io non era impegnato col mio principino, o col cava- liere, mi voleva sempre a pranzo a casa sua. Feci in tal guisa delle conoscenze, che mi furon di gran- d'utilità in appresso, tra le quali un certo Mr. Al- bert , inglese , giovine indipendente ed amatore di musica. Mi trovai piìi volte seco da Mr. Lagrené, e rettore di quella faceva notare alcune imperfezioni del suo quadro. Greuze tentò di difendersi vivamente. <■■ L'Académie V écoutait en souriant, et l'on vit le movent cu Lagrenée, tirant un cra'^on de sa poche, allait marquer sur la toile les incorrections des figures » . Supplement aux oeuvres de Diderot : Leltres sur le Salon de \7ò9, ^elin, Paris, 1818. V. pure : De Goncourt E. et J. L'art au XVIII siede , 'Paris, Charpentier, 1882, p. 28. — s. d. g. 158 O. GOT. FKHKAKI sapendo ch'io stava p3r ritornare a Napoli, m'offerse di prendermi nella sua carrozza se gli prometteva di dargli lezione di pianoforte, durante i pochi mesi che egli aveva fissato di restare in quella metropoli ; accettai la proposizione, e partimmo il quarto lunedì dopo Pasqua. Lasciai Roma con grandissimo dispiacere, essendo stato così bene accolto, incoraggiato , e festeggiato, dai personaggi che menzionai. Pure l'idea di far dei progressi nella mia intrapresa carriera mi consolava un poco. Mr. Albert era un giovine piacevole , ricevuto nelle prime società : parlava bene il Francese e pas- sabilmente l'Italiano, ma io non sapeva poi altro di lui, e neppur poteva immaginare ch'egli fosse uno di que' viaggiatosi inglesi di cui più sopra parlai. Fece egli un accordo col corriere ordinario di Napoli, per viaggiar seco di conserva, offrendo inoltre una scorta di quattro dragoni per le due carrozze : ma deside- rando di vedere i sepolcri degli Orazi e Curiazi, che si trovano a pochi passi fuori della città di Albano : e informato dal corriere ch'ei passava per colà verso mezzanotte, gli promise d'esser pronto a queir ora colla sua carrozza e colla detta scorta» Partimmo noi alle dieci del mattino , e dopo aver veduto i sepolcri, avemmo un pranzo eccellente, e ANKDUOn PtACKVOl.I K 1NTKKKSSANT( 159 del vino bianco squisito , e tanto rinomato in quel paese : alle nove Mr. A. fece salire il servitore, e gli ordinò di portargli le sue armi. Diede due pistole ed una sciabla al suddetto , due pistole a me , e ne tenne due ed un' altra sciabla per se stesso ammirai la sua precauzione, e apparente prudenza : ma seppi poi qualche tempo dopo eh' egli aveva preso una tale scorta e tante armi , co'.la speranza di trovarsi in battaglia cogli assassini che si trovan sempre in quei paesi. Verso le dieci ci coricammo sul letto vestiti , in aspettativa del corriere , e dor- mimmo come due marmotte. Alle tre di mattma vennero a risvegliarci e fummo sorpresi che fosse così tardi : ma sopragiunse il corriere « che ci disse essere stato preso da un temporale tremendo, che impaurì il postiglione, e i cavalli, e che l'avevan gettato in una fossa , da cui non avea potuto tirarsi che con pazienza e gran fatica » . Nel mentre eh' egli stava asciugando i suoi panni, e prendendo un po' di cibo e liquori si fecero attaccare i cavalli, e si mandò di nuovo per la scorta , sebben non ci fosse bisogno : perchè dopo un temporale simile non e' era proba- bilità di trovare assassini sulla strada, i quali, hanno una specie d'istinto o superstizione, che lor fa aver più paura d'un lampo o d'un tuono, che del demonio- stesso, che non ha mai veduto. 160 G. GOT. H:Kl{Ain Alle tre e mezzo partimmo armati come fuoriu- sciti : le nostre pistole eran tutte a due canne , le sciable forti pontute e aguzze : ma per disgrazia del mio compagno e per mia buona fortuna non si trovò battaglia. Alle tre dopo mezzogiorno fummo sorpresi da un nuovo temporale. La pioggia diluviava impe- tuosamente, la grandine parca che fosse palle di mi- traglia : lampi , tuoni e saette che si succedevano ogni momento : certe strisce perpendicolari di fuoco pallido , che parevano uscir dal cielo , allungandosi precipitosamente ed ora dileguandosi nell'aria or ca- dendo sin per terra raddoppiavan l'orrore di quella procella. La carrozza di Mr. Albert era mezza aperta, però con cortine dai lati , e con una coperta di cuojo sul davanti. Ma ciò non serviva : eravamo inzuppati d'acqua sino all' ossa. Alle quattro cadde con grande strepito un fulmine a poche braccia dalla testa dei cavalli, i quali spauriti s' arrestarono come se fossero stati colti da un colpo apopletico , né vi fu più mezzo di farli andar avanti. Il corriere, che vedeva la situazione critica in cui eravamo, fé' galop- pare i suoi dragoni a Méssa per domandar soccorso: ci mandarono subito un postiglione e due poledri; e mezz'ora dopo prendemmo asilo in quell' albergo o casa di posta per cavalli. Il corriere di Napoli doveva continuare il suo COLLEZ. SETTECENTESCA FERRARI - Aneddoti. Il Romitorio al Vesuvio. Stampa della Lucchciiana — Napoli- ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 161 viaggio , ma vedendoci mezzo annegati , languidi e perplessi, suppose che non l' avremmo seguito , e ci raccomandò di restare in quella casa meno che si potesse, poiché gli assassini dei dintorni venivano tutti a prendere le loro provvigioni colà. Mr. Albert si mise a ridere, regalò il corriere e ordinò immantimente da pranzo e tre camere da Ietti .: io non dissi una sola parola. Dopo esserci cambiati da capo a piedi, asciugati e riscaldati, scendemmo per desinare : ma prima che fosse messo in tavola salì l'oste con una gran chiave in mano, e ci tenne il discorso che se- gue: « Ecco signori la chiave della rimessa dove sta la vostra carrozza : se avete degli effetti di valore nei bauli, vi consiglio a portarli nelle vostre camere da letto, perchè io non mi fo mallevadore di alcuna cosa. La mia casa è come un'isola in mezzo al mare che non ha altro vicinato , o altra difesa che un piccolo scoglio : il mio scoglio è quella caserma là che vedete, dove stanno dodici dragoni apposta per iscortare i viaggiatori che passano. Nelle caverne di que' monti alberga una turba di ladri i quali vengono a prender le loro provvigioni da me : e se li rifiu- tassi metterebbero a ferro e fuoco tutto ciò che pos- seggo , e me stesso il primo : però sono onesti e pagano liberamente quando hanno denaro. Son tutti conosciuti : harmo le lor famiglie ambulanti qua e là, G. G. Pkrrari. — Aneddoti. 11 162 G. GOT. FERRARI ne altro mezzo di sostenerle eh' assaltando e rubando i passeggieri : e se un postiglione non si fermasse quando si presentano , egli sarebbe certo d' essere ammazzato al suo ritorno. « Vengon mai a rubare in casa vostra 7 » chiese Mr. A. « Sì signore, » risposte l'oste, « quando sanno che vi son forestieri nel mio albergo : ma credo che non vi sia timore in questa notte, perchè la pioggia im- mensa ch'è caduta ha fatto alzar le acque nelle pa- ludi, ne sarebbe lor possibile di traversarle » . « Che peccato ! » « Che benedizione! » — diss'io. Finalmente fu servito il pranzo : pranzo veramente d'assassini ! Pesce d'acqua dolce o paludosa di tre giorni : carni fresche , legumi pieni di sabbia , vino cotto ; non si potè goder di nulla: proposi una frit- tata : la fecero con uova d'Anitra, fritte nell' oglio, che non la potemmo toccare : e la facemmo con pane e formaggio , ma il mio Inglesino ebbe cura (secondo 1' uso del suo paese) di procacciarsi del butirro. Dopo pranzo, visitando il suo letto, trovò che i materassi eran riempiti di foglie di grano d' India, « god-dem-it » esclamò egli : « io non dormirò mai sopra un tal letto» ; e sul punto ordinò una scor- ANEDDOTI PIACKVOLr E IN TEItKSSAN TI H)3 ta, che s'attaccassero i cavalli : e grazie a Dio par- timmo da queir osteria pericolosa e malsana. Ce- nammo con grande appetito, e tardi nella notte a Molo di Gaeta ed arrivammo a Napoli all'alzar del sole, senza trovare assassini ne alcun ostacolo , con molto cordoglio di Mr. Albert, ma con gran con- solazione dello scrittore. CAPITOLO XXIII. AVVENTURA DI MR. ALBERT -IL PADRE GIORDANO. LiA stessa mattina mi portai dal mio buon Paisiello. Stava egli occupato ; scrivendo i suoi graziosissimi Schiavi per amore né lo potei vedere : donna Ce- cilia e don Ciccio erano usciti. Passai lo stesso giorno da Latilla , per pregarlo di venire a ricominciare meco le sue lezioni, poi andai dalla Coltellini dove feci un ragguaglio del mio viaggio e successo a Roma come pur del ritorno col mio scolaro inglese. Mi consigliarono esse a chiedergli dieci carlini per lezione: osservai loro che io non pagavo che tre carlini al primo maestro di contrappunto di Napoli e che non ardiva chieder tanto : m'osservarono esse che io era professore, il Signor Albert dilettante inglese e per conseguenza ricco. 164 G, GOT. FKRRARI La stessa sera andai da donna Cecilia dove ri- petei la storia del mio viaggio e le chiesi se le Col- tellini m'avevano ben consigliato riguardo al mio sco- laro. Mi disse di sì, e che io doveva essere infor- mato che gl'inglesi sono particolari su questo punto, e che se io non facessi pagare un prezzo onorevole al mio scolare ei non mi considererebbe affatto. Pigliaù un tal consiglio e mi trovai bene poiché ei non fece alcuna difficoltà alla mia domanda e all' ultimo pa- gamento mi diede alcuni ducati più che non mi doveva. Nel corso della conversazione feci sentire le ariette che aveva composte a Roma come pure le "variazioni che non aveva ancora suonato a Napoli ; natural- mente in casa del mio maestro e davanti gli amici suoi non poteva mancare d'essere applaudito. V'era in quella società un certo Padre Giordano dell' or- dine dei Domenicani, il quale m'incoraggi moltissimo e di cui parlerò dopo aver detto qualche cosa del mio inglesino. M.r Albert era un giovine affabilissimo, non aveva gran disposizione per la musica, ma se ne occupava bastantemente e mi faceva molte finezze. Un giorno mi propose di far seco una corsa sul Vesuvio per entrar nel cratere. Sapendo io che l'eruzione era in- teramente finita, ne vedendo alcun fumo sgorgar da quella bocca accettai, ma la sera prima di andarvi ANEDDOTI PIACEVOLI K INTKKKSSANTX 165 mi fu detto che nella mattina di quel giorno vi erano restati soffocati e perduti due inglesi. Il giorno dopo, quando venne a prendermi il mio scolaro gli raccon- tai ciò che aveva udito e gli dichiarai che io non voleva certo salir la montagna, ma che, avendo egli fissato di desinare a Portici lo avrei accompagnato fino a quella città, mi sarei incaricato di ordinare il pranzo e 1' avrei aspettato colà sino al suo ritorno. E così avvenne. Salì egli con due amici inglesi, col suo servo, colla guida e col Romito che trovò per istrada. Appena entrati nel cratere sentirono una scossa. La guida scappò via subito , gridando : « Si salvi chi può ! Si salvi chi può ! » Scapparono tutti ec- cetto il mio amico, il quale fu sorpreso da una esplo- sione di fumo cocente che gli scottò la faccia e le mani e gli bruciò leggermente i capelli e i vestiti. Scappò allora anche lui, ma nello scendere in fretta dalla montagna cadde sulla ghiaia , fracassò il suo oriuolo, si ferì la faccia e le mani, insomma giunse all'albergo a Portici, dove io lo aspettava, come un ^cce homo. Lo lavarono subito da capo a piedi con olio di mandorla dolce e in pochi minuti si trovò meglio ed allegro e gioioso come una farfalla. Non potei fare a meno di fargli osservare che avendo avuto la fortuna di evitare gli assassini ei non do- veva esporsi a un pericolo ancor più minaccevole. 166 G. GOT. FERRARI « Come : — rispose egli con impeto ed entusiasmo — Che onore di morire in battaglia contro gli as- sassini ! Che gloria di perder la vita in un vulcano ! » « Bravo, signor Albert, — io soggiunsi ^bravissimo ! Ma per me preferirò sempre di morir tranquillamente sul mio letto, e di vecchiaia se m'è possibile » . Si mise a ridere e fummo sempre buoni amici. Il Padre Giordano era uno di quegli uomini che sembrano mandati nel mondo per far la delizia di chi li tratta , uno di quei sacerdoti che sostengono con onore e decoro la loro religione, senza puerilità o bacchettonerie. Era l'esempio del suo capitolo : buono, indulgente, caritatevole, e conosciuto e stimato da tutta Napoli. Sapeva la musica bene , tanto in teorica che in pratica poiché era sensibile a qua- lunque accordo, e cantava facilmente ogni cosa al- l'improvviso. Finiti i suoi doveri ecclesiastici ei pas- sava la sua vita (tanto che poteva) al pianoforte con Paisiello o Cimarosa cantando con essi la loro mu- sica: e nel sentire un duetto buffo da uno di quei maestri e dal Padre Giordano con 1' espressione e coli 'enfasi che vi mettevano si dimenticavano tutti i primi buffi caricati d'Europa! Tale era il trasporto di quel buon frate per la musica ch'ei la chiamava il più bel dono fatto da ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 16 7 Dio aHuomo. E diceva : — Iddio non ha creato l'arte musica, ma ha conferito alla natura dei mezzi onde produrla. Ha dato una voce cantante a certi uccelli maschi ed ai mortali dei due sessi, e produce la melodia : ha dato un suono e delle risonanze o vibrazioni armoniche ad alcuni metalli e cristalli, che generano l'armonia generale. Ha determinato una scala diatonica di sette soli suoni, ne vi ha arte ne scienza che possa estenderla senza ripetere la tonica all'ottava e così in seguito : e aumentando o dimi- nuendo i toni o i semitoni di detta scala e delle sue ripetizioni vi si trovano tutte le combinazioni imma- ginabih dell'armonia artifiziale. La musica ha un solo accordo consonante e perfetto, e gli accordi rivoltati e dissonanti derivan tutti dall'accordo naturale e per- fetto : e sono eccellenti, superbi, se usati con mo- derazione e giudizio, anzi fanno l'abbellimento del- l'armonia ed anche della melodiama dopo tutto, at- tratti dalla possanza della tonica o del basso fon- damentale, si dileguano a poco a poco e si perdono nell'accordo naturale e perfetto. La musica raddolcisce le passioni dell'uomo vio- lento ed infiamma quelle d'un uomo debole. Evvi alcuna cosa al mondo che inspiri più la vera reli- gione quanto il suono d'un organo in una chiesa o il sentire eseguire una musica sacra ? No. 168 G. OOT. FERRARI Dunque la musica è il più bel dono che abbia fatto Iddio all'uomo. CAPITOLO XXIV. RITORNO DELLA COLTELLINI - OPERE BUFFE - LA BA- RONESSA TALLEYRAND — VIAGGETTI ALL'ISOLA D'I- SCHIA - IL « PIRRO ». /arrivò da Vienna l'amabil Celestina, carica di ghirlande, per cogliere nuovi allori nel paese in cui incominciò e troncò la sua carriera teatrale : ella vi fu accolta cogli applausi che degnamente merita- va. Comparve nel!' opera Le gare generose, o gli Schiavi per Amore, con la sua sorella Annetta, che saliva allora sulla scena, con Viganoni, Casacciello, Trabalza secondo buffo, e Ferraro, buffo toscano ; e sebbene quell'opera fosse una delle più deboli di Pai- siello, pure piacque all'eccesso, essendo stata scritta con tanta naturalezza e verità : e sostenuta inoltre dai talenti rari e ingenui della Coltellini, di Casac- ciello e di Viganoni. Per second' opera di quella pri- mavera scrisse Guglielmi la Pastorella nobile e quel vecchio furbo e poltrone vi fece un quintetto superbo nel prim'atto, poi un duettino da piazza nel terz'atto che sostennero tutta l'opera. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTKKESSANT( 169 Nel principio di quell'anno giunse a Napoli con la sua famiglia un nuovo ambasciatore di Francia, il barone Talleyrand, la cui sposa sonava il piano- forte molto bene. Sedotta già dalla musica di Pai- siello, se ne invaghì ancor più sentendola eseguita da lui stesso, o sotto la sua direzione: gli fece mille onori e finezze, per segno che lo indusse a darle le- zione di canto , il che quel compositore detestava di fare : e non passò molto tempo eh' ei divenne l'i- dolo di quella famiglia ne si trovava più che all'Am- basciata di Francia. Andava la mattina a dar le- zione alla baronessa, la quale gli aveva fatto prepa- rare un appartamento per studiare e scrivervi la sua musica ; pranzava seco lei e colla sua famiglia, ne ri- tornava a casa che per cenare con Donna Cecilia. Aveva Madama Talleyrand una cameriera. Mademoi- selle Julie, che sebbene non giovine, ne bella, era però tanto allegra e buffoncella che faceva il trastullo di ^ La giovane e bella baronessa de "iTalle^rand , moglie del Mare- sciallo di Campo barone Luigi ^KCaria Jìnna de Talleyrand-Périgord , nominato ambasciatore di Francia a papali tra il 1781 el'88, morto a 'Parigi nel 1799. Di lei e dell'ambasciatore parla sovente nel suo Journal d'émigration il conte Guglielmo "Uommaso d' Espinchal, che in Napoli passò i mesi di gennaio e febbraio del 1790. Il barone di "Ual- leyrand aveva due palchetti al San Carlo, comunicanti così da consti- tuirne uno solo, ove l'ambasciatore e la moglie ricevevano specie i si- gnori francesi. — s. d. g. 170 G. (iOT. FERRA Kl Paisiello. Era essa incaricata quand'egli studiava di portargli ora una tazza di cioccolatte, ora delle frutta con vino di Francia, etc. : e il buon maestro, all'e- sempio di Molière colla sua serva, le faceva sentire i pezzi che aveva composto, ed ella impudentemente, ma sempre scherzando, lo lodava o lo criticava se- condo la sua opinione. E talvolta — mi disse Pai- siello stesso — l'ha indovmata. — Ogni dopo pranzo soleva l'ambasciatrice fare un giro in carrozza per la città: Paisiello la seguiva nella carrozzella sua, a solo a solo con Mademoiselle Julie, E queir intrigo platonico faceva rider tutti quelli che li conoscevano ! Ma ciò che faceva ridere ancora più , era il veder Guglielmi geloso che il suo rivale in musica seguisse il cocchio di un am- basciatrice di Francia, Si mise a seguir Paisiello colla sua calessetta scoperta guidando i cavalli egli stesso, ed accanto alla sua bella, un mezzo secolo più gio- vine del patito maestro. Nell'autunno susseguente la baronessa Talleyrand affittò una gran casa di cam- pagna nell'Isola d'Ischia, sedici miglia all'incirca da Napoli : e v'invitò il suo maestro di canto, e vi fece preparare un appartamento per lui. Aveva io allora già scritto, sotto la correzione di Paisiello, molta mu- sica da camera e da teatro: e stava scrivendo un'o- pera buffa di Goldoni, Le pescatrici, che mi suggerì ANKDDOTI PIACKVOLI E INTERESSANTI 171 il mio maestro — Partì egli per Ischia, e pochi giorni dopo arrivò da Vienna il tenente Gamerra di Man- tova, col suo famoso poema di Pirro. Feci la sua conoscenza alla conversazione di Donna Cecilia, e m'invitò a sentirgli leggere il suo libretto : ci andai e ne fui edificato : mi disse che partiva tosto per Ischia con la speranza di sedurre il gran maestro a mettere il suo poema in musica, e che se voleva dargli una lettera, o altra cosa, ei se ne incariche- rebbe con piacere. — Colsi l'occasione di far, così si suol dire, un viaggio e due servizii; raccomandai il poeta e il suo libretto, e chiesi il permesso di fare una visita al mio maestro, per mostrare i pezzi che io aveva già scritto delle Pescatrici. Fu accolto collo stesso favore il poeta, come fu accolto il suo Pirro, ed ebbi in risposta verbale dal tenente, che sarei benvenuto ad Ischia ogni qualvolta ci volessi an- dare. Essendo io conosciuto dal maggiordono del- ^ Qiovannì de Gamerra, tipo Ira il letterato e V avventuriero -, come di molti ne fiorirono nella seconda metà del settecento sullo stampo del Casanova e del Da T^onte, fu uno de' più zelanti e più fecondi scrit- tori di quelle commedie lagrimose, di que' drammi urbani che tra la commedia e la tragedia si fecero posto con molta frequenza anche in Italia, dopo che avevano messo piede sui palcoscenici di Francia. Il Fer- rari dice modenese il de Gamerra : il Tfossi (Stona della letteratura ita- liana etc. eie. Vallardi, 1903) lo tiene per livornese, nato nel 1743, morto nel 1803. ^ra jìbate, e ufficiale nell'esercito austriaco. 172 G. GOT. FERRARI l'Ambasciata di Francia, ottenni con facilità il per- messo d' imbarcarmi sulla felucca che portava le provvisioni fresche e giornaliere all'ambasciatrice. Partimmo nel principio d'ottobre, una sera verso mezzanotte, con un chiaro di luna splendidissimo, e sopra un mare placido e rilucente come uno spec- chio : poco dopo aver passata l'isola di Procida si levò un vento impetuoso che portò il mio cappello e quasi me stesso in mezzo al mare: la felucca an- dava verso Ischia, il cappello verso Procida : pregai i marmai di raccormelo se potessero, ma mi rispo- sero esser caduto sopra una corrente, e che se vi andassero dietro rischierebbero di naufragare su quel- l'isoletta o per lo meno di restarvi sino al cambiar della corrente : ciò mi fé sospettare che quella cor- rente debba essere una specie di marea del Medi- terraneo. Comunque la cosa vada, fui troppo felice d'arrivare ad Ischia colla mia berretta da notte per cappello poiché appena sbarcati, si mise il mare in agitazione e burrasca tale da far paura... Trovai asilo nella casetta di un pescatore, ove pigliai in affitto una camera da letto per una settimana, e feci l'ac- cordo che mi darebbero da colazione, pranzo e cena per due carlini al giorno tutto insieme cioè otto soldi inglesi, mirabile dictu ! E che pesce di varie qua- lità che vi mangiai ! E che vino d'Ischia squisito, e ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 173 a discrezione che vi bevei! Mi portai la stessa mat- tina dal mio caro maestro , il qual mi dimostrò il più gran piacere in vedermi, e mi dette una leziont che valse dieci : mi presentò poscia a Mademoiselle Julie, ed essa mi condusse nella sua camera, e mi dette dei rinfreschi in profusione , con del vino di Francia da ambasciatore : mi accompagnò poscia a passeggiar nel giardino e nei boschetti: e così con- tinuai tutti i giorni, tanto che rimasi in quell'isola de- liziosa. Il settimo giorno andai a prendere lezione e congedo dal mio maestro, ed ei m'incoraggiò a re- stare una settimana di più per finire col suo aiuto il prim'atto delle mie « Pesca/nci ». Lo ringraziai, e mi determinai a restare. Dopo la lezione, mi disse che l'ambasciatrice aspettava dei dilettanti di musica a pranzo, che il suo pianoforte era molto scordato, e che s'io potessi e volessi accordarlo gli farei il più gran piacere. Per contentar quel buon uomo me ne incaricai, benché non avessi mai fatto tal cosa : mi presentò allora alla baronessa, ed ella mi chiese qual era il mio metodo. Io mi feci rosso, pur le dissi che pensavo di accordar tutte le quinte, poi le loro ot- tave, le terze ecc. : non sapendo essa in tal cosa più di me, trovò il mio metodo sublime, mi ringraziò del fastidio che mi voleva dare, e mi lasciò solo all'i- strumento. Incominciai dunque ad accordare tutte le 174 G. GOT. FERRARI quinte totalmente perfette, indi provando due o tre accordi sentii una discordanza da scorticare le orec- chie: provai poscia accordando tutte le terze mag- giori e minori, la confusione era ancor peggio : allora perdei la testa: ansioso di riuscire, temendo di man- care mi tremò la mano, ruppi dieci o dodici corde e lasciai l'istromento in uno stato da non potersi sentire. Confuso e avvilito della mia disfatta , tro- vai un mezzo per iscapparmene : andai sul tramonto alla camera di Mademoiselle Julie, e la pregai di lasciarmi scrivere un viglietto a Paisiello, nel quale l'informava della mia disgrazia, ma che gli promet- teva che il pianoforte di sua Eccellenza sarebbe messo in ordine in tempo per divertire la sera la di lei società: pregai poscia la cameriera di portare quel viglietto a chi spettavasi : ma nel mentre che ella s'incaricò di tal commissione io scappai via come un cavallo da corsa, andai dal mio pescatore, e lo feci sospettare ch'io aveva dei dispacci per l'ambasciata: chiamò egli subito il suo figlio, mise la sua barchetta in mare, e remando tutti e tre come galeotti, arri- vammo a Napoli in quattr'ore di tempo : feci i esta- re i battellieri al molo e andai sul momento dal mio accordatore, il Mosca, ed ei partì in pochi minuti con la stessa barchetta per Ischia. La sera seguente mi portai a casa di Mosca per ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 175 sapere le nuove e fui molto felice in sentire che Pai- siello e l'ambasciatrice furon sensibili alla mia atten- zione, e attività, invitandomi di ritornare a quell'i- sola ogni qualvolta mi piacerebbe d'andarvi. Ci ri- tornai dieci o dodici giorni dopo, col prim'atto della mia operetta finita : la baronessa mi accolse colla più gran bontà : volle sentir la mia musica e ne fu molto contenta; mi fece mille finezze, e divenne poi mia scolara d'accompagnamento, tre anni dopo, a Parigi. Restai anche quella volta una settimana in quel luogo, e mi fu di grande utilità l'esaminare il poema di Gamerra, e la musica che il compositore vi faceva sopra. Alla metà di Novembre ritornò Paisiello a Na- poli , colle parti cantanti del suo « Pirro » finite, e le principali d'esse scritte per la Danzi le Brun, per Roncaglia primo uomo, ^ Manzoletto secondo uomo, e David, nella sua perfezione, tenore. S'incomincia- ron le prove, e il mio maestro bramò che io vi as- sistessi a tutte e stessi al cembalo. Che gloria per ^ Francesco Roncaglia, Faentino, nato nel 1 750, fu uno dei can- tanti del teatro di JKCanheim, nel 1772. 3^el 1881 cantò a Roma, nel 1784 a Napoli, scrive il Fétis. Invece il l^oncaglia cantò al San Carlo di Scapoli in agosto del 1783, nell'Oreste di Cimarosa. Il Pirro di Paisiello si dette nel gennaio del 1787, e il Roncaglia vi fece la parte di Pirro, la Danzi Le Brun quella di Polissena. 176 G. GOT. FEKRARI me ! I cantanti non sapendo ch'io conosceva quella musica mi presero per un prodigio ; la Danzi mi chiamò per intraprendere l'educazione musicale della sua fi- gliolina : David e Manzoletto mi furon di gran van- taggio in appresso. Si rappresentò finalmente il Pirro, ed dbbe il successo che meritava. L'introduzione dei finali in un'opera seria piacque moltissimo, come pure l'aria di bravura della Danzi, il rondò di Roncaglia, l'arietta scritta in amicizia pel debole Manzoletto, il duetto, e il terzetto ; ma poi la scena magnifica di David, portò la palma, e co- ronò il cantante e il compositore. CAPITOLO XXV. IL CONTE SKAVRONSKY — MALATTIA — PARTENZA DA NAPOLI. OI trovava allora in Napoli un ambasciatore russo, il Conte Skavronsky , uomo di mezza età : ama- bile, liberale, ma alquanto stravagante e fanatico per la musica. Aveva quattro professori stabili al suo ser- vizio, due di violino, uno di viola, l'altro di violon- cello, l'impiego dei quali non era che di suonar dei duetti, terzetti o quartetti mentre Sua Eccellenza pren- deva i suoi pasti. Portato egli già per Paisiello, che ANEDDOTI PIACEVOLI K INTKKESSANTI 177 aveva conosciuto in Russia, fu tanto tocco del suo Pirro che dal momento che lo vide rappresentare non volle più sentire altra musica vocale che di quel compositore. Teneva a tale oggetto delle piccole ac- cademie e i suoi cantanti favoriti erano l'Annetta Coltellini, David, Carlo Rovedino e il buffoncello Man- zoletto che lo divertiva più colle sue storielle che col suo flebil canto. Essendo essi tutti miei amici m'introdussero facilmente dal signor Conte come ac- compagnatore. Contento egli della maniera con la quale io eseguiva quella musica prese per me un a- micizia grande e mi voleva quasi tutti i giorni e tutte le sere a far seco musica, mi portava nella sua car- rozza e nei suoi palchetti ai teatri ; giocava meco al biliardo e quando perdeva mi pagava, ma quando era vincitore ei diceva : Mi pagherete in Paradiso. Ebbi inoltre il vantaggio di conoscere in casa sua diversi personaggi distinti, tali che l'Abate di Bour- bon, l'interessante Lady E. Forster, e S. A. R. il Duca di Cumberland che viaggiava col suo maestro e violinista F. Giardini. 1 // violinista e compositore Giardini (Felice) nacque a Torino ne [ 1716, studiò a t^KCilano il canto, il pianoforte e l' armonia col Pala- dini. Tornò a "Uorino per dedicarsi completamente allo studio del vio- lino, e vi fu scolaro di Somis. Tentò di farsi strada a Roma e non gli riuscì. Venuto a Scapoli fu ammesso a far parte dell'orchestra del G. G. Febraki — Aveddoti. 12 178 G. OOT. FERRAUl Tutti questi onori lusingavano certamente il mio amor proprio, ma il mangiar tanti cibi e il bere tanti liquori ai quali io non era avvezzo nocevano molto alla mia salute : il vegliare poi sino all'una o le due dopo la mezzanotte m'ammazzava, poiché m'era ne- cessario di alzarmi di buon'ora per non interrompere il mio studio. Infatti pochi mesi dopo aver fatta la cono- scenza di quel signore mi commciai a indebolire, e mi trovai così male che fui obligato di chiamare un medico il quale trovando che la mia lingua era bianca mi diede, secondo l'uso di allora in Napoli, un pos- sente vomitivo, e così continuò per otto giorni con- secutivi facendomi osservare inoltre una dieta la più severa, e in capo a una settimana mi ridusse come uno scheletro e da non poter reggermi in piedi. Feci parte al buon conte Skavronsky della mia situa- zione ed egli ebbe la compiacenza di venirmi a ve- dere col suo medico, il rinomato dottor Cotugno. Questi mi vietò i vomitivi , mi ordinò di masti- care della radice di rabarbaro e d' inghiottirne il sugo, mi prescrisse una dieta soffribile e in poche settimane mi trovai ancora in vita. Prima che io la- « San Carlo » e fu assai protetto da sir IVt'lliam Hamilton. Morì in Russia, a Mosca, nel 1796, a ottant'anni. Un suo ritratto, inciso dal ^ariolozzi, nel Ì765, è sul frontespizio della collezione dei suoi 12 a solo di violino dedicati al duca di Brunswick.. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTEUESSANTI 179 sci di parlar di quel Conte bisogna che dica un aned- doto conosciuto sui teatri d'Europa ma la cui ori- gine è appena nota. Un certo giorno mi trovava a solo a solo con quell'ambasciatore : egli al pianoforte, io accanto a lui. Stava preludiando, modulando, o per dir meglio arpeggiando, e mi dimandava di tempo in tempo se era giusto. Io non poteva rispondergli che di sì poi- ché egli non modulava che dalla tonica alla dominante o alla sottodominante. Sopraggiunge un cameriere, e presenta un servitore ceduto e raccomandato a Sua Eccellenza dalla Principessa Gragaring nel momento del di lei ritorno in Russia. S'avanza il servitore, e il signor Conte, modulando sempre, gli domanda il suo nome. — Bartolomeo, schiavo dell'Eccellenza vostra. — Sai tu la musica ? — Eccellenza, no. — Canti ? — Eccellenza, no. , — Suoni un poco il violino ? — Nemmeno. — Il contrabbasso ? — Neppure. — Il calascione ? — Neanche. 180 G. GOT. FKRRARI Allora, impaziente, il nobil musicante, senza la- sciare il suo arpeggio, declama sopra una cantilena volgare ciò che segue. — Bartolomeo, non fai per me ! Bartolomeo non fai per me ! Il servitore , astuto ed impudente , gli risponde con lo stesso tono di voce e sulla stessa cantilena: — Non me ne importa un fico affé! Non me ne importa un fico affé ! S'alza dal pianoforte l'amabile ambasciatore incan- tato dell'orecchio sopraffino di quel furbaccio : chiama il cameriere e gli ordina di metterlo in livrea e d'im- pegnarlo al suo servizio. Quest'aneddoto trovasi rappresentato in una scena di Biscroma e don Febèo nell'opera il Fanatico per la musica, nella quale si distinse cotanto a Lisbona ed a Londra il celebre Naldi. Dopo il mio ritorno da Roma a Napoli stetti sem- pre in corrispondenza col cavalier Campan, tanto per affari musicali quanto pel progetto e per l'offerta ama- bile che m'aveva fatto di portarmi seco a Parigi. A quell'epoca non si parlava per tutta l'Europa che della famosa collana di diamanti che compromise tanto Madame de la Motte, il Cardinale Rohan e la Regina di Francia stessa. Si diceva che Luigi XVI stava per convocare gli Stati Generali, che c'erano ANEUDOri PIACKVOM e INTEKESSANTI J81 dei gran disturbi a Parigi, e che vi sarebbe infalli- bilmente una rivoluzione. Tal nome sempre ingrato al mio orecchio mi faceva paura, ed io esitava se an- drei o no. Durante la mia malattia ricevei da monsieur Cam- pan una lettera nella quale mi diceva che suo pa- dre, segretario della Regina di Francia, gli ordinava di trovarsi a Parigi nel susseguente Luglio e che vo lendo fare il giro dell' Itaha avea fissato di lasciar Roma nel principio di Maggio, M'invitava nello stesso tempo di raggiungerlo colà verso la fine dell'Aprile per far conoscere ai nostri amici ciò che avea per lui composto. Mostrai la sua lettera al buon Conte, il qual disse francamente che gh rincresceva molto di dovermi consigliare a profittare dell'occasione. Feci vedere la stessa lettera a Paisiello ed a Latilla, ed essi onestamente mi dichiararono che quella era una fortuna per me, ma che doveva studiare e lavorare da me se mai io aspirava a diventare qualche cosa nel mondo. Ciò mi indusse a partire, ma ohimè che partenza, ohimè, che congedi ! Il mio cuore era pieno d'amicizia e di riconoscenza per le Coltellini, per Pai- siello e per Skavronsky che, dopo d'avermi col- mato di bontà, mi regalò nel partire una scatola d'oro piena di venti Luigi per avergli dedicato le mie venti- quattro variazioni. Io era inoltre attaccatissimo ai buoni 182 O. GOT. FERRARI ed affabili abitanti di quella città, alla situazione pit- toresca ed al clima sanissimo e temperato dai venti di terra. Le passeggiate sul Molo, a Chiaja e nella Villa Reale, le vedute deliziose campestri e marit- time che si presentavano a ogni tratto alla vista, il fenomeno del Vesuvio, Capodimonte, la Solfatara, Pozzuoli era tanti ami al mio cuore. Quei bei chiari di luna, quel ciel sereno e stellato, quel mare rilu- cente come un cristallo quando gli astri stessi e i pianeti vi si specchiavano dentro, m'inspiravano dei sentimenti sublimi di rispetto e d'adorazione per la Divinità. Ciò che mi rincresceva non poco ancora nel dover lasciare quella metropoli era il non potere assi- stere alle prove ed alla prima rappresentazione del- l'opera La ^ACina che si stava preparando , tanto più che Paisiello m'aveva mostrato il libretto fran- cese e detto che se quel poema fosse ben tradotto e ch'egli lo ncarrasse, cioè lo indovinasse, morirebbe contento. Infatti egli scrisse delle gran belle cose prima di quest'opera, ne ha scritto tante altre dopo, ma non ha mai potuto sorpassare la Nina. Fu questa scritta per le due sorelle Coltellini, per Lazzarini, Tasca, Trabalza, di Giovanni e la Bollini, e rap- presentata la prima volta al Teatro Reale di Caserta con un furore di cui non c'è mai stato esempio. Piac- que moltissimo per tutta l'Europa : ma che differenza ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 183 dal sentire un'opera messa in iscena dal maestro che l'ha composta ed eseguita dalla compagnia per cui fu scritta, dal sentirla sagrificata quasi sempre dai capricci di chi la dirige o di chi la eseguisce ! Finalmente ai 20 di Aprile lasciai Napoli (1789) e nel prender commiato dai miei amici mi pareva di lasciare il mio cuore stesso in quella terra pro- messa, in quel paradiso terrestre. Non v'ha dubbio che i Napolitani hanno gran ragione se son superbi del loro paese e se dicono e ripetono : — Vedi Napoli e poi muori ! CAPITOLO XXVI. ARRIVO A ROMA — GITA A FRASCATI— ANEDDOTO DEL PAPA LAMBERTINI -INCONTRO COL CONTE SKAVRON- SKY - PARTENZA PER FIRENZE. /\rrivai a Roma il dì 25, tristo, stanco ed iso- lato come un pellegrino e annoiato all'eccesso dalla lentezza del viaggiare con quel tedioso e insoppor- tabile procaccio. Mi portai subito dal cavalier Cam- pan ove trovai una letterina che m'invitava di rag- giungerlo a Frascati dov'egli stava in villeggiatura col suo caro dottor Martelli e colla vezzosa Martel- lina, Mi pregava di portare la mia viola, il terzetto 184 O. GOT. FKURARI e quartetto che già sapeva aver io composto per lui a Napoli, e di condur meco un professore di violino ed uno di violoncello per provarli. Passai la sera metà dal mio principino, metà dalle demoiselles La- grenès, e la mattina eseguii ciò che il signor Cam- pan desiderava. Appena giunti a Frascati si provò la mia musica : il cavaliere e i due professori ne fu- rono contentissimi ma il dottorello mi criticò, preten- dendo che io aveva imitato Pleyel e per conse- gnenza lo stile tedesco. Gli risposi che avendo sen- titi i quartetti di Pleyel Op. 2 al mio primo arrivo a Napoli eseguiti da lui stesso, e poi sentiti e risen- titi da altri per due anni e mezzo consecutivi non era meraviglia ch'io fossi caduto in quello stile, ma che mi pareva che la melodia di quel compositore fosse piuttosto italiana che altro, e che sarei felice se le mie composizioni istrumentali potessero rasso- migliare alle sue. Soggiunse egli : Tutto quel che dite sarà vero, ma Pleyel è un tedesco e voi non dovete aver che fare con la musica tedesca. Monsieur Campan e l'amabil Rosinella risero : io non parlai più, ma vidi in sul punto e per la prima volta che anche gli uomini di senno hanno i loro pregiudizi e debolezze. La mia gita a Frascati mi consolò un pochino dal ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 185 cordoglio che provai nel lasciar Napoli : faceva mat- tina e sera delle scorrerie lunghissime, ora a piedi ora sull'asinelio, per quelle spaziose pianure e sulle colline fiorite che le circondano : nel giorno or si fa- ceva della musica or si leggeva, or si giocava: tal- volta io componeva, talvolta l'amabil Martelli ci in- tratteneva con le sue istorielle : insomma si passava il tempo senza annoiarsi. Chiesi un giorno al dottore di compormi le parole di un'arietta buffa per diver- tire la nostra società, ed ei lo fece. Mi declamò i suoi versi ed io scrissi l'arietta in pochi minuti in sua presenza, e glie la feci sentire. Restò egli con- tento della musica e meravigliato della mia prontez- za, ma io ancora più di lui poiché sino a quel tem- po mi ci volevano talvolta delle ore per trovare una melodia piacevole e non usata; ma mi accorsi su- bito, e molto più in appresso, ch'era stata la declama- zione del poeta che m'aveva fatto trovar cosi pre- sto il soggetto e il tutto insieme dell'arietta. Fu que- sta applaudita a Frascati come si può immaginare, fu poscia uno dei miei quaresimali a Roma, per tutta l'Italia, a Lione e per qualche mese dopo anche a Parigi. Tra le storielle che ci raccontò in quel tempo l'a- mabil dottorino me ne viene alla memoria una che non mi pare disgradevole. 186 G. GOT. FEKRAKI E noto che il Papa Lambertini fu un uomo di talento e di grande spirito. Durante il suo regno fu tenuto da lui un giubileo. S'avanza egli, secondo il solito, seguito da cardinali, prelati, vescovi, arcive- scovi ecc. ecc. Neil' affacciarsi alla finestra del Va- ticano e nel vedere la piazza immensa di San Pie- tro coperta di gente, e che la folla andava fino al ponte del Castel Sant'Angelo, restò stupefatto e chiese al suo cardinal segretario : — Che cosa vuol dire tutto questo, caro il mio cardinale 7 — Santità, si tratta d'un giubileo ! — Va bene, va bene ; ma non vedete quanti si- gnori, quanti cavalli ornati con piume pompose e rare gemme ? Quante carrozze guarnite con festoni di velluto, di raso, di damasco? — Santità, dal povero sino al ricco, dal conta- dino sino al sovrano, siam tutti peccatori su questa terra, eccetto Vostra Santità ! — Va benissimo. Ma non posso capire come tutto quel popolo possa sostenersi e vestir così bene. — Santo Padre, la cosa è chiara. — E come } — La metà minchionando l'altra metà ! — Ebbene, in tale occasione bisogna assolverli tutti ! ANKDnOTI PIACEVOLI K INTERESSANTI 187 E in ciò dire diede la benedizione. Ai 3 di maggio Monsier Campan ci portò tutti a Roma e là restai con esso sino ai dodici uscendo quasi tutti i giorni seco per far sentire la mia mu- sica di qua e di là. Ebbi ancora miglior successo che l'anno prima ma ciò non m'insuperbiva punto perchè io sapeva di non esser un gran sonatore, e in quanto al comporre era già invaghito delle sonate e dei quartetti d'Hayden e di Mozart in cui vedeva la mia distanza e la loro superiorità ; anzi temeva di dover produrmi a Firenze, a Venezia e a Milano dove la musica istrumentale era un poco più colti- vata che a Roma e a Napoli, ne avrei mai creduto che il mio cavaliere pensasse di espormi e di esporsi a Parigi : ma egli non temeva nulla, si credeva il violino più perfetto in Europa e prima di lasciar Roma mi fece promettere che non avrei mai accompagnato a Parigi le mie sonatine con chicchessia fuori di lui solo : ciò mi dispiacque all'eccesso, pure fui obbli- gato di sottomettermi. Il dì 1 0 traversando la Piazza di Spagna incon- trai inaspettatamente il Conte Skavronsky che mi dimandò con premura s'io non andava più a Pari- gi. Gli dissi che partiva fra due giorni — Mi dispiace — egli soggiunse — mi dispiace molto! Vi consigliai di andarvi io stesso, ma allora gli affari di Francia Ci. GOT. FERRARI non erano nell'imbroglio in cui si trovano ora, e si teme da per tutto una rivoluzione vicina. Sarebbe meglio che veniste meco nella Crimea: parto domat- tina, e in quindici giorni saremo a Kérson dove ve- drete l'incoronazione della mia sovrana Catterina im- peratrice di tutte le Russie. Sapete che Paisiello fu per otto anni di seguito il suo compositore favorito a Pietroburgo, e dette lezione di canto alla gran- duchessa ? Vi presenterò a tutte e due sicuro che sarete bene accolto e che farete una rapida fortuna nella Russia. Che tentazione! Viaggiare come il vento, vedere un'incoronazione, evitare una rivoluzione, e la sec- catura d'accompagnare continuamente le mie sonati- ne ! Era quasi sul punto d'accettare l'offerta e di far le mie scuse col cavalier Campan, a cui aveva già dimostrato più volte il mio timore d'andare a Pari- gi, ma Skavronsky credendo di tentarmi un po' più mi fece entrare nella casa da cui usciva per farmi vedere la sua carrozza da viaggio. Era questa una specie di vis -a- vis, forte , bassissima , mezzo co- perta, e con certe catene di ferro battuto per molle, da fracassar le ossa di un orso. Esaminata la car- rozzella mi voltai verso il conte, lo ringraziai della sua cortese offerta, e gli feci osservare che essendo ancor fresco di malattia non avrei potuto sopportare ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 189 la quarta parte di quel viaggio senza morire. Ei sor- rise, mi disse che io aveva ragione e che mi desi- derava tranquillità e felicità a Parigi. Preso commiato dai già nominati amici il dì do- dici partimmo per Firenze, preceduti da un certo Pip- po, corriere e servitore di monsieur Campan. CAPITOLO XXVII. PERSONAGGI DISTINTI A FIRENZE -BOLOGNA E VENE- ZIA — DISCORSETTO COL FIGLIO DEL BANCHIERE LUI- SELLO. Arrivammo il 1 7 maggio 1 787 nella capitale della bella, ricca e ben coltivata Toscana, e dal 1 8 al 26 si pranzò ogni giorno dall'Ambasciatore di Fran- cia, il Conte Durfort. Dopo pranzo, si faceva tal- volta della musica privata: ora giuocavasi al bigliar- do, ora s'andava al teatro ; poi si ritornava a cena, e sempre coll'amabile ed elegante parigina, la Con- tessa Venture. Era ella una dama compitissima: toc- cava i cinquant'anni, ma mediante l'acconciatura dei suoi capelli, a forza di rossetto, di nastri, di gioie etc. compariva una verginella di quindici anni. Pre- tendeva esser pazza per la musica, ma non sapeva nulla e nulla sentiva ; e quando si metteva a can- 190 G. GOT. FERKARI tare era una vera caricatura della scuola antica fran- cese da far pietà e da attaccare i nervi. Presentai monsieur Campan al cavalier Fontana che ci accolse colla più gran garbatezza, e ci fece vedere a nostro comodo tutte le camere del suo Gabinetto di Storia Naturale rinomato in tutta l'Europa: ma che essendo stato eretto da un mio patriota non posso fare a meno di lodarlo io stesso e di raccomandare a tutti i viaggiatori di vedere uno stabilimento così singolare e superbo. Ai ventisette si parti per Bologna, dove eravamo già stati prima : si dormì a Covigliaio vicino al Monte fuoco, chiamato dai fiorentini Monte Fuoho : feno- meno che mi pare più straordinario del Vesuvio a Napoli e del Monte bianco in Isvizzera, poiché egli è sempre acceso, non brucia alcuna cosa, e se vi piove sopra s'accende di più e si fa più bello. Scendemmo a Bologna nel palazzo del conte Odoar- do Pepoli, amico del cavaliere, e vi restammo solo due giorni per rivedere la famosa specola che non si ve- drebbe mai abbastanza e per far conoscenza col ce- lebre padre maestro Mattei, uomo amabile, compo- sitore scientifico, pieno di gusto e a cui Liverati e Rossini, suoi scolari, hanno grandi obbligazioni. Il conte Pepoli era uno di quei buoni bolognesi alla mano, senza cerimonie, e tali che li rappresenta così ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 191 bene il Goldoni nelle sue chiare e spiritose comme- die col carattere del Dottor Balanzon. Suonava molto bene il violino e tanto era innamorato del suo istro- mento ch'egli offriva di scommettere qualunque cosa che avrebbe suonato ventiquattr'ore consecutive senza mai alzarsi dalla sua sedia. Ci dette due pranzi e due cene, sontuosi, ne mi son mai scordato delle sue squisite mortadelle di Bologna. Si restò due giorni a Pa- dova e il dì 5 di giugno s'arrivò nella sempre me- ravigliosa Venezia, dove si restò sino ai 29 per ve- der la regata, lo sposalizio del mare, la coccagna ed altre allegrie che si vedevano allora al tempo della senso, e ascensione. Da Roma sino alle lagune dell'Adriatico avemmo sempre un successo felice colla mia musica: ma en- trai in Venezia provammo uno scacco inaspettato e un po' duretto. Il giorno dopo il nostro arrivo pran- zammo dall'ambasciatore di Francia l'amabil Conte Challon : eravi tra gli altri madama Las - Casas, ambasciatrice di Spagna a Parma, che stava facendo il viaggio d'Italia, e madama Lamberti milanese, che ritornava da Napoli per rimpatriarsi. Eran esse due bellezze rarissime e viaggiavano coi loro sposi i quali avevano piuttosto l'apparenza di due bambini. Ognuno s'affrettava a corteggiare le dame : nessuno si dava il disturbo di guardare in faccia i cavalieri. Essi erano 192 G. GOT. ferrar: però contenti, contentissimi di vedere le loro mogli ammirate. Era vi un certo Marchese d'Hautfort, di Parigi, il mi- glior dilettante di violino che io avessi sentito in sin al- .lora. Viaggiava egli con tre professori che manteneva alla sua tavola e che salariava, e ovunque si fermava si divertiva ad eseguire e a far sentire ai suoi amici i quartetti di Vanhall, di Stamitz, di Daveaux, di Pleyel ed anche alcuni di Hayden ch'ei suonava molto bene. Convenuto il marchese coli' ambasciatore di fare un po' di musica dopo pranzo si mise a suo- nare coi suoi professori un quartetto di Pleyel: sor- prese tutti e fu applaudito da ognuno. Monsieur Cam- pan però, non convinto della di lui superiorità, ebbe coraggio di chiedergli i suoi sonatori per accompa- gnargli il mio quartetto, e monsieur d'Hautfort con- discese con la più gran gentilezza Ma che! Il mio cavaliere incominciò a tremare, non poteva attaccare una nota, stonava orribilmente, sudava sangue d' an- sietà e di vergogna, a segno che alla metà del primo allegro fu obbligato a deporre l'archetto. Fece un'apo- logia, asserendo, com'era vero, di aver avuto un at- tacco d'asma nella notte che l'aveva tanto indebo- lito e che non poteva andare avanti. Fu scusato, e il trionfante marchese continuò a dilettare la com- pagnia. COLLEZ. SETTECENTESCA FERRARI - Aneddoti. /t >// C. ì ■( y/^--//, <^ //'// i/,v// i ~ " /- (^ li^ .^/UW/ì>«j'/&/, ' '/ri' .vu/ IL CONTE SKAWRONSKY Stampa della Lucchcsiana — Napoli, ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 19,S Quando vidi monsieur Campan tranquillo m'avvi- cinai a lui e gli dissi : Ma, caro signor cavaliere, se tanto ci dà tanto, che faremo poi a Parigi allorché ci produrremo davanti a Bruni, Giarnovick, Mestri- no, Viotti etc. ? « Lasciatemi in pace — mi rispose egli — ho ricevuto uno schiaffo dei più potenti : sono invaghito di quelle due bellezze : ne mi parlate di musica per questa sera ! » . Per fortuna partì il gran violino, ciò che diede campo al mio cavaliere di risorgere colle mie sona- tine. Si passarono molte giornate gradevoli nella società di monsieur Challon, ma io me la passai ancor me- glio in casa del vecchio corrispondente di mio pa- dre, il signor Pietro Luisello, banchiere, il cui figlio minore era un gobbetto amabile, faceto e pien di spi- rito naturale, come son tutti i veneziani. Mi portò più volte nel palchetto di suo padre al teatro della Fenice ove si rappresentava L'orfano della China, un'opera piuttosto debole di Bianchi, sostenuta però dalla voce soave e dalla maniera amabile di Babbini, ma ancor più dal merito singolare e trascendente di ^ Qiamhattista Viotti fu un illustre violinista piemontese ed ebbe vita avventurosa. t^(jtcque a Fontanetto, cantone di Crescentino, nel 1753. V. a proposilo di lui la copiosa biografia del Fétis cit. s. d. g. U. G. Fee«aki. — Aneddoti. 13 194 G. GOT. FKRRARI Pacchierotti, i cui modi di canto espressivi ed ele- ganti furono poi trasformati in volatine , fioretti , e miracoli. M'introdusse anche in diverse piacevolissime fcimi- glie e ovunque si andava e a qualunque ora del giorno o della notte appena entrati nella sala giun- geva un servitore o una serva, con due tazze di caf- fè. Gli feci un giorno una dimanda che terminò nel discorso che segue. — Mi dica un poco, signor Luisello caro, quante tazze di caffè bevono i signori veneziani nel corso di ventiquattr'ore ? — Cara eia, mi no ghe lo saveria dir per pon- tin : ma son seguro che qualche volta se ne prende tante quante le ventiquattr'ore del zorno. — Bravi ! E non li riscalda, non li frastorna dal dormire, non si bruciano gl'intestini ? — Che scaldar, che dormir, che hrusar! La sa- pia che quel che se beve a Venezia el xe tuto caffè de Alessandria el più perfetto e ben cura. (f/ se fa brustolar, raffredar, masinar, bollir e schia- rir ; po' el se prende fresco e caldo, e se la os- serva ben sedendo, sorbendo e smorosando vicino a qualche bela tosetta, e le cose bone, ben fate e che se tiol con gusto e con amor no le fa mal a nes- suno. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 195 — Benissimo ! — Ghala mai sentio el proverbio latin dei Ve- neziani sulla quantità delle chicchere de caffè che se prende ? — No. — Jl desso ghe lo digo mi. ^rima juvai, Secando nocet, Tertia necat, Et quarta placet. La quinta po', la sesta, la settima etc. le piase sempre e le se manda zo come Vogio, senza hru- sarse l'intestini. — Viva ! — La me diga, sior maestrin, come ghe piase Venezia ? — Molto, moltissimo ! — Digo, la ze una città che significa. Eh ? — Superba ! — Che ghe par de Bologna, Firenze e T^oma ? — Famose città, una più bella dell'altra. — Ma tutte tre assieme no le vai miga una Venezia sola. — Non potrei dir questo. — Ghala mai visto in quele tre città un Ponte de "Rialto? ]t>6 tì. GOT. FERRARI --No. — Una piazza San Marco ? — Nemmeno. — Le 'Procurane, el Palazzo Ducal, la ^iva dei Schiavoni, i Cavalli di bronzo^ el Lazareto, San Zorzi ? — Neppure. — Donca, Venezia sola vai più de tute quele I — Che fanatico ! — (^ che me dise eia de Scapoli ? — Oh qui mi toccate sul vivo ! Quel paese mi è stato, mi sta, e mi sarà sempre a cuore ! — Ma co'^a trovela de cusi straordinario in Napoli ? — Caro Luisello, la situazione, il clima , i fe- nomeni.... — / f enomini! Cospeto de quel can ch'ha ligà Giove! E non chiamela Venezia el più gran feno- meno dell' universo ? Una cittadona fahricada sin da mille e trecent' anni, in mezzo al mar che se dirave che V Onnipotente stesso l'abbia creada lì ? Un liogo dove no nasce per cusì dir una pianta, un albero, ne bestiame; che non dà un sorseto d'acqua ne un gotto de vin; che non produce grano, ne riso, ne orzo, ne oro, ne arzento e ne la qual se trova qualunque cosa se possa imaginar in un bat- ANEDDOTI PIACKVOLI K INTERESSANTI 197 ter d'occhio, in profusion e hon mercà? Questo xe el più gran fenomeno del mondo se la voi esser giusta. — Avete ragione d'esaltar la vostra patria , ma sapete bene che tutti i viaggiatori convengono che Napoli sorpassa tutto e che tutti approvano il pro- verbio antico dei Napoletani, che vi sarà noto. — Chiacole, chiacole, ma da puieleti! Tutti sii viazadori scimiotti e cicisbei i Va drio uno all'altro per la moda come va le pecore una drio all'altra per un poco d'erba. E se i siori Napoletani me dìse: « Vedi Napoli e poi mori!» mi ghe rispondo netto e schietto e da vero Venezian come son nato : Vede Venezia, e po' andeve a far impicar ! CAPITOLO XXVIII. PARTENZA DA VENEZIA — CONGEDO PIACEVOLE COL PADRONE DELLA LOCANDA - ARRIVO A VERONA. MILANO E GENOVA — IMBARCO PER NIZZA E BURRA- SCA A MEZZA STRADA — ARRIVO A MARSIGLIA, LIONE E PARIGI. IVlezz'ora prima di lasciar Venezia Monsieur Cam- pan saldò i suoi conti col padrone dell'albergo, e contento della sua moderatezza gli chiese amiche- volmente se tutti i Veneziani erano onesti com'esso. Sorrise l'oste e gli rispose : Vostra Eccellenza la 198 G. GtOT. FERRARI me fa un quesito delicato e intriga, e ghe diga el vero che no saveria come risponderghe, parola da galantomo. — Vi dirò : da che sono a Venezia ho osservato ogni giorno, mattina e sera, un gran numero di per- sone d'ogni classe passeggiare su e giù per la Piazza San Marco e sotto le Procuratie : poi entrare nei caffè, mangiare e bere, nei teatri, nei casini, e sempre le stesse figure. Vorrei sapere come quelli oziosi, quei goditori possano divertirsi continuamente e pro- cacciarsi il pane. — Oh, excellenza benedetta ! Se la me parla de quei vagabondi che ziro su e zò per San Marco, che i va drento qua e là per ogni banda, dove ghe xe trastulo o devertimento, ghe darò sodisfa- zion de bota solida e ghe dirò un proverbio che no fola, ne ha mai falò : Con arte e con inganno si vive mezzo l'anno : e con inganno ed arte si vive l'altra parte. — Bravo, signor padrone ! — esclamò Monsieur Campan. — Eccovi due ducati d'argento e favoritemene una copia. Prese l'oste il denaro, e nell'imbarcarci mi dette ANEDDOTI PIACEVOLI K INTERESSANTI 199 di soppiatto il proverbio in iscritto e una bottiglia im- pagliata di maraschino squisito da bere per viaggio, non osando offrirla egli stesso al cavaliere. Sbarcati a Fusina posteggiammo poscia fino a Vicenza e vi restammo mezza giornata per visitare il Monte Calvario o la Madonna del Monte, uno dei santuarii più celebri ed eretti in una situazione veramente santa. Dalla sommità di quel monte sco- presi ad occhio nudo una veduta ch'io non saprei descrivere. Pare che l'orizzonte si stenda sino al cielo : col telescopio poi si vede una gran parte delle pia- nure Lombarde, Venete e Romagnole, un gran nu- mero di città, borghi e villaggi, diversi fiumi, ponti, torri, castelli, palazzine, monasteri etc. Oh, che bella vista ! Ai trentuno arrivammo all'albergo delle Due Torri a Verona. Ivi lasciai il mio compagno per due giorni e presi, appena arrivato, un cavallo e un se- diolino a nolo per fare una gita a Roveredo tanto pel piacere di rivedere i miei fratelli, amici, e la Livietta, come per accomodar gli affari di famiglia col cugino e coll'Hortis, se mai potessi : ma quei due banditi, informati della mia improvvisa e corta permanenza, non si fecero vedere da me. Partii il terzo dì da Saco, sopra una zattera di mercanzia. 200 G. GOT. FERRA RI ed arrivai a Verona, dopo avere scorso cinquanta miglia sull'Adige in sette ore di tempo. Giunto all'albergo mi dissero che monsieur Cam- pan era fuori e che m'aspettava alle quattro. Colsi subito l'occasione di fare una visita al buon don Pandolfì, e posso dire che fummo ambedue felici nel rivederci. Passai poscia dall'amico Guierotti sol per curiosità di saper nuove della mia antica Giu- ditta e mi fu grato il sentire da lui ch'era già ma- ritata. Pranzai col cavaliere, poi s'andò in rena, o nell'Arena, per veder la caccia dei tori e il giorno dopo si vide la corsa dei barberi o cavalli di razza: due spettacoli uno più crudele dell'altro ma che però si veggono con ansietà e con un certo piacere da ogni persona. II giorno susseguente visitammo il mar- chese Carlotto, famosissimo sonatore dilettante di contrabasso. La sera si fece un po' di musica : re- stammo edificati del marchese ed ei fu contentissimo di noi. Quanto mi rincresce il non poter estendermi parlando e riparlando di quella ridente ed elegante città ! Ma è stato tanto detto su di essa che mi parrebbe im- portunare il lettore se ne dicessi d'avvantaggio. Ciò che mi consola è il sapere che il suo sovrano l'adora, che conosce il merito delle sue bellezze interiori, la ANEDDOTI PIACKVOLI E INTERESSANTI 201 bonomia dei suoi abitanti e il valore prezioso del suolo che la circonda. Ai sei di giugno si partì per Milano senza fer- marsi a Mantova o in altri luoghi che per cambiar cavalli, poiché Monsieur Campan aveva già visitate quelle città nella sua andata da Parigi a Roma. Arrivati a Milano e non trovando certe persone che Monsieur Campan s'aspettava di trovare, si determinò egli di partire prontamente per Genova. La sera prima della nostra partenza s'andò al teatro della Scala, dove si rappresentava un'opera meschina di Tarchi. La compagnia non era ne calda ne fredda, eccetto Marchesi, il quale non era però il cantante perfetto che divenne appresso, pur la sua voce ed esecuzione piacevano ai suoi compatriotti, tanto più che s'era offerto di cantar gratis in quell'occasione. Ma noi infatuati già per Pacchierotti, lasciammo il teatro dopo il primo atto. 11 giorno dopo si partì per Genova, dove si restò sino ai diciotto, per essere presenti alla processione del Corpus Domini così famosa in quella città e che è certamente degna di vedersi. Le strade son coperte di rose fresche sparse in abbondanza da ogni parte : una quantità di giovani verdi abeti tagliati apposta per quella circostanza e piantati o legati ai laterali delle strade offrono una scena graziosissima : k 202 G. GOT. FliRRARI dalle finestre dei primi piani delle case veggionsi , spiegate con gran pompa, le più eleganti stoffe d'ogni colore e dalle case dei signori se ne vedono molte in damasco, velluto e raso. Ciò che ci disgustò mol- tissimo in quella processione fu il vedere un numero di nobili genovesi andare a gara per portare a vi- cenda la gran croce che è un mobile d'immensa grandezza e di un peso da schiacciare un elefante. Quattro robusti facchini la levavano con gran fatica dalla saccoccia di cuoio che pendeva dalle spalle del superstizioso che portava la croce, per metterla in quella d'un altro ad ogni momento. Tal cerimonia ci parve la cosa più ridicola tormentosa e buffona che si possa dare. Pur ci divertimmo infinitamente a Genova essendo stati raccomandati con grande impegno dai Conti Durfort e Challon al console di Francia Monsieur Raulin, uomo di mezz'età, ama- bile, ospitaliere e generoso, però senza stravaganze o soverchierie. Aveva una bellissima casa situata in faccia al golfo ed elegantemente ammobigliata. Te- neva una tavola la più perfetta, e offriva tutto in abbondanza, di buon cuore e senza la minima ce- rimonia. Tanto che si stette cola ei c'invitò anzi ci sforzò a desinare e cenar seco, e tra i due pasti si andava ora alla commedia, nel suo palchetto, ora alla pas- ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 203 saggiata ed ora a remare o a veleggiare sul mare nella sua barchetta. Oltre ciò la posizione di Genova ci rammentava Napoli; le fabbriche e i palazzi eretti fuori del comune, le montagne, le colline amene e le vedute campestri variatissime ci lusingavano ad ogni passo. Gli abitanti son buoni come lo son quasi tutti gl'italiani, e sarebbero più felici se fossero riu- niti e governati da un sol sovrano. Ma.... povera Italia ! Hai troppi padroni e troppe gelosie interne ed esterne da combattere per esser mai felice. Chi ti conosce t'ammira e insiem ti compiange, e ognuno dice press' a poco ciò che esprime un tuo il- lustre poeta- Italia, Italia, o tu cui feo la sorte Donna infelice di bellezza Deh, fossi tu man bella e almen più forte ! Ai diciannove, dopo aver dato un addio dolente al signor Console a Genova e a tutta la superba Italia ci imbarcammo sopra una feluca a otto remi per costeggiare sino a Nizza, ma giunti a mezza strada sopravvenne un temporale ed una burrasca terribile che ci forzò di prender terra al più presto possibile. Sbarcammo in un luogo arido e disabitato: ma i marinari ci dissero che dietro a una certa siepe c'era una capanna ove stava un romito, e che erano 204 G. GOT. FKKRARI sicuri che ci darebbe asilo se vi andassimo. Infatti inoltratici verso essa ne venne fuori un vecchione con una barba lunga e bianca, col cappuccio in testa e con un cordone alla cintura, invitandoci ad entrare. La sua abitazione non era che una gran camera ed un picciol gabinetto dove passava il tempo a la- vorare da legnaiuolo; un orticello il cui prodotto non era che un po' d'insalata e dei ravanelli. Ci offerse dei biscotti duri, delle anguillette salate e dell'olio, ma poi del vino eccellente che gli veniva regalato dalla buona gente di quei contorni. Informatosi il mio compagno del paese , mandò subito il suo Pippo nel villaggio più vicino per cercare delle prov - vigioni. Eravamo mezzo morti di fame non avendo potuto prendere alcun nutrimento nella feluca disgu- stati dall' odore delle cipolle che masticavano conti- nuamente i marinai, e da quello del tabacco che fumavano. Giunse il servitore di ritorno in men di un'ora, con prosciutto, salame, pan fresco, uova etc. etc. e tra quelle, l'insalata, il vino del romito e la fame divorante che ci rodeva avemmo una cena delle più appetitose che si possa immaginare. Dormimmo vestiti sopra un gran pagliericcio, il cavaliere da una parte, io dall'altra e il romito in mezzo : Pippo si coricò per terra inviluppato nel suo tabarro. ANEDDOTI PIACEVOLI K INTERESSANTI 205 Fummo obligati di passare un'altra notte in quella capanna, ma il terzo dì , alle cinque di mattina, vennero i marinari a risvegliarci e c'imbarcammo sotto un cielo sereno sopra un mare tranquillo, e favoriti da un venticello leggero che ci portò felicemente a Nizza. Appena sbarcato il cabriolet del cavaliere si fecero attaccare i cavalli, e traversando la Provenza arrivammo a Marsiglia e di là a Lione, ove rice- vemmo un altro scacco musicale di cui non serve parlare. Finalmente, ai 1 3 di luglio I 787 fu terminato il nostro viaggio nella superba, maestosa e sempre al- legra città di Parigi. Fine della prima parte. PARTE SECONDA. CAPITOLO I. PARIGI — CHOISY — VERSAILLES — MESSA DEL RE — INCONTRO INASPETTATO CON MONSIEUR - MUSICA COLLA REGINA. LA gran metropoli del continente era allora, come fu sin da lungo tempo prima, nel suo più alto grado di ricchezza, d'onore, e d'in- fluenza. Le potenze straniere l'ammiravano, la temevano, e l'invidiavano. Federico il grande. Re di Prussia, diceva a suoi amici : « Quando sogno, vorrei figurarmi d' esser Re di Francia ; e se i miei sogni si realizzassero, non vorrei che si tirasse un sol colpo di cannone in Europa — 209 - G. G. Fkrraui. — Aneddoti. 14 210 G. GOT. FKRRARl senza il mio permesso » . Regnava in Parigi l'amicizia, il piacere e la concordia. Ogni nazione si dava moto ad imparar la lingua francese, ed imitar le maniere, i costumi, e lo spirito de' Parigini, Era essa il pa- radiso terrestre delle arti, e degli artisti ; ma sopra tutto della musica e de' musicanti. I talenti più di- stinti eran venerati, adorati, ed ammessi in qualunque società, sedendo alla medesima tavola colla prima nobilita della Francia, e talvolta con gli stessi prin- cipi del sangue. I talenti men distinti, ed i maestri eran rispettati, ben pagati, e ben venuti nelle migliori famiglie : i giovinetti di prima uscita erano incorag- giati, con danaro, con regali, o altre cose piacevoli. Oh Parigi, Parigi! Tu eri l'illusione della gioventù; la lussuria della mezza età; ma però della vecchiaja il ristoro e la felice tomba. Nello spazio di otto giorni scorsi e vidi quasi tutto ciò che v'era di notabile ; feci pure la conoscenza di diversi parenti ed amici del cavaliere, nelle case dei quali producemmo un effetto incredibile colla nostra musichetta. Io non lo poteva credere ; ma non passò guari , che il mio primo violino volendo prodursi in una società numerosa , in presenza di professori e d'abili dilettanti, ricevè certi complimenti sotto voce, che non mi cale ripeterli, e che gli fe- cero far giudizio ; gli dissi francamente io stesso. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 211 ch'ei si comprometteva , e eh' io era la vittima del suo amor proprio. Si persuase fortunatamente, e da quel momento risolse di non più farsi sentire che in casa propria o de' suoi parenti. Qualche giorno dopo mi condusse a Choisy, tra Parigi e Versailles , ove abitava suo padre in una bellissima casa di campagna, ed ove passai due set- timane deliziose. Era quegli un uomo vicino ai settant'anni, ma il cui spirito, e la cui vivacità non gliene facevan di- mostrar quaranta. Riceveva una società piacevolissima, ed era sempre allegro e di buon umore. La dome- nica dopo il nostro arrivo, mi condusse il mio amico a Versailles, per assistere alla così detta ^^esse du Roi , e per presentarmi a sua moglie , la rinomata Madama Campan, ^ signora d'un merito singolare, ma troppo conosciuta per aver d'uopo de' miei encomi. * Qiovanna Luisa ^nrichetla Qenet de Campan nacque a Parigi nell'ottobre del 1752. ^ra figlia di un impiegato agli Jlffari esteri, che amava la letteratura e che presto riconobbe nella sua figliuola il medesimo trasporlo per essa, jl quattordici anni la piccola Cenet era già così colta ed abile che non si durò fatica neW ottenerle il posto di lettrice presso le figlie di Luigi XV ; nel 1770 diventò {emme de chambre di JiCaria Antonietta. Le Memorie che scrisse sulla fine della sua vita sono colorite ed efficaci : le figure più note della Corte di Francia ai tempi di Luigi XVI vi appaiono con sincerità e semplici- tà rare : quella, specie, della sventurata Maria Antonietta è dipinta con suggestivi colori. La Genet aveva sposato, per volontà della l^egina, il 212 G. GOT. FKRRAUI Giunti al palazzo, saliti nell'appartamento della Re- gina, e dopo una piccola conversazione con Madame C, , si andò a messa , passando per un immenso salone chiamato 1' Oeil de Beuf , ed entrando nelle gallerie della Cappella Reale, dalla quale ebbi campo di vedere a mio comodo Luigi XVI , genuflesso, accanto alla sua illustre consorte, in faccia all'altare, air orchestra , e circondato dalla sua Real famiglia, dalla prima nobiltà della corte , e da alcuni gra- natieri. Finita la messa, ansioso io di vedere dove anda- vano i sovrani, la nobiltà e tutta quella gente, perdei di vista il mio compagno : lo cercai nel gran salone, e non trovandolo, ritornai nelle gallerie, e così avanti e addietro , sin a tanto che mi trovai solo soletto neir Oeil de Beuf. Avvicinatomi alla porta da cui era entrato prima, e nel momento d'aprirla, si spa- figlio del signor Campati segretario particolare di lei. Per venti anni Madame de Campan non lasciò mai, pur seguitando nelle sue funzioni di lettrice presso le sorelle di Luigi XV, l'amata T^egina e al momento della rivoluzione domandò perfino di dividere la sua prigionia, t^on le fu concesso. Si rititò a Coubertin, nella vallata di Chevreuse. Da quel tempo tutta la sua vita passò tra miserie e dolori : poi Napoleone le af- fidò la direzione della casa educativa d'Ecouen, da lui fondata per le figlie dei militari, e la Beauharnais la pregò di essere l'istitutrice della figlia Ortensia, e della nipote, Emilia. Madame de Campan morì a Man- ta, tra le braccia d'una sua scolara, la signora Creuzet - ^iCaignes, nel marzo del 1822. s. d. g. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 213 lancò da se stessa , ed urtai petto a petto con un signore corpulento , ch'io non aveva mai veduto, e che mi dimandò con isdegno : « Que voulez vous ? » — « Je cherche le Chevalier Campan ». — « Pas- sez » . Osservando una massa di cavalieri al suo seguito, pensai ch'ei fosse il re medesimo; ma trovato finalmente il mio compagno , e narratogli ciò che m'era occorso, mi disse eh' io m' era imbattuto con S. A. R. Monsieur frère du Roi. « Cospetto! — »sog- giuns'io — « Se ciò fosse avvenuto in Turchia, m'avreb- bero certo tagliata la testa ! » — « E forse impa- lato, » rispose il cavaliere scherzando . Fatto un giro nel palazzo , e veduto ciò eh' era possibile nel tempo che la Corte vi permaneva, ri- tornammo a Choisy, e trovammo la società del se- gretario della Regina , appena seduti a tavola per desinare ; e tra gli altri. Madame Campan, che ci aveva preceduti frettolosamente da Versailles, e an- siosa di saper da me in persona ciò che m' era occorso neirOeil de Beuf. Narrai la mia avventura ^ Ciò mi rammenta il caso d'un Cappuccino fatto prigioniero da' Turchi, e condannato a Costantinopoli a farsi Maomettano, o ad esser impalato. « Io Maomettano I Mai e poi mai !» — « Dunque, sarai impalato. » — « E perchè ?» — « Perchè non ti vuoi far Turco. >> — « Ma ciò non è possibile. » — « Dunque impalato. » — « Dunque impalato ? I » E alla fine soggiunse quel misero Frate — « Disponete di me come vi piace, purché non si parli più d'impalare. » 214 G. GOT. FERRARI colla vivacità d' un giovinetto , e col mio francese italianizzato che parlava allora , il che fece ridere moltissimo tutta quella compagnia ; e, come è noto che i Francesi traggon vantaggio di qualunque mi- nuzia per divertirsi, non si parlò a quel pranzo che d'urtare, impalare e de l'Oeil de Beuf. La sera si fece musica, e Madame Campan volle sentire le mie composizioni ; poi mi dette dei pezzi di Piccini , Sacchini e Gluck , da accompagnare a prima vista, senza preparazione di pianoforte, come si usava in quel tempo : fu contentissima della mia musica, e del mio diciferare, e mi promise di par- larne alla Regina, e farmi conoscere da lei a qua- lunque costo ; ne ho mai potuto sapere perchè Ma- dame C. non mi conducesse direttamente da sua Maestà, ne per quel ragione la Regina non m' or- dinasse, pure direttamente, di presentarmi a lei : ma l'affare s'accomodò nel modo che segue. M'invitò a pranzo l'amabil cameriera pel giovedì susseguente, e col di lei marito. Fu stipulato che nel tempo in cui la Regina era solita di traversare un corridoio con- ducente ad una delle sue sale, e accanto all'appar- tamento della prima cameriera, M.r Campan accor- derebbe il suo v2olmo col mio pianoforte. La Regina udendo della musica doveva fermarsi alla porta del salone di Madame C. per sentire ; ma nello stesso ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 215 punto Madame C. doveva aprirla , come per acci- dente, e vedendo sua Maestà, invitarla ad entrare : Maria Antonietta passò avanti ordinando a tutti di seguirla ; e così successe. Il Cavalier C. che aveva avuto l'onore d'insegnare la teoria della musica a quella eccellente principessa, s' aspettava che lo vorrebbe sentir suonare , ed io tremava , ma ella facilmente non si curò del suo violino, ne delle mie sonatine : mi fece presentare lo spartito del « Re Teodoro in Venezia » di Paisiello, suo favorito ; sonai l'overtura ; poi sedutasi ella alla mia dritta, accompagnai, e cantai seco, e coi cava- lieri e colle dame della sua corte, i pezzi concertati, e i due finali superbi di quell' opera che sapevano già a mente ; e com' io li conosceva ancor meglio d' essi , non è straordinario se trovaron tutti eh' io accompagnava meravigliosamente. La regina però disse a Madame Campan : « Votre protégé est un excellent musicien, mais il a le défaut de prendre le mouve- ment trop vite, comme font tous les jeunes gens. » Questa osservazione di Sua Maestà era bastantemente naturale, giacche ella aveva l'uso di prendere i mo- vimenti sempre troppo lenti; e non poteva immagi- nare eh' io, benché giovine, fossi tanto fanatico per Paisiello che mi sarei piuttosto lasciato frustare per 216 O. GOT. lEKKAia non sagrificar la musica del mio maestro per com- piacenza. A quell'epoca gli affari di Francia incominciarono ad imbrogliarsi furiosamente. Le Loro Maestà vive- vano quasi sempre a Versailles, non frequentavan più i teatri, ecc.: ed io non sentii più parlar della re- gina , che neir anno 1 792 , di cui parlerò a suo tempo. CAPITOLO II. ANEDDOTI - RITORNO A PARIGI — IL MARCHESE CIR- CELLO — L'ABATE LEPRINI - LE CONTESSE Di TESSÈ. DI TOTT. ED ALTRI PERSONAGGI DISTINTI. IN EGLI ultimi giorni che restammo a Choisy Mon- sieur Campan, il padre, ci divertì assaissimo co' suoi aneddoti, che narrava con tanta naturalezza e verità, da dare il più gran piacere a chi li sentiva ; due de' quali ho l'onore d'offrire a chi legge. Un certo Adami, giovine scioccherello, e fabbri- cante di chitarre , prese moglie ; la quale un anno dopo le nozze gli die una creatura. Contento egli, e felice d'esser divenuto padre, corse subito dal suo intimo amico Rigoni, e gli disse: — Vengo, o caro, a darti una bella nuova, la più grande, straordinaria, a più meravigliosa, che tu possa immaginare. ANEDDOTI riACEVOM E INTERESSANTI 217 — Cospetto di Bacco ! Dimmi dunque di che si tratta. Indovina un poco che cos'è. — Hai vinto alla lotteria ? — No. — Al faraone ? — No. — Sei stato fatto papa ? — E che papa ! — Hai avuto un'eredità ? — Altro che eredità ! — Ma insomma dimmi che cos'è, poiché io non potrò mai indovinare. — Mia moglie ha partorito. — E questa è la nuova straordinaria ? — E che ti pare ? — Bravo da vero. — Ma indovina adesso che ha fatto. — Un figlio maschio ? — No. — Una femmina dunque. — Chi te l'ha detto ? — O bestia, bestione ! T'aspettavi forse che ti fa- cesse una chitarra ? Quando Giuseppe II successe al trono di sua madre, r egregia Imperatrice Maria Teresa , il suo primo 218 G. GOT. FERRAKI scopo fu di prepararsi ad una guerra fulminante contro i Turchi , suoi nemici giurati : ma avendo egli bi- sogno di danaro, di guerrieri e di popolazione, gli fu duopo di sopprimere i monasteri de' frati , di prender gl'immensi lor poderi pel bene pubblico, e di formar coi laici, un esercito di soldati robusti e ben nutriti. Soppresse pure i conventi delle monache, per aver egualmente quei beni , permettendo loro (col consenso del capo della Chiesa) di lasciare il velo , e d' aver marito. Ciò produsse a Vienna un bisbiglio, ed uno scandolo in tutti i conventi di mo- nache ; e dicevan l' una all'altra: — Come ! Noi eh' abbiam preso il velo , fatto voto di castità , avere un marito ! Che indecenza ! E l'imperatore lo propone ? Ed il papa vi consente? Ciò non è possibile. La Badessa del monastero delle Elisabettine, tor- mentata forse più d'ogni altra dalle sue Reverende Madri e suore sopra tal affare, e volendo sapere il giusto, scrisse una lettera rispettosa al confessore della corte, r arcivescovo di quella metropoli , supplican- dolo di voler informarsi dall' imperatore stesso se tutto ciò che si diceva fosse vero , poiché le sue mona- che eran tutte afflitte, desolate alla sola idea di po- ter avere un marito. 11 confessore, liberale e faceto, non meno che il suo imperiai penitente, portò im- ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 219 mediatamente la lettera a sua maestà. Giuseppe la lesse, e rise di buon cuore. «Che disgrazia!» dis- s'egli, con ironia « Andate subito al monastero per consolarle, e dite loro che V editto sarà messo in esecuzione, che il papa vi ha consentito, e aggiun- gete di più , eh' io lor permetto d' aver anche due mariti se li desiderano » . Vola monsignore colla sua carrozza al monastero ; e strada facendo , compone una storiella. Entrato nel parlatoio , fa chiamar la Badessa e tutte le monache. Esse s'affollano verso di lui colla più grande ansietà, per saper la risposta dell'imperatore. L' arcivescovo le prega di sedere e di star tranquille ; poi dice loro , eh' egli era auto- rizzato dal sovrano, d'assicurarle che tutto ciò che desideravan sapere era vero ; ma che Sua Maestà in- formata dell'avversione ch'esse avevano pel matrimonio, non permetterebbe d'avere un marito, che alle mo- nache che avessero una piccola bocca. Udendo que- sto, si misero tutte a fare il bocchino, e mormorando sotto voce, e colle labbra mezze aperte: Oh madre Badessa ! Madre Vittoria ! Suora Soffia ! Oh che orrore ! Che vergogna ! Che crudeltà ! » — Riprese monsignore col dire, che sua maestà, sempre giusta ne' suoi decreti, permetterebbe due mariti alle mo- nache che avessero una bocca larga. Allora, spalan- cando la bocca da un orecchio all' altro , gridaron 220 G. GOT. FKRKAIU tutte ad alta voce: « Oh Altezza ! Oh Monsignor l'arcivescovo ! Oh Padre Confessore ! » Di ritorno a Parigi, cercai sul momento d'ottener le mie entrate libere al Grand Opera , per veder rappresentare le opere classiche di Gluck, di Piccini, e di Sacchini. Viotti , primo violino della regina, Sapio, maestro di canto della medesima, mi procu- rarono un tal favore, ne saprei dire quanto mi di- lettai in appresso , ne quante lagrime io sparsi nel sentir la musica di que' tre celebri compositori. M'af- frettai poscia a presentar la lettera di raccomanda- zione, che m' avea dato Paisiello per 1' ambasciator di Napoli alla corte di Francia, suo antico amico, il marchese Circello ; la quale incominciava così : « Vostra Eccellenza m'ha raccomandato uno scolare; ora io ho il piacere di raccomandarle un maestrino, che si fa onore, e che son sicuro Ella sarà felice di proteggere ed incoraggiare ! » M' accolse il buon marchese alla napoletana, e m' invitò a pranzo per r istesso giorno : mi fece sedere accanto al suo se- gretario privato, l'abate Leprini, dicendo: « Ecco il tuo posto ; vieni quando ti piace, e s'io, o la mar- chesa, siam fuori di casa , troverai sempre 1' abate, col quale potrai mangiar una buona zuppa , o un buon piatto di maccheroni » . Il marchese Circello era un signore eccellente, splen- ANEDDOTI PIACEVOLI K INTERESSANTI 221 dito , ed insieme economico : abitava nell' elegante Hotel de Poyane , me du Fauxbourg St. Honoré, e teneva la tavola più squisita di Parigi. Monsieur gli aveva amichevolmente ceduto per cuoco il suo famoso M.r Grillon, lo stesso che sm da molti anni ha messo su un albergo in Albemar- lestreet, e che, nell'anno 1814, ebbe l'onore di dare alloggio al suo primo padrone. Luigi XVIII, allorché passò in trionfo per Londra, ristabilito re di Francia. Ebbe pure il primo confetturiere che si potesse trovare a Napoli , un certo Romualdo , che mori anni sono in Duke - Street , Manchester - square. L'abate Leprini era un uomo rispettabile, religioso, ma certo non bacchettone : ei mi parlava spesso di morale, chiamandola l'ancella, o più tosto la sorella della religione. Mi diceva : Vi son dei peccati di malizia, e di debolezza ; evitiamo i primi, e speriam che Iddio ci perdonerà i secondi. Mi raccomandava di non legger le opere di J. J. Rousseau, essendo quegli troppo filosofo , ed ipocrita ; e ancor meno quelle di Voltaire, essendo questi troppo sfrontato, e briccone. Divenuto io a poco a poco familiare di quel buon galantuomo, e trovandolo, e lasciandolo quasi sempre nella sua stanza colle opere di Voltaire in mano , gli chiesi perchè mi consigliava di non legger ciò 222 G. GOT. FKRRARI eh' egli continuamente leggeva. « E vero » , rispose egli. « Voltaire è un gran briccone, ma da cui non saprei scostarmi : però io son vecchio, ne posso esser corrotto ; voi siete ancor giovine , e potreste restar facilmente sedotto dall'eleganza, dal genio, e (m'in- cresce dire) da certe verità di quel grande scrittore » . Fui poscia introdotto dalla Contessa di Tesse, ed essa mi dette per iscolara Mademoiselle , chiamata Madame la Contessa de Tott, bellissima creatura, e protetta dalla Regina. Saputosi a Parigi eh' io aveva fatto musica con S. M. e che dava lezione a Madame de Tott, le scolare di canto e d'accompagnamento mi ricercavano da ogni parte, traile quali non posso dimenticar, ne far a meno di nominar certe famiglie dalle quali ri- cevei le più gran finezze. La Duchessa di Castries, la Contessa Joigny, sua sorella, il Duca di Guines, loro padre, la Marchesa Beauharnais (Josephine) la Du- chessa di Richelieu, la Baronessa di Stael, la Mar- chesa di Belsunce, la Baronessa Talleyrand, la Du- chessa di Polignac, la Contessa di Noailles, la Prin- cipessa de Bergnes , il Conte Charles de Noailles, ora Principe di Pois e Duca di Mouchy, la Con- tessa du Saillant, la Marchesa d'Aragon, e la Prin- cipessa di Craon, M.r Louis, 1' architetto eh' eresse il teatro superbo di Bordeaux e il palazzo Reale a ANEDDOTI PIACKVOLI E INTERESSANTI 223 Parigi, M.r De Boulogne, M.r e Madame Dupin, &c. Di alcuni de' quali parlerò in appresso. Malgrado l'incoraggiamento straordinario ch'io ri- ceveva giornalmente in quella metropoli , io mi ci seccava all'eccesso ed aveva sempre Napoli davanti agli occhi e nel mio cuore. A poco a poco però mi ci accostumai, anzi mi vi dilettai moltissimo. CAPITOLO III. MESTRINO-DUSSEK-STEIBELT — J. B. CRAMER — SHM- MERCZKA — PLANTADE - RITRATTI — ROMANCES — TEATRO DI MONSIEUR. 1 ER diverse circostanze e ragioni, che non serve il menzionare, fui obbligato di lasciar la casa del Si- gnor Campan nel principio di Novembre , restando sempre seco lui in buona amicizia. Presi alloggio in un hotel col celebre violinista Mestrino, uno dei più gran talenti che si possan dare ; giovine amabile, e buffoncello. Eranvi a quel tempo stabiliti sin da molti anni a Parigi tre celebri maestri di pianoforte : Hull- manndel, Kiiffuer, ed Adam. Arrivaron poscia suc- cessivamente i rinomati pianisti Dussek , detto le beau Dussek , il più amabile faceto del mondo , sempre allegro e gioioso, né mai turbato da affari d'alcuna sorta. Era un gran suonatore , ed aveva un genio 224 G. GOT. FERRARI naturale ed insinuante per la composizione. Steibelt, uomo stordito e dissipato ; chiaro nello scrivere , e pien di gusto, ma incorretto, e confuso nel sonare. ^ Dopo di lui, J. B. Cramer, il quale , colla sua maniera di sonare sorpassò tutti; ed eccetto Adam, partirono, un dopo l'altro, per l'Inghilterra, Steibelt, Kiiffuer, Hullmandel, e Dussek. Era Cramer un gio- vane di beli' aspetto ; sonatore sorprendente , gran lettore, e gran musicante. Passava egli per lo sco- lare più valente di Clementi ; ed eseguiva la musica difficile di quel compositore colla più gran facilità. Si seppe, poscia, eh' avea preso lezione anche da Schroeter ; e sonava le opere di quel sensibile e soave maestro, con grazia, eleganza, e con un gusto perfetto. In fatto di composizione , egli non aveva ancora prodotto le cose belle e classiche, che scrisse in appresso, e che son sempre ammirate. ' Quante noie, e quante belle cose che dispariron sotto le mani di quel sonatore 1 Ma conoscendo egli stesso i suoi errori introdusse 1' uso, o per dir meglio l'abuso de' pedali, i quali fan certo un effetto delizioso in movimenti lenti e diatonici, ma in movimenti rapidi e cromatici, non si distingue né melodia né armonia , né passaggi ; ma in tal modo il suonatore imbrattato si salva. Maledetti quei pedali ! Se dodici Dragonetti mi circondassero , e fa- cessero i loro contrabassi a tutta possa, udirei almeno un suono un ac- cento ! Ma se una damigella di soli dodici anni suona sopra un piccolo pianoforte a la Steibelt, non odo più che un bisbiglio, un vespajo, che mi fende il timpano dell'orecchie I i ANKDDOTI PIACKVOLI K INTERESSANTI 225 Invaghitomi del suo talento, e benché più attem- pato di lui, gli chiesi delle lezioni in amicizia, che mi dette, e gli debbo l'avermi aperto gli occhi sulla maniera del ditare, e del suonare il pianoforte. Eravi pure da poco tempo arrivato a Parigi un altro pianista, o piuttosto fortista, o « croquenote * da non comparare ai sopra nominati , ma però racco- mandato caldamente alla Regina da qualche principe Germanico. Fu egli accolto coli' affabilità propria di quella principessa, e dopo d'aver suonato in sua presenza, gli disse ella (più per far onore alla raccomanda- zione ch'ai raccomandato) che bramava di prender da lui lezione, a cui rispose quell'allocco : Madame, je tàcherai de' m'arranger avec mes élevés de Paris, pour venir donner le^on à vostre Mayésté à Ver- sailles. Io intanto , incoraggiato da ogni parte , acceso d'amor proprio ed emulazione, e libero da conve- nienze e riguardi, che mi legavano stando in casa del mio cavaliere , incominciai a lavorar di buon cuore: e sebbene avessi molte scolare, pure io trovava il tempo di studiare, d'esercitarmi al pianoforte e di comporre , non senza divertirmi di tempo in tempo al teatro, o in conversazione. Scrissi tre sonate per pianoforte e violino, op. seconda, superiori di molto G. G. Febrari. — Aneddoti. 16 226 G. GOT. FKRRARI a ciò ch'io aveva scritto in sino allora, e che furon ben ricevute a Parigi, a Napoli, ed anche a Vienna. Ma vedendo che la scuola di Clementi si propagava già per tutta 1' Europa , e che i giovanetti pianisti spuntavan da ogni parte, e mi facean vergogna, non istudiai più quell'istromento che per diporto ed in- teresse. M' applicai seriamente alla musica vocale. Composi dodici notturni Italiani , poi dodici ancora ch'ebbero un felice esito ; indi tre libretti ognuno di sei Romances Francesi , alcune delle quali fecero veramente fanatismo. Eccone la poesia di due che son certo non dispia- cerà al lettore. LA NAISSANCE DE L'AMOUR. (Par monsi'eur l'abbé Garron). Quand l'amour naquit à Cythère On s'intrigua dans le pays;: Venus dit : Je suis bonne mère, C'est moi qui nourrirai mon fìls. Mais l'Amour malgré son jeune àge. Trop attentif à tant d'appas, Préférait le vase au breuvage, Et l'enfant ne profìtait pas. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI 227 — Ne faut pas pourtant qu'il patisse — Dit Vénus, parlant à sa cour — Que la plus sage le nourrisse, Songez toutes que c'est l'Amour. Soudain la Candeur, la Tendresse, L'Egalité vinrent s'offrir ; Et méme la Délicatesse, Nulle n'avait de quoi nourrir. On penchait pour la Complaisance, Mais l'enfant eùt été gate : On avait trop d'éxpérience Pour penser à la Volupté. Enfin sur ce choix d'importance Cette cour ne décidant rien, Quelqu'un proposa l'Espérance, Et l'enfant s'en trouva fort bien. On prétend que la Jouissance Qui croyait devoir le nourrir, Jalouse de la prèférence, Guettait l'enfant pour s'en saisir : Prenant les traits de l'innocence Pour berceuse elle vint s'offrir, Et la trop crèdule Espérance Eut le malheur d'y consentir. Un jour advint que l'Espérance, Voulant se livrer au sommeil, Remit à la fausse Innocence L'enfant, jusques à son reveil : Alors la trompeuse déesse 228 G. GI)OTI IMACKVor.r K ISTi-.KKSSANTI 241 altro, e si burlava intieramente di me. Mi ritirai sul momento da casa sua, non però senza un grandissimo cordoglio. Qualche tempo dopo andai a visitare certe mie e sue intime amiche, una delle quali, vedendomi l'anello in dito, disse : Come ! Voi che siete stato ingannato, e che vi siete ritirato dalla vostra fiamma, portate ancora i suoi capelli ? — E vero — risposi — ma essa mi sta sempre a cuore. — E credete veramente che quei siano i suoi capelli ? — Gli ho veduti taghare io stesso. — Sappiate dunque ch'ella porta parrucca, e che fa spendere a suo Padre del gran danaro per pro- cacciarsi i capelli più fini che si trovano in Parigi. Sappiate innoltre ch'ella si strofina le guancie e le labbra coli' aceto aromatico, eh' è carica di belletto, e ch'ha tre denti posticci. In ciò udire mi copersi di rossore, e dispettoso più che mai mi tolsi l'anello dal dito, e lo gettai per terra ; poi lo schiacciai in mille pezzi coi tacchi de' miei stivali, gridando: — Oh ! maledetta strega ! Offrirmi per pegno di matrimonio i capelli d'un morto ! Oh ! Scimia, Sci- miaccia, ti detesto, t'abborrisco ! fi. G. FKVRkyi. — Aneddoti. Ì6 24*2 <;. <;or. ikkkari CAPITOLO V. LA MIA PRIMA OPERA IN PARIGI - SECONDO VIAGGIO A BRUSSELLES, E RITORNO A PARIGI - MADAME DE CRAON. MADLLE. BONNE D'ALPY — DISGUSTO PER PA- RIGI — PARTENZA DA QUELLA CITTÀ CON SIMON,! — ARRIVO A LONDRA. ►Sciolto da due matrimoni, ^^^ m'avrebber dato molto impiccio, e forse rovinato a fondo, conside- rando 1 progressi di quell'orribile rivoluzione, andai da Mr. Neuville, amico, socio, e factotum di Mlle. Montansier, per avere il poema offertomi. Me ne diede tre da scegliere d'un certo D'Hale, inglese; « Les Evènements imprévus » « L'Amant jaloux » et le « Jugement de Mydas; » già messi in musica molt'anni prima dal compositore favorito della Francia m quei tempi, Monsieur Gretry. Io non sapendo tal * Andrea Ernesto Qrélry nacque a Liegi, nel Ì74I da un mode- sto violinista. 7-*er tutto quel che lo riguarda leggere i tre Volumi interes- santissimi ch'egli pubblicò nell'anno V della Repubblica, a Parigi, in- titolati Mémoiresjou éssais sur la musique che i malevoli dicevano che sarebbe stato meglio chiamare Mémoires sur ma musique. Morì nel 1811. Riporto qui un passo di quell'opera che parla del Pergolesi e che mi pare notevole. « 'Pergoleze {sic) naquit, et la vérilé fut connue. L'harmonie a de- puis faH des progrès étonnans dans ses lab\)rinthes infinis : les éxecu- teurs, en se perfectionnant, ont permis aux compositeurs de déployer la richesse des accampa gnemens : mais 'Pergoleze n ' a rien perdu : la AXKDDOTI PIACKVOM K INTtUKSSANTI 243 cosa, ma informato che i tre poemi erano egualmente eccellenti, scelsi il primo, e lo scrissi con non mag- giore difficoltà di quella con cui avrei scritto un poema italiano; tanto la poesia era dolce e musicale. Saputosi, dopo la prima prova, ciò che si preparava al Teatro Montansier, incominciarono i giornali a scatenarsi contro di me, chiamandomi impudente, or- goglioso nel voler metter in musica un poema già scritto da Grétry. Informato di ciò, mi portai da Mr. Neuville, e gli proposi d'abbandonar la mia impresa, non desiderando mettermi in rivalità con quel maestro, ne in disgrazia del pubbhco; ma Mr, N. ed altri amici m' assicurarono che s'io non an- dassi avanti, perderei la mia riputazione sul più bello della mia carriera teatrale; e che non eran i gior- nalisti ne il pubblico che l'avevan meco, ma solo certi partigiani di Grétry, che facean inserire degli Cerile de déclamatìon que constitue ses chanls est indeslructible comme la nature. C'est sans doute un malheur irreparable pour l'Art que ce dioin artiste ait fini sa carriere à la fleur de l 'àge. Ce ne fut pas sans un plaistr éxtrème que, pendant mon séjour a l^ome, j'appris de plu- sieurs musiciens àgés, que ma taille, ma physionomie leur rappeloient Pergoleze. Ils m'apprirent que la mème maladie menacoit aussi ses jours chaque fois qu'il se livrait au travail. Vernet, qui aooit connu et aimé 'Pergoleze, me confirma la mème chose a Paris ». Voi. I pp. 424-6. s. d. g. 24^4 a. GOT. KEUKAKI articoli, il che non avrebber fatto se non avesser temuto un confronto. Anche qui mi lasciai persuadere e l'indovinai; poi- ché la mia musica fu maravigliosamente ben accolta : il duetto « Serviteur à Monsieur la Fleur » , che si aspettava dovesse andar a terra, fu replicato con furore; e finita l'opera, fui chiamato sul teatro ed applau- dito, non già come il Signor Barbiere di Manaberg, ma abbastanza per eccitare in me il desio di meritar più lode. Dopo aver veduto sei rappresentazioni della mia opera, sebben fortunato, mcorraggito , e lusingato m quella capitale; pur ciò che vi scorgea mi fece nuo- vamente cercar posto in Brusselles, colla speranza sempre d' una vicina contro - rivoluzione. Vi diedi un'altra accademia, e vi composi una nuova Sonata, ed un nuovo Concerto, che mi fecero molto onore: ma sapendo che le truppe Prussiane non avanzavano, e che l'Armata di Coblenza non s' organizzava, mi risolvei di ritornare in Francia per accomodare i miei affari, e poi passare in Inghilterra. Verso la fine di Gennaro I 792, arrivai in Parigi, città considerata prima la più brillante d'Europa, e divenuta allora la più sgarbata, perplessa ed insopportabile. Non molti giorni dopo il mio arrivo ebbi l'onore, e la felicità, di far conoscenza coll'eccellente e ben A\i;i>l)OTI IMACKVOLI K INlKlf KSSANTI 245 cognita Principessa De Craon, da cui ricevei un'infi- nità di gentilezze. Non aveva ella altro difetto che di non esser ricca ; anzi un giorno parlando seco lei di fortuna e di grado, mi disse scherzando : « Mon bon petit ami, je suis Princesse de l' Empire, il est vrai; mais en méme tems je suis bien a court d'ar- gent, et sans Principauté. » Viveva essa con una protegée, Mademoiselle Bonne d'Alpy; creatura di modi veramente soavi. Era di statura piuttosto pic- cola : avea una bella chioma, occhio vivo, un bel nasino, denti di perle, braccia e mani da modello, ed era un po' zoppetta, il che la rendeva ancor più interessante. Sapeva tanto bene l'Italiano, e l'Inglese, quanto il Francese; disegnava e dipingeva come un angelo; suonava il pianoforte, a far dire al suo maestro Dussek, ch'era la sua unica scolara : era poi piena di vezzi, di grazie, e così amabile, e modesta, da farmi dimenticare la Giuditta, la Livietta e i capelli di morto. Verso questo tempo la Regina mi fé dire da Madame Campan d' inviarle tutto ciò ch'io aveva pubblicato in quei tre anni, e di farle copiar ciò ch'io teneva in manoscritto. Comando il più lusin- ghiero per me, e ch'eseguii all'istante. Mi fece anche dire, che appena gli affari dello Stato fossero acco- modati, essa mi prenderebbe per suo maestro di 24() <;. GOT. FKKRAKI canto; ma gli affari andando a rompicollo, restai deluso, e vittima, come tanti altri, d'una rivoluzione che ha messo a ferro, sangue , e fuoco tutta l'Eu- ropa, e le cui conseguenze non sono ancor finite. Quanto minerebbe il non poter essere al servizio d'una Principessa così buona, liberale, caritatevole, ed obbligante, la cui memoria mi fu più cara dopo l'immeritata sua sorte ! Nel suo salone poi la si vedeva nello stesso tempo colla maestà d'una imperatrice, colle maniere d'una dama, colle grazie d' una pastorella. Non mi estenderò sulla sua bellezza, ma dirò solo, che le braccia e le mani di Maria Antonietta eran fatte per offuscar tutte le più belle ed antiche scol- ture de' Greci. La mia situazione allora era veramente invidiabile, e molto più eh' io non meritava. Sul punto la Re- gina per mia scolara; fortunato colla vendita delle mie composizioni, e salariato liberamente dalla Mon- tansier; che poteva io desiderare di più? J'étais dans l'embarras des richesses. Accolto nelle famiglie di ■ Madame de Craon, di Madame Louis, di Madame de Saillant, e d'altre, comme l'enfant de la maison io era felice, felicissimo. Ma poi ! Il veder quegl'in- felici sovrani tenuti in carcere, e trattati dispettosa- mente dal popolaccio nel loro proprio palazzo delle Tuilleries : tant'innocenti alla Lanterna e sulle pie- I ANKODOTl PIACEVOLI K INTKUKSSAX TI 247 che, tanti saccheggi, e tanti orrori che si commette- vano già in Parigi, m'urtavano, e m'eccitavan tanta collera da farmi esporre ad essere trucidato io stesso ad ogni momento. Alla fine mi determinai di partire , e preso co- miato da diversi amici, mi portai da Mr. Louis, per sollecitare il favore di ritenere il mio appartamento sino al mio ritorno, il ch'ei m'accordò gentilmente. Lasciai ad un amico, Mr. Chabert, la cura de' miei mobili, d'una parte della mia biancheria, di tanti rami di musica, e di duecento libre di tabacco della Ferma, ch'io m'avea procurate all'occasione che l'assemblea Nazionale aveva levato la Gabella da quell'articolo, e che invece di pagarlo sei franchi come si faceva, mi costò solo due franchi la libra. Andai poscia da Madame Campan, pregandola di scrivermi a Londra allorché la Regina m onorasse de' SUOI comandi. — Allez, allez, mon fils, — mi diss'ella — et restez en Angleterre autant que vous pourrez. Sapendo io eh' un nominato Simoni , di Dresda, tenore serio, stava per passare a Londra, impegnato di cantare alle accademie di Salomon , m'offersi per suo compagno, ed ei m'accettò con piacere, a con- dizione però che non viaggeremmo in diligenze pub- bliche. Condiscesi al suo desiderio, tanto più ch'io 248 G. ^argraVÌo e lady Craoen dovettero aspettare, per sposarsi, quegli la morte della moglie ch'era sofferentissima , costei che pur morisse suo marito, anch'egli ammalato. Si sposarono nel 1791 . Nel 1789 li troviamo in Napoli, ''^assieme. E in A^apoli mor) Lady Craven, nel 1828. Nel ì 826 puhlicò le sue Memorie, e nel secondo volume di quell'opera e un bel ritratto di lei, cavato da un dipinto del Reynolds. Il Margravio era morto nel 1806. Un altro ritratto^della Margravia è in una edizione inglese delle let- tere di Orazio Walpole. 'Per altre notizie sulla Craven vedi S. di Gia- como : Mostra Storica napoletana. — Documenti inediti , popoli, 191 ì —s. d. g. ANKDDOTI PIACEVOLI K INTKRKSSANTI 259 ticinque luigi d'oro pel suo viglietto. Andai subito a palazzo per ringraziarlo. Introdotto ne' suoi appar- tamenti , lo trovai in una cameretta , suonando il pianoforte : s'alzò sul punto, e m' accolse colla più amabile maniera. Lo pregai di continuare , e mi disse che non ardirebbe farsi sentire in mia presenza; cercai d'incoraggiarlo , ma non ci fu verso. Lo la- sciai allora, offrendogli la sonata ch'egli aveva tanto applaudita la sera prima , e che accettò con genti- lezza e piacere. Durante la mia permanenza quella volta a Brus- selles, mi divertiva spesso giocando al bigliardo con C. Rovedino, con Amantini, musico della cappella reale di Luigi XVI , e con Noverre il fu rinomato compositore di ballo , che tutti e tre aspettavano, com'io stesso, il momento di ritornar a Parigi. Un certo giorno occorse una rissa tra me ed Amantini : ei mi diede una smentita, ed io gli dissi delle parole che 1' offesero ; mi mandò la mattina susseguente una letterina, sfidandomi alla pistola sotto YAllée verte, a piccola distanza dalla città. Io che non aveva sparato una pistola in mia vita, e infor- ^ Se quel Principe valoroso ha avuto timore di sonare il pianoforte in mia presenza, egli ebbe però il coraggio di battersi come un eroe contro gli eserciti di Napoleone : e chi sa quai prodezze che avrebbe fatto in quella carriera, se la sua salute non gliel' avesse impedito! 260 CAPITOLO VII. LA MIA PRIMA OPERA IN LONDRA - VIAGGIO A RO- VEREDO , &C. — IL VESCOVO DI BERRY — RITORNO IN INGHILTERRA — ANEDDOTI — LA PRINCIPESSA DI GALLES — LA MIA SECOND'OPERA - GIRO A CHAT- SWORTH. E BREVE DESCRIZIONE DELLA RESIDENZA DEL DUCA DI DEVONSHIRE COLÀ. C^ONTINUAI parecchi anni a dar lezione , e a scriver della musica da camera tanto vocale che istrumentale come pure qualche aria pel Teatro ita- liano: Deh, se pietà ritrova!, per la Morichelli, Io son capricciosetto !, per Viganoni, tXTc. Nell'anno 1799 scrissi un Intermezzo a quattro voci in un atto : « I due Svizzeri » il quale ebbe tanto successo, che si dette per molti anni consecutivi, e il cui terzetto «Vieni, o sonno » non è ancora dimenticato. La Banti, Viganoni, C. Rovedino, e Morelli eseguiron perfet- tamente quell'operetta. Fortunato pel numero delle mie scolare, e pel- r esito delle mie pubblicazioni, mi diedi la soddi- sfazione in quell'estate, di fare un viaggio a Ro- veredo. M'imbarcai a Varmouth per Hamburg© ; di là, traversato l'Elba, posteggiai per Francoforte, Augusta, 266 <;. GOT. FEKKAKI Insbruck, Bressanone, Bolzano e sino a Roveredo. Rimasi colà solo dieci giorni, che mi parvero dieci secondi. Tutti miei amici eran attoniti eh' a- vendo io dimorato diversi anni a Napoli, Parigi, e Londra, potessi compiacermi di un luoghetto si- mile ! Li feci ridere col dire che darei tutte quelle tre capitali pel ponte di San Colombano , per i sett'Albi, e per le montagne alpestri di quei con- torni, di cui già parlai nel mio primo capitolo. Mi fu chiesto inoltre s'io conoscessi Lord Bristol vescovo di Berry, padre del presente marchese, e fui informato che qualch'anno prima egli aveva pas- sato molto tempo m Roveredo; ch'era intimo nelle famiglie dei nobili Signori Fedrigotti e Rosmini ; che viveva con isplendore durante il suo soggiorno colà; ch'era ammirato e stimato dagli abitanti; ch'era un gran conoscitore di belle arti, e che spese del gran danaro nel fare una collezione dei più bei marmi contenuti nelle montagne all'intorno della città : pel qual oggetto fece diverse esposizioni , e scelse una quan- tità sufficiente della più bella sorte , per formare cento- venti colonne colossali, che fece scolpire coi loro ca- pitelli, e pedestalli corrispondenti: come ancora che avea raccolto per il valore di centomila lire sterline d'altre opere dell'arte. Benché io non avessi l'onore di .co- noscerlo personalmente, pure, avendo insegnato nella AN'KDDUTI PIACEVOLI E INTKKESSANTI 2f)7 sua famiglia e conoscendo tanti suoi parenti, fui ca- pace d'informare i miei amici che sei delle men- sionate colonne da lui mandate in Inghilterra, per timor della prima irruzione dei Francesi in Italia nell'anno 1 796, eran state colte dai Dogana] , e vendute all'incanto della dogana di Londra, e che il Duca di Richmond le aveva acquistate : che tutto il resto era stato preso dai Francesi i quali permi- sero al nobil Lord di riscattarle colle altre opere per la somma di diecimila lire sterline. Una setti- mana dopo furon riprese dai medesimi, e posero sua eccellenza in prigione a Milano, da dove in pochi giorni fu capace di salvarsi e di ritornare in In- ghilterra. Trovai due dei miei fratelli m vita, come pure mia matrigna, contenta d'aver trovato un buon par- tito alla sua Catterinetta. Passai molte ore piacevoli col mio cugino Cobelli,^ e colla sua Livietta, con cui viveva felicissimo. Prima di partir da Roveredo , diedi incarico al mio fratello prete di comprarmi un piccolo bene, chiamato il castello di Lizzana, a piccola distanza dalla città, il che egli fece in appresso per mia di- sgrazia, Lasciai la mia terra nativa e i miei antichi amici col più gran cordoglio, e mi portai a Verona dove 268 G. GOT. FKKKAKI vidi l'esercito trionfante del generale Clairfait , e la guarnigione Francese, giunta prigioniera da Mantova. Da Verona passai a Venezia, e di là a Vienna per rivedere il mio intimo amico Bridi, e per farvi rappresentare i miei « Due Svizzeri, » che anche là furon ben ricevuti. Da Vienna traversai la Boemia, la Sassonia, «aTc, e m'imbarcai ad Amburgo; e dopo un viaggio tem- pestoso di dodici giorni, ebbi la felicità di mettere piede a terra a Varmouth, il dì primo d'Ottobre, e mi trovai stabilito per la terza volta nella gran metropoli. Mi presentai subito al marchese Circello, dive- nuto successore del principe di Castelcicala ; m' ac- colse al solito, e m'introdusse al baron Jacobi, Mi- nistro di Prussia, e al conte Staremberg, (Ora Prin- cipe) ambasciatore straordinario d'Austria, dei quali, e soprattutto dall'ultimo, fui onorato e favorito in mille modi. Feci poi conoscenza con Monsieur Gautherot, maestro di pianoforte. Era egli un uomo singolare, onesto, obbligante e faceto. Teneva un volume d'a- neddoti nella sua testa, e li raccontava in un modo così succinto da far piacere a chicchessia. Eccone alcuni. René Ouvell, parucchiere fiammingo in Londra, ANKUI>OTI lMACi<:VOM K INlKItESSANTI 2»>H informato ch'un suo avventore (Mr. Dizi, celebre compositore e sonatore d' arpa) era per andare a Brusselles, lo pregò d'incaricarsi d' una lettera per sua sorella, e di portargli la risposta. Il favore fu accordato, e qui segue la corrispondenza. « A ma seur Ma seur de Liege Tres connue sur la place publique de Brusell « Ma tres cher seur de Liege ! « 11 y a deux seecle que je net entendu de toi. Si tu ai morte, laiss moi savoir comen tu te porte. Quant à moi, je suis toujour avec mes pauvre yeux en compote, et avec mes miserable jambe en fricassè, avec lesquels je suis. Ton affectwne fraire de Londre. » La risposta : A mon fraire Morì fraire de Londre, Coi/eur eminant à LONDRES Mon tres chsr fraire de Londre! en Angleterre, « J'avons re5u ta laitre qui ma fai gran plèsir, ap- prenant la fortitude et la dure de tes jambe et de 270 «. GOT. FKRRARI tes yeux; et je me hate avec lenteur à repondre, pour te dire que notre maire se porte à merveill, et no- tre pair travail comme un chien. Seure d' Anvers vienn d'accoucher de deux gar^ons male, et se porte a là. Je t'embrass mon cher fraire de Londre, et je me cigne, Ta affectioné seur de Liege. » « P. S. Ta maire t' envoat deux pair de vieux draps, pour te faire six chemises neuve; et tu trou- vera dans le mem paget deux louidor, que ton paire t'envoat à mon insue » . Un cert'anno, ai 24 decembre, cioè la vigilia di Natale, un abitante d'un villaggio, stava alla finestra della sua casa. Faceva un freddo da intirizzire, ed ei non avea vestito, ne collare, ne cappello in testa. Passa un suo amico, lo vede, e lo chiama: « Pie- tro, che fai tu là ? « Sto prendendo un raffreddore. « E perchè ? « Per cantare il basso stasera alla messa di mezza notte » . Viveva un benestante in una casa di campagna, e non potendo accudire egli stesso a tutt'i suoi po- deri, ne diede alcuni in affitto ad un fattore. Que- sti incominciò a fabbricare una casa in faccia a quella ANKDDOri PIACKVOLI K INTKRESSANTI 271 del padrone del luogo, ed esso s'oppose non solo, ma per impedire tal cosa, andò prestamente ad un legale suo amico , eh' abitava nel villaggio vicino. L' avvocato lesse i documenti del sollecitante , poi scrisse una lettera e gliela diede , dicendo: « Fate aver questo scritto al" vostro affittajuolo, e siate certo enei cesserà di fabbricare » . 11 benestante lo ringraziò , e gli chiese che cosa gli doveva. « Oh, » rispose l'avvocato, « per tal di- sturbo, mandatemi qualche pesca del vostro giardino, e sarò contento » . Di buon ora l'indomani, il proprietario coglie egli stesso una dozzina delle più belle pesche che vi fos- sero : le mette in un cestello e glie le manda pel suo proprio giardiniere con una letterina di ringraziamento. Entrato il messaggiere nella casa del legale, gli si affacciò una signora, brutta come un canchero, e la cui faccia pareva piuttosto d' una scimia che d' una donna. Avvedutasi ella di ciò che portava il giar- diniere, lo fa entrar nel parlatorio, lo prega di met- ter il cestello sopra una tavoletta, e se ne va colla letterina dal marito, ordinando alla serva di casa di dar da colazione a quell'uomo. In quel mentre, due scimiotti , cari alla padrona, sentendo 1' odore delle frutta , entraron dal cortile nel parlatorio. Eran essi vestiti con una casacchetta, e con pantaloni di scar- (i. GOT. FKRKAlM latto , oltre un cappellino verde , ornato da piume. Saltaron sulla tavoletta, e in pochi momenti fecero sparire le pesche, e scapparon via. Scende frettoloso il padron di casa , e ringrazia il giardiniere per la lettera cortese del suo padrone e gli dimanda do- v'eran le pesche. Il giardiniere che non aveva mai veduto una scimmia prima, gli rispose: « Oh signore ! I vostri figli le han mangiate ! Care creature 1 Come se le son godute ! » . Nel principio dell'anno 1 800 fui impegnato a dar lezione in una scuola delle più rispettabili e nume- rose di Londra. Ebbi subito quattordici signorine da istruire , due volte per settimana , e ad un prezzo straordinario a quel tempo. Alla fine del primo se- mestre , mi chiese la maestra di quello stabilimento s'io credeva di poter formare qualche buona can- tante traile mie scolare. Le risposi che s' io potessi far vibrar tutte quelle voci da un sol tubetto , non mi renderebbero tutte insieme una voce che mi sod- disfacesse. Ciò fu abbastanza per far ch'ella consul- tasse e prendesse un altro maestro, il qual le fé cre- dere ch'ognuna d'esse aveva una voce forte al di là del bisogno per una damma. S'io fossi stato men sincero, o più politico, avrei guadagnato del gran danaro in quella scuola, come pure in tante altre ! AXKDDOTI PIACEVOLI E IXTKRESSANTI 273 Al mese di settembre dello stesso anno fui eletto maestro di canto di Sua Altezza Reale la Princi- pessa di Galles, e per cinqu'anni e mezzo consecu- tivi, con poche interruzioni , ebbi 1' onore di darle lezione due volte per settimana alla sua residenza Montague House, Blackheath. Non molto dopo mi fu offerto d' insegnar nella scuola rispettabile di Mrs. Durand, ora Mrs. Chalklen, a Bromley, in Kent: mi convenne a meraviglia d'ac- cettare , perchè da Blackheath andava a Bromley, e coglieva l'occasione di dormir una o due volte per settimana fuori della caliginosa Londra. Quel loghetto divenne in appresso il rivale del mio paese nativo ; ma bisogna abitarlo qualche tempo, e girar nei con- torni per gustare la quantità e la varietà di ve- dute e di passeggiate piacevoli che vi si trovano. L' insti tuzione del collegio di Bromley, destinato per quaranta vedove del clero è ammirabile ; s' accorda ad ognuna d'esse una pensione di circa lire 35 ster- line all'anno, con una casetta indipendente franca di tasse , e che contiene due buone camere , una ca- merina di riserva, una cucina ed una dispensa. Sebbene quel collegio non sia fabbricato con ma- gnificenza , è però abbellito da un' entrata spaziosa, da prati che lo circondano , e da tre fila d' alberi superbi di smisurata circonferenza ed altezza, e che G. G. Febhari. — Aneddoti. 18 274 a. OOT. FEKKAUI servono d'asilo e di nido a tante centinaia di corvi. Nella primavera del 1 80 1 scrissi 1 opera in due atti, // T^inaldo d'Asti, dimandatami dalla Banti per essere rappresentata la prima volta al suo beneficio. Pareva essa innamorata della mia musica ; ad onta di ciò, avendo avuto l'offerta dalla Billington di can- tar seco il Mitridate di Nasolini per tale occasione, accettò r offerta , sperando di guadagnar di più , e las2Ìò il mio lavoro come se niente fosse. Sdegnato io d'un procedere così disgustevole e crudele, feci cantar la mia opera dalla Vinci , senza considerar oh'un vestito fatto per un gigante non poteva andar bene ad un nano. Fu rappresentato // T^inaldo tre sole volte, ed io restai vittima dell' avidità e insen- sibilità della Banti. Nell'autunno susseguente ricevei un cortese invito dalla signora Duchessa di Devonshire per passar qual- che settimana a Chatsworth , dov'ella stava in vil- leggiatura col suo consorte e colla famiglia. La residenza del Duca di Devonshire in quel luogo è grandiosa. Il palazzo è magnifico. All' entrata evvi un gran cortile quadrato con portici all'intorno, gran cameroni di qua , una cavallerizza di là. Al primo piano diversi saloni riccamente mobigliati, sala di bigliardo, biblioteca, sala per mangiare da con- ANEDDOTI PIACEVOLI E INTEUKSPANTl 275 tener più di trecento persone a tavola , camere da ; letto pei padroni, &c. Al secondo piano sessanta cantiere da letto pei visitanti. Fuori del palazzo, vi son degli offici, stalle e rimesse in quantità. Traversando i poderi immensi di quel nobil si- gnore , trovansi ad ogni passo dei prati fioriti , dei boschetti folti, delle colline , dei fiumicelli e ruscel- letti limpidi, degli stagni e tante altre bellezze cam- pestri da empir di gioia e d'ammirazione chi le vede. Gli orti e i giardinetti intorno al palazzo, le casca- telle artifiziali, e i giuochi d'acqua vi son tenuti nel più grand' ordme, e senza risparmio. La tavola del duca era servita colla più grande splendidezza e pro- fusione. Aveva sempre una società numerosa, e quan- do risedeva a Chatsworth, dava ogni settimana un pranzo pubblico ai benestanti del vicinato, e a' suoi principali fattori e affittajuoli ; e sebben timido e di poche parole, pur li accostava con affabilità e can- dore, come se fossero stati suoi fratelli. Nelle dispense o bottiglierie vi si vedeva sovente una quantità di contadini mangiare e bere allegra- mente alla salute del padron di casa; e il bene che ha fatto, e che fa quest'illustre famiglia, anche dopo la morie di quel signore, e particolarmente in quella 276 (4. CH»T. FKKKAKI contea, è cosa troppo cognita per aver bisogno del mio elogio. Restai sei settimane in quel deliziosissimo sito, trat- tato da ognuno colla più gran cortesia. Scrissi colà tre ariette inglesi, sei duettini italiani e dieci canoni a tre voci, &c. Pochi minuti prima ch'io partissi da Chatsworth, l'amabile duchessa mi regalò liberalmente, ed ordinò che si mettesse nel mio biroccetto un paniere di salvaggiume , con tre ananas , ognun de' quali era grosso quasi come la mia testa ! L' amabilità della duchessa di Devonshire fu co- nosciuta da ogni parte in Europa : ad onta di ciò non posso ommettere un piccolo aneddoto, che prova il suo tatto e la sua prontezza di spirito. Aveva io un can barbone di color bruno chia- mato Lambo, che mi era assai caro e che portava meco da per tutto ; in conseguenza fu anche il mio compagno a Chatsworth. Un giorno eh' io passeggiava con esso nei giar- dini incontrai la duchessa, la quale nel veder il mio cane esclamò : « Oh che mostro ! Di chi è ? « Eccellenza, egli è il mio fedel barbone. « Il vostro barbone ! Oh che bellezza ! » ANKDDOTI PIACEVOLI E INTERESSANTI CAPITOLO Vili. RITORNO A LONDRA - GITA A GOODWOOD, DAL DUCA DI RICHMOND - INCIDENTI OCCORSIMI IN QUEL SITO - CACCIA DELLA VOLPE - POESIA DEL PETRARCA. L)oPO aver io passato un autunno ridente in una campagna amena, in una residenza da re, e in grembo alla più amabile e distinta società , non si troverà straordinario s'io dico che nel partire il mio cuore era oppresso da melanconia. Il lasciare innoltre le vedute pittoresche di Mat- lock , le pianure opulenti di Leicester , e il traver- sare gli stati superbi del Duca di Bedford a Wo- burn, per invernare poi nella caliginosa e fumicante città di Londra , mi turbava Ja mente e mi faceva ribrezzo. Ma per fortuna, non molti giorni dopo il mio ar- rivo mi fu proposto dal Duca di Richmond passar qualche tempo nel suo elegante ed ammirabile sito di Goodwood , per dar lezione a diverse damine, sue amiche, e per far un po' di musica nella sera, &c. Promisi d'andare, e tenni parola ; ma fui più volte al punto di pentirmi d' aver accettato un tal impe- 278 G. GOT. FERRA KI gno, a cagione degl'incidenti straordinarj che m' oc- corsero in quel luogo. Partii da Londra col mio fedele Lambo, nella di- ligenza di Chichester, la mattina dei quattro gennaio I 802, e giunsi colà alle sei di sera, dove trovai una carrozza del Duca di Richmond , pronta per con- durmi a Goodwood ; e prima delle sette io era già in quel parco e nell'abitazione. Sua eccellenza aveva già finito di desinare , ed ordinato un pranzetto per me nella sua biblioteca. Appena mangiato un pezzo della prima pietanza, mi dimandò il servitore ch'aveva cura di me, qua! sorte di birra mi gradirebbe di prendere ; ed io non conoscendo il sapore della piccola birra, ne il poter della birra forte che fan fare i gran signori inglesi nelle loro case di campagna, gli chiesi della birra forte ; ed egli, stupido ed insensato, me ne versò nel corso del pranzo due gran bicchieroni pieni , eh' io bevei, e che, uniti ad alcuni bicchierini pieni di vino che presi durante e dopo il pranzo, produssero l'ef- fetto, eh' ognun si può immaginare ; ma felicemente alcune ore dopo. Verso le otto fui invitato a prender tè e caffè col signor duca , e colla sua nobilissima ed amabi- lissima società. Seguiron poscia diversi pezzi di mu- sica ; e quando vidi che non v' era più bisogno di ANEDDOTI PIACEVOLI K INTEUKSSANTl 279 me, e credendomi stanco dal viaggio, chiesi il per- messo di ritirarmi. Fu suonato subito il campanello € ordinato a un servitore che mi conducesse al mio destinato dormitorio , e lasciai quella sala tranquillo e sobrio come lo sono adesso. Nel cangiar però d'ambiente, e nel salir le scale, sentii che le mie gambe eran pesanti, e la mia testa in confusione. Arrivato e rimasto solo nella mia camera da letto, mi spogliai prestamente , e posi sopra una tavoletta il candeliere , il mio oriuolo, la mia scatola da ta- bacco e il fazzoletto da naso : poi mi coricai se- condo il mio solito con un libro in mano ; ma quanto leggessi in quella notte non lo saprei certamente dire. Nello svegliarmi la mattina, e nel vedermi in un gran letto e in una gran camera, io non sapeva che cosa fosse divenuto di me, ne mi ricordava d'alcuna cosa. A poco a poco rinvenni in me : guardai l'orolo- gio che segnava le ore dieci ; cosa straordinaria per me che non resto mai a letto al di là di sei a set- t'ore. Vidi poi che la candela era consumata, la mia tabacchiera bruciata in un cantone ; e quando volli prendere il fazzoletto mi restò la mano piena di ce- nere, e sotto alle altre ceneri un buco bastantemente profondo, fatto forse dal lucignolo della candela, o 280 ti. GO'V. FKURARI dal fazzoletto consumatosi lentamente. Mi vestii fret- tolosamente , e feci pregar la massaja di salir nella mia camera : venne ella , le raccontai il mio caso, pregandola di non parlar ne al Duca ne a nessuno, e mi promise di farlo. Non finì quella settimana, e mi accadde un altro imbroglio. Una mattina picchia la porta della mia camera, ed entra il Duca di Richmond : s'accosta a me con faccia più tosto mesta, e mi dice che gli rincresceva di dover darmi una cattiva nuova. Io pensai subito eh' ei fosse stato consapevole di ciò che m'era oc- corso la prima sera del mio arrivo a Goodw^ood, ma no : voi conoscete, diss'egli, la mia passione pei cani, e mi fa gran dispiacere l'informarvi che il vo- stro Lambo è attaccato da una malattia epidemica, e temendo ch'ei la dia anche a' miei cani di cac- cia, vengo a proporvi di farlo mettere in una piccola stalla dovei si troverà bene , e il mio capo-caccia avrà cura di lui e lo farà guarir per sicuro. Lo rin- graziai della sua estrema compiacenza, e gh dimo- strai , tanto che fu possibile, quanto mi rincresceva l'averlo portato colà. « Oh, » soggiunse il buon duca, « conosco la sagacità de' cani barboni, ne mi me- raviglio se lo portate sempre con voi » . Mi strinse affabilmente la mano, e se n'andò giocondo. ANEDDOTI PIACEVOLI E INTEUESSANTl 281 Quando fui solo incominciai a ragionar con me stesso, e dissi: « Povero duca ! Se tu sapessi ch'oltre il pericolo d' aver il contagio nel tuo canile , hai avuto anche quello di veder la tua casa in fiamme per mia colpa, non credo che mi tratteresti con tanta dolcezza ! » . La posizione ed il parco di Goodwood son due oggetti singolari, e degni d'esser veduti ed ammirati da chi che sia. Le colline sono cariche di boschetti pieni d' al- beri sempre verdi, ma così ben disposti e coltivati che pajon miniature. Evvi un' infinità di praticelli, coltivati e livellati con tanta cura che v' incantano, e che, trascorrendoli, si crederebbe di camminar so- pra il muschio. Vedesi da diverse alture del parco una estremità della poco lungi Isola di Wight , e quel gran braccio di mare, che la divide dalla con- tea di Hants , eh' offrono un prospetto de' più in- cantevoli e variati. La caccia della volpe in quel recinto è cosa grande e pomposa. Il terreno e le piantagioni sembrano fatte per un tal divertimento , e le volpi vi sono in grande ab- bondanza. Manteneva quel duca nel suo vasto ca- nile diverse mute di cani da caccia scelti , allevati 282 G. GOT. FERRARI colla più gran cura ed ammaestrati dai suoi esperti capocaccia. Teneva pure un gran numero di cavalli di razza, robusti e superbi. Un giorno chiesi al mio amabil ospite il favore di vedere un tale spettacolo , ed egli , senza esita- zione alcuna m' offerse uno de' suoi destrieri. Io lo ringraziai, e rifiutai nello stesso tempo, allegando che sebben io fossi avvezzo a cavalcare, pur non mi da- rebbe l'animo di saltare a cavallo fosse, argini, siepi, per timor di rompermi '1 collo : ma che s'ei volesse procurarmi un asinelio, mi contenterei di questo , per veder ciò ch'io desiderava. Così si fece. Il capo-caccia m'additò un posto dov'egli suppo- neva che i cacciatori dovessero passare, ed io mi ci portai in tempo , ed ebbi una soddisfazione a cui non mi sarei mai aspettato. Mi posi, col mio paziente compagno, nell'angolo d'un boschetto, e mezz'ora dopo il mio arrivo sentii di lontano il latrato de' cani, e il calpestìo de' ca- valli, che produsse in me una nuova e grata sensa- zione , e che fece rizzar le orecchie del mio be- stiolino. Non tardò molto che passò davanti di me la scaltra ed ansante volpe , con bocca aperta e ANEDDOTI PIACKVOLI E INTKKESSAXTI 283 schiumosa, fugata dai veltri impetuosi, dai veloci destrieri , e dai cavalieri ansiosi e determinati di raggiungerla e colpirla. In quel momento io era fuor di me stesso. Mi sentiva alternativamente coraggio, timore, griccioli, e mi mancava quasi il respiro ! Il mio asinelio che sin allora era stato docile, in- cominciò a ragghiare, a corvettare, e a tirar calci tremendi sino che mi gettò di sella ; e vedendomi esso per terra pareva ch'ei gioisse della mia disfatta : tirò ancor qualche calcio , e se n' andò di galoppo alla sua stalla, lasciandomi là come un babbeo. Per fortuna che l'erba sopra cui caddi era tanto lolta e molle, che non mi feci alcun male. Ritornai a casa sulle mie gambe, ed incontrando il duca, mi chiese come m'aveva piaciuta la caccia : gli risposi eh' essa era stata lo spettacolo più bello e più seducente ch'io avessi mai veduto in mia vita, ma ebbi troppo vergogna per raccontargli la mia ca- tastrofe asinina. Il tutto insieme di Goodwood mi piacque assais- simo , e mi riscaldò tanto la fantasia , che vi com- posi una quantità di musica , traila quale : Sei Ariette italiane. Dodici canoni a tre voci. Tre pezzi di poesia del Petrarca, ridotti in una 284 a. GOT. FERKAKI sola cantata, le cui parole trovansi alla fine di que- sto capitolo. La vigilia del mio ritorno, m'offerse cortesemente il duca di Richmond di farmi accompagnar con una delle sue carrozze al cancello del parco , eh' è in faccia alla strada-maestra di Londra , per ivi met- termi nella diligenza che dovea passare alle sei di mattina ; in vece di darmi il disturbo d'andar dalla parte opposta a Chichester e fare in tal modo cin- que o sei miglia di più inutilmente. Profittai della sua compiacenza senza poter prevedere ciò che mi sarebbe occorso. Montai in carrozza il dì nove feb- braro alle cinque di mattina, condotto dal cocchiere di quel nobil signore , ed accompagnato da un ra- gazzotto a cavallo, con una lanterna accesa in mano. Faceva ancora oscuro ; un vento burrascoso, e la neve e la brina cadevano a fiocchi. Nel traversar la prima barriera si spense il lume , né si vedeva punto , e il giovinetto non servì più che per aprir r altre barriere. Nonostante , coli' istinto dei cavalli arrivammo ad una piccola distanza del cancello. Ivi il cocchiere perde la tramontana ; ei voleva guidare i cavalli a man sinistra, essi volevano andare a dritta. Dalle scosse continue ch'io provava m'accorsi eh e- ravamo fuori di strada ed entrati in una macchia piena di sterpi, e vicina ad una ripidissima calata. anm<:ddoti piackvoli e intkukssanti 285 Bassai subito le finestrelle della carrozza ; indi ap- piccai le mani alle cinghiette laterali d'essa per so- stenermi da qualunque parte ribaltasse. In fatti non passò un minuto ch'eccoci a capitom- bolo, ma fortunatamente sopra dei tronchi d' albero che e' impediron di sdrucciolare nel fondo. Sapendo che là vicino eravi una caserma abitata dai soldati del reggimento del duca chiamammo soccorso, ed in pochi minuti arrivaron diversi di loro con delle torce a vento, e ci portarono ogni assistenza possibile. Il cocchiere ricevè diverse contusioni : un cavallo fu leggermente ferito, la carrozza molto ammaccata, ed io ed il mio Lambo non soffrimmo alcun'ingiuria, e fummo esattamente in tempo per saltare nella dili- genza. CANTATA Scelta da versi e voci del canzoniere del Petrarca. Per mezzo i boschi inospiti Che appena il sol penetra, Soglio il silenzio rompere Col suon della mia cetra. Sfogando il rio dolor. Laura mirar già sembrami, E Ninfe insiem con lei : 286 G. GOT. FKllKARI Poscia del sonno scuotomi, E veggon gli occhi miei Solo arboscelli e fior, Le sue parole angeliche Farmi sentir talora, Ma è il rio che lento mormora, O il tortore che plora 11 moribondo dì ! Eppur se vane immagini Son così presso al vero ; Concedi amor ch'io termini Sognando ognor così. Valle, che ancor sei piena De' miei dolenti lai : Fiume, che gonfio vai Con il mio pianto al mar Aria, dei miei sospiri Ancor calda e serena ; Qui dove amor ne mena Mi vengo a ristorar. Lasso ! Conosco ancora In voi la forma usata, Ma com'è oh Dio cangiata La mia felicità ! Quella per cui mi piacque Questa romita sponda, Di Lete passò l'onda E più non tornerà. Non trovo pace, i AXKDUOTI PIACEVOLI K INTERESSANTI 287 Non so far guerra, L'ardor mi sface, Mi serra il gel. Chi m'imprigiona Non mi vuol vinto, E non mi dona La libertà. Senz'occhi vedo, Son fioco e grido. Aita chiedo. Vorrei morir. Nume adorato, Comprendi adesso In quale stato Son io per te ! CAPITOLO IX. VIAGGIO A PARIGI - PAISIELLO. VIGANONE E M. KELLY — ANEDDOTO TRA BONAPARTE E CHERUBINI - CAM- BIAMENTO TOTALE IN PARIGI. /\l mese di luglio feci un viaggetto a Parigi, tanto per ricuperare ciò che vi aveva lasciato, quanto per la consolazione di rivedere il mio buon Paisiello che ivi stava scrivendo la sua bellissima, ma non fortu- nata, 'T^roserpine. Appena giunto in quella città , mi portai da Mr. Louis, ed ebbi il dispiacere di sentir eh' era morto. Madame Louis viveva in campagna 288 fi. GOT. FliRRAIlI colla figlia maritata , già da qualche anno , ad un Monsieur de Corny. Passai subito al mio antico al- loggio , e la portinaia m' informò che Mr. Chabert aveva venduta tutta la mia proprietà. « Come ! » — dis- s'io — « Anche il tabacco ! » — «M.r Chabert, » rispo- s'ella, « m'ha detto che questo aveva preso la muffa e ch'era stato obbligato di gettarlo via. » La perdita dei mobili , della biancheria, e dei rami di musica non mi fé gran colpo ; ma il perdere due- cento libre di tabacco eccellente , vecchio di dieci anni, mi fu un pugnale al cuore. Andai poscia da Paisiello , che dimostrò il più gran piacere di rivedermi, com'anche donna Cecilia, che seco stava in quel punto. Paisiello era l'idolo di Bonaparte : questi V idolo di Paisiello. Quasi tutti giorni, il compositore pran- zava col primo console, cosa che lo lusingava mol- tissimo, ma che insiem gli dispiaceva, perchè lo di- sturbava dal suo lavoro. Benché io sapessi che Paisiello non gradisse di ricever visite, pure, sicuro di fargli piacere, mi presi la libertà di presentargli, senza prevenirlo, i due miei amici Viganoni, e M. Kelly, ch'egli aveva già co- nosciuti prima , e pei quali aveva scritto a Vienna il suo celebre Re 'Teodoro, dando al primo la parte di Sandrino, e al secondo quella del Segretario. Ap- COLLEZ. SETTECENTESCA FERRARI — Aneddoti. 2 o < Q W w < > ANEDDOTI t*IACi;VOLl K INTKKKSSANTI 2S9 pena entrati nell'anticamera, il faceto Kelly, vedendo che la sala del maestro era aperta, si mise ad in- tonare l'aria scritta per lui nella sudetta opera. « Que- ste son lettere scritte m Inglese » . Paisiello riconobbe la voce come la sua musica, e uscì frettoloso ad ab- bracciare il cantante colla solita bonomia ingenua, esclamando : — « Caro il mio Kelly , son contento di rivederti ! Come ? Non hai tu ancor dimenticato queir aria che dapprima rifiutavi di cantare, perchè era troppo istrumentata ? » Poi, voltatosi a Viganoni, l'abbracciò, pure dicendo : — « Caro il mio Sandrino, non t'ho potuto servir bene in quell'opera, ma non è mia colpa : spero però che lana « Mi perdo sì mi perdo » , che ti scrissi nella Modista Raggiratrice t'ab- bia risarcito abbastanza » . Viganoni sorrise, lo rin- graziò : la gioia e il contento si vedevan brillare sulle loro facce ; non senza che ne partecipassi io stesso nel vederli tutti così fehci. Girai tutto Parigi in cerca d' altri mei vecchi amici , ma ne trovai pochissimi. Alcuni eran già morti , tra' quali il Cavalier Cam- pan ; altri in emigrazione, ed altri stavano vivendo in campagna. Nondimeno trovai Cherubini, che sin da parecchi anni stava oppresso ed avvilito dal rancore che gli portava il primo console, per la circostanza che segue. Allorché Bonaparte non era che solamente Gene- fi. G. Ferrari. — Anerldoli. 19 290 «. GOT. FEUKAKI rale, andò al teatro Fedean in Parigi, per sentir un'o- pera delle migliori di quel maestro, e si trovò acci- dentalmente in un palchetto dov'era Cherubini. Conoscendolo già prima, gli fece diversi complimenti nel corso della rappresentazione: ma, finita l'opera, lo prese a parte e gli disse : « Caro Cherubini , voi avete un gran talento, ma la vostra musica è tanto complicata e astrusa che mi stordisce » . Cherubini rispose : « Caro Generale , voi siete un gran guerriero ; ma in fatto d'armonia (scusatemi) non è vostro affare il parlarne, perchè voi vorreste ch'io scrivessi della mu- sica che convenisse solo alle vostre orecchie » . Napoleone non gliela perdonò mai più; e durante i dodici anni del suo regno lo tenne tanto che gli fu possibile nell'oblio ! Trovai innoltre la mia fiamma dai denti posticci, anzi venne a vedermi con sua madre, sperando che IO fossi ricco, e siccome nel tempo dell'anarchia ella aveve avuto sette mariti in sei soli mesi di tempo^ eh' era divorziata dall'ultimo quand'io la vidi , spe- rava forse ch'io sarei divenuto l'ottavo. Aveva ella perduto il suo embonpoint, e s'imbellettava dal mento sino agli occhi. Ebbe l'impudenza di chiedermi che cosa era di- ANEDDOTI PIACKVOÌ.I K INTKIiKSSAXTI 291 venuto di quel certo anello. Io, senza cerimonie, le risi in faccia, pregandola di domandarne alle nostre comuni amiche. Visto eh' io era al fatto delle sue sopercherie , mi fece una bellissima riverenza, e se s'andò colla sua madre con più sdegno che vergogna. Abbenchè la pace d' Amiens avesse portato un po' di tranquillità nella Francia, nulla di meno Pa- rigi non era più Parigi. La più gran parte delia nobiltà che faceva prima la ricchezza e lo splendore di quella metropoli era ancora in emigrazione, o stata vittima del ferro in- fernale di Robespierre e di altri mostri che lo precederono, o gli successero. Nella mezza classe non vi s'incontrava più quel- l'agevolezza, quella sincerità , ne quell'ordine sociale così dilettevole ad ogni persona ; anzi non vi esisteva che il sospetto, e la diffidenza, per sin tra padre e figlio, tra fratello e fratello. 11 popolaccio era impertinente e brutale. In somma l'abitare Parigi a quell'epoca , non era già un vi- vere ma un vero morire a fuoco lento. 292 G. (iOT. l'KUKARI CAPITOLO X. VISITA A MADAME CAMPAN A ST. GERMAIN EN LAVE — GRAN BANCHETTO E GRANDE FESTA, DATI DA ESSA AI PRIMI PERSONAGGI DI QUEL TEMPO. — ESI- BIZIONE DELLE SUE ALUNNE. — POESIA INGLESE. — RITORNO A PARIGI. In capo a due settimane ricevei un invito dal mio amico Noverre per passar qualche giorno seco, vi- cino a St. Germain en Laye, dov' egli stava riti- rato. V'andai, tanto più ch'io desiderava di visitar Ma- dame Campan, che (come già dissi) ivi risiedeva nel suo rinomato stabilimento d' educazione per signorine. Il mio amico Noverre aveva una graziosissima casa, situata sopra un'eminenza, che presentava la più bella vista di quei contorni. Teneva egli una mensa squisita, ed una società piacevole ; e sebbene avesse passato l'età d'anni ottantacinque, pure era sempre di buon umore, eccettuato quando parlava di Madame Campan, a cui non poteva perdonare di non averlo scelto per maestro di ballo della sua scuola. Una mattina mi presentai all'antica cameriera della sfortunata M. Antonietta, e dopo le cerimonie à ANKDUOTI PIAOKVOLl K INTKliK.SSANri HiVS dell'uso, e le reminiscenze passate, ella mi pose al fatto della sua intrapresa. Viveva ella in un bellissimo palazzo, con due gran case vicino, che contenevano in tutto più di cento cinquanta persone, tra scolare e servitù. Teneva ella (oltre le Francesi) un gran numero di damigelle d'ogni nazione, religione, o setta del continente : v'eran pure delle Indiane, Americane, ed Inglesi, che pagavan tutte un prezzo altissimo ; ma in contraccambio esse ricevevano l'educazione più compita. I primi maestri di Parigi erano impegnati per dar lezione alle alunne di Madama Campan. Aveva in casa diverse aule capaci non solo di far ripetere, ma anche d'insegnare. Gli appartamenti eran tenuti con isfarzo e pulizia, e l'edilìzio dominava un vasto orizzonte pittoresco e variato. Dopo avermi fatto girare una gran parte di quell'abitazione , mi condusse nel suo boudoir, dove restai attonito nel vedere una quantità di busti e ritratti, alcuni rappresentanti la famiglia dei Borboni, altri quelli di Bonaparte. V'era per sino il Mam- malucco favorito di Napoleone dipinto da Madame Beauharnais ! Le dimandai se il primo Console era mai stato in quella camera, e come gli gradiva di veder le 294 (i. (,OT. l'ERRARI immagini della dinastia dei Borboni frammischiate a quelle delle sua propria famiglia. Mi rispose che v'era stato più volte, ma ch'era superiore a siffatte mi- nuzie. Le chiesi allora in confidenza che cosa pensava di lui. « Oh, » dissella ; « egli è un uomo attivo, pien di genio, e fortunato. Fu sul punto d'esser uc- ciso nell'Assemblea Nazionale, e di perdere il suo esercito e se stesso a Marengo ; ma se la sua sorte non l'abbandona m'aspetto di vederlo tra poco tempo coronato. « Venite, » continuò ella, « venite a pranzo meco giovedì prossimo, probabilmente lo in- contrerete in questo boudoir, e forse pranzerete seco. Dico forse perchè, sin dal momento ch'ei portò il titolo di Console per diec'anni, m'onorò sempre della sua persona a pranzo tutti i giovedì ; l'ultimo di questi, pochi giorni dopo che fu fatto Console in vita, non venne, e chi sa se verrà mai più. « In ogni caso vi farò sempre conoscere diversi suoi parenti, ed alcune mie scolarine, ch'ebbi la fortuna di maritare ai primi personaggi del tempo ; cioè agli ajutanti ed uffiziali del gran capitano. » La ringraziai della sua cortesia e v'andai ; ma il primo console non ci venne, e credo non ci sia mai più andato. In quanto al pranzo, egli sembrava che fosse dato ANEDDOTI PiACKVOM K INTERESSANTI 295 piuttosto da una principessa, che da una maestra di scuola : ne vi è cosa rara e delicata che s'avesse potuto desiderare. In fatti quando rifletto agli eventi ch'occorsero in appresso, parnni ch'ella avesse avuto già qualche presentimento di ciò che doveva arrivare ad alcuni degl'invitati che v'intervennero, per offrire un pasto così coste vole e lussoso. Stava ella seduta da una parte e alla metà della tavola. Aveva a mano dritta il suo curato e il ge- neral Savery alla manca. V'erano innoltre il mare- sciallo Ney con sua moglie, nipote di Madama Cam- pan ; una sorella di questa ; il general Du Roc, prefetto del palazzo *, il general Beauharnais, poi viceré d'Italia ; la di lui sorella Madame Louis Bo- naparte, indi regina d'Olanda ; la sorella di Napo- leone, Madame Murat, poi regina di Napoli ; Mon- sieur Isabè, celebre pittore ; io stesso ; e diversi altri ch'io non conosceva. Finito di pranzare, mi chiese Madame Cam pan s'io aveva mai messo in musica della poesia inglese. Le dissi di sì. « Volete dunque farci sentir qualche arietta ? « Volentieri ! « Tutte le mie alunne sanno quella lingua, e vi 296 Ci. oor, i-KUKAur son fra esse due inglesine, le quali, son certa, saran contente d'un tal regalo. « Siete troppo amabile : e basta ch'esse scusino la mia piccola voce, e straniera pronuncia, son pronto » . E sedutomi al pianoforte cantai le seguenti strofe : CONTENTMENT. Contentment ! smiling, lovely fair, Thou brighte's daughter of the sky. Why dost thou to the hut repair And from the gilded palace fly ? l've traced thee on the peasant's cheek, l've marked thee in the milkmaid's smile, l've heard thee londly laugh ad speak Amidst the sons of want and tail. Yet in the circles of the great Where Fortune's gifts are ali combin'd ; l've sought thee early, sought thee late, And ne'er thy lovely form could fìnd. AXEUDOTI PIACKVOF.I K IX TKUKSSANTl 291 The Butterfly. Stili free fiom thought, and free from sorrow, Waive lovely fly thy wings in play, Though time may clip thy winga to-morrow, An age of bliss in time to-day. Would that thy life's short happy measure Were mine-but oh ! that wish in ain, Stili must thou sport through days of pleasure, And I stili sigh through years of pain. Sia per la circostanza, o sia per altro, queste due ariette ebbero il più gran successo, ne mi ri- cordo d'esser mai stato tanto applaudito. Madame Campan voleva impegnarmi per mae- stro di canto delle sue alunne, ed il maresciallo Ney m' offerse di parlare al primo console, acciò ei mi prendesse per suo compositore. Ringraziai luna e l'altro, assicurandoli ch'io era determinato di ri- tornar nella mia patria dopo d'aver accomodato i miei affari in Londra. Allora l'amabil ospite intrattenne la sua società con un'esibizione, che soleva far eseguire di quando in quando alle sue più esperte alunne, in una sala del palazzo, e sopra un teatrino fatto apposta per tali occasioni: ed eccone la descrizione. 298 l)OTI PIACKVOM K INTKRESSANTI 305 * » Ed ecco la lettera di Paisiello : Parigi, li 2 Giugno, 1803. Caro amico Ferrari, E già un mese, e più, che il cavaliere la Cai- nèa è partito di qui per Londra ; al medesimo con- segnai un plico per voi, contenente le arie, e i duetti, e la sinfonia già stampati della mia opera Proserpine ; stante che la partizione non è ancora terminata di stamparsi. Il medesimo cavaliere s'inca- ricò di rimettervi tal piego, dicendomi di conoscervi; ma da quel tempo sino adora, non ho potuto an- cora sapere ne dal suddetto ne da voi se il plico ve l'abbia rimesso, e se voi l'avete ricevuto. Perciò, mi son determinato scrivervi, per sapere da voi l'e- sito di dett'affcu^e. Spero, che mi risponderete, perchè ancora aspetto da voi risposta di altre mie scrittevi, per farmi sa- pere a chi volete ch'io rimetta il vostro avere per la spesa fatta a mio conto, tanto de' venti quattro fazzoletti, quanto per li due frontini, e perciò spero, che mi risponderete , e subito. Credevo di ripa- (;. II. Ferrari. — Aneddoti. 20 306 Ori PIACEVOLI K IN TKKKSSANTI 317 ne si svegliava che quando l'amabil cantante gli batteva la spalla. Dopo pranzo m'avvicinai a Lady Hamilton, e le dissi candidamente ch'io pensava che Lord Nel- son non avesse alcuna sensibilità per la musica ; e che inoltre, non intendendo egli la lingua italia- na , sarebbe meglio di fare scrivere una stanza in inglese al mio amico Peter Pindar, e divertire in tal modo l'ammiraglio, leggendo le sue prodezze nel mentre che si cantava. Ella accolse il mio progetto, e m'incaricò d'invitare il celebre poeta a passar una settimana a Merton come pure Viganoni e C. Ro- vedino. Vi andammo tutti : Peter Pindar scrisse la poesia che segue e che io misi in musica : Pleas'd would 1 strike the iyre to love. In vain the wish, the labour vain ! For lo ! the chords rebellions prove, And pour to war alone the strain. Change as I wiU the rebel stiings. The Harp of martial glory sings. Vet vs^ho alas ! can blame the Iyre, That pours a sound to Britons dear ? * Peter Pindar fu pseudonimo del poeta satirico inglese John Wolcol, nato a Ttodbrooke nel 1738, morto nel 1819. A proposito di lui vedi il Dictionary of National ^iography; det Lee, voi. XXI, pag. 761. il Robinson : Memoirs, 1801 e (7 Ferdan : Autobiography, e/c. — s. d. g. 318 G. D(>TI PIACKVOI.I K IXTKKKSSANTI ^^^7 timane, per veder la Begatta, la Coccagna, ed altre feste che si dettero in onore dell'imperatore d* Au- stria , ch'ivi si trovò durante il mio soggiorno. Da Venezia si passò a Padova, Ferrara, Bologna, Pesaro, e Loreto, dove si vide, nella cappella di quella Ma- donna, la benedizione delle corone , dei Rosarj , e Restammo ancor tre giorni a Firenze, e partim- mo ai 1 6 per Torino, fermandoci ora mezza gior- nata, ora una giornata intiera a Bologna , Modena, Reggio, Parma, Piacenza, Tortona, Alessandria, etc. Fuori d'una porta di questa città e fortezza , ci fecero vedere un uomo , eh' era stato impiccato po- che ore prima del nostro arrivo : ne dimandammo la cagione, e ci narrarono la storia orribile che qui presento. Un giovin formaggiajo d'Alessandria sposò una zitella colla quale viveva in perfetta armonia. Nell'anno 1812, ebb'egli la sfortuna d'esser tratto dall'urna come uno de' conscritti dell'immenso eser- cito che Napoleone sacrificò nella Russia. Appena che fu partito, un legale, amico suo, corteggiò la mo- glie, la sedusse, e prese alloggio in casa del manto. Questi fu salvato delle cannonate e dal gelo ; e ri- tirandosi dallo sconfìtto esercito , scrisse alla moglie che stava per ritornare : allora il seduttore si ritirò in casa propria. Il conscritto, poche settimane dopo il suo arrivo in Alessandria disparve per qualche tempo senza che ne il civile, ne il militare potesse scoprir dov' egli fosse. Finalmente un can barbone, che soleva andar sovente dal formaggiajo, da cui ri- ceveva delle croste di cacio ed imparava dei gio- chetti , uscendo di città una mattina col suo padrone « giunto ad una piccola distanza incominciò ad an- 360 (i. III. — Voto di mio padre — Santuario sul Monte- baldo — Mia educazione a Verona — Pa- squinate ...... » IV. — Promessa di matrimonio — Ritorno a Rove- redo — Morte di mia madre — Situazione scabrosa di mio padre » V. — - Partenza da Roveredo — Breve descrizione di Bolzano e delle valli che conducono a Mariaberg — Parte del soggiorno in quel convento — Scuola e musica - 388 - 23 33 40 INDICE 389 CAP. vi. — Continuazione di Mariaberg — Mensa — Cac- cia Pag. 49 » VII. — Secondo matrimonio di mio padre — Fanati- smo per la musica sacra per l' organo e per la religione . > 54 » Vili. — Festa teatral3 religiosa al padre abate ed ai monaci di Mariaberg . » 57 » IX. — Progetto di farmi frate — Ritorno a Bolzano e a Roveredo ..... » 63 » X. — Miscuglio di commercio, musica ed amori. > 68 » XI. — Studio di hngua francese — Squarci di poesia — Facezie ..... » 74 » XII. — Inclinazione del commercio — Apertura del teatro di Roveredo — Nuovo studio di lin- gua italiana — Frammenti di poesia > 81 » Xlll. — Morte e funerale di mio padre — Condotta orribile di mio cugino — Mia rovina e partenza per Roma col Principe W. Lich- tenstein ...... » 89 » XIV. — Mio arrivo a Roma e a Napoli — Conver- sazione con don Giovanni Paisiello . » 94 » XV. — Soliloquio — Magnifica eruzione del Vesuvio — Cena alla siciliana » 103 » XVI. — Casa Coltellini — Lady Hamilton . » 110 » XVII. — Continuazione del Vesuvio e di Paisiello — Nuovo maestro di contrappunto — 11 re, la regina di Napoli e il cavalier Acton - inglese — Miracolo di san Gennaro . » 117 » XVIII. — Latilla — Paisiello — Clementi — Hayden — Elogio a Mozart — Haendel » 127 » XIX. — Continuazione del precedente capitolo — Bee- thoven-Rossini — Cantanti — Orchestra — Iscrizione del celebre Diderot . . » 135 » XX. — Scorreria sulla lava del Vesuvio - Aneddoti — Opere teatraU » 140 » XXI. — Aneddoti — Facezie — Pasquinate — Viaggetto 390 INDICE a Roma col cavalier Campan — La du- chessa d'Albania — Il pretendente d'Inghil- terra— Sonetto al cardinale York Pag. 147 CAP. XXII. — Continuazione a Roma — Ritorno a Napoli con Mr. Albert, inglese . » 1 56 » XXIII. — Avventura di Mr. Albert — Il padre Gior- dano . . , . . . » 163 » XXIV. — Ritorno della Coltellini — Opere buffe — La baronessa Talleyrand — Viaggetti all' Isola d'Ischia — Il « Pirro » . : . > 168 » XXV. — 11 conte Skavronsky — Malattia — Partenza da Napoli » 176 » XXVI. — Arrivo a Roma — Gita a Frascati — Aned- doto del Papa Lambertmi — Incontro col Conte Skavronsky — Partenza per Firen- ze > 183 » XXVII. — Personaggi distinti a Firenze — Bologna e Venezia — Discorsetto col figlio del ban- chiere Luisello . . . . . >> 189 » XXVIII. — Partenza da Venezia — Congedo piacevole col padrone della locanda — Arrivo a Verona, Milano e Genova — Imbarco per Nizza e burrasca a mezza strada — Arrivo a Mar- siglia, Lione e Parigi ... . » 197 PARTE SECONDA. CAP. I. — Parigi — Choisy — Versailles — Messa del re Incontro inaspettato con Monsieur — Mu- sica colla regina .... Pag- 209 » II. — Aneddoti — Ritorno a Parigi II marchese Circello — L'abate Leprini — Le contesse di Tesse, di Tott, ed altri personaggi di- stinti » 216 » III. — Mestrino — Dussek Steibelt — J. B. Cramer INDICE 391 — Shmerczka — Plantade — Ritratti — Romances — Teatro di Monsieur . Pag. 223 CAP. IV. — Madame Louis — Madame du Saillant — Viaggio a Spa e Brusselles — Ritorno a Parigi — Rottura di matrimonio — Nuovo amore ....... 235 » V. — La mia prima opera in Parigi ■ Secondo viaggio a Brusselles, e ritorno a Parigi — Madame De Craon, Madlle. Bonne D'Alpy — Disgusto per Parigi — Partenza da quella città con Simom — Arrivo a Lon- dra » 242 » ■ VI. — Visita a Hayden — Aneddoti tra esso e i principi Esterhazy e Lobkowitz — Il duca di Queensbury — Lord e lady Hampden — L' Arciduca Carlo — La duchessa di Devonshire — Lady E. Chruchton, miss Harvey ...... » 250 » VII. — La mia prima opera in Londra — Viaggio a Roveredo &c. — Il vescovo di Barry — Ritorno in Inghilterra — Aneddoti — La principessa di Galles — La mia second 'ope- ra— -Giro a Chatsworth, e breve descrizione della residenza del duca di Devonshire colà. ...... » 265 » Vili. — Ritorno a Londra — Gita a Goodwood, dal duca di Richmond — Incidenti occorsimi in quel sito — Caccia della volpe — Poesia del Petrarca ..... » 277 » IX. — Viaggio a Parigi — Paisiello, Viganone e M. Kelly — Aneddoto tra Bonaparte e Che- rubini — Cambiamento totale in Parigi. » 287 » X. — Visita a madame Campan a St. Germain en Laye — Gran banchetto e grande festa, dati da essa ai primi personaggi di quel 392 INDICE tempo — Esibizione delle sue alunne — Poesia inglese — Ritorno a Parigi . Pag. 292 CAP. XI. — L' abate Casti — Paisiello — 11 Maresciallo Ney — Rivista di Bonaparte — Accademia a Devonshire House .... » 299 » XII. — Viaggio in Iscozia — -Giro m quelle montagne — Ritorno a Londra per la via di Manche- ster » 306 » Xlll. - Il mio matrimonio . » 311 » XIV. - Sir William e Lady Hamilton — Lord Nel- son, etc. . . » 316 » XV. — Madama Catalani — L' eroina di Raab — Poesia mglese ed italiana . . » 321 > XVI. --Viaggio a Roveredo, Venezia e Napoli, col signor Tommaso Broadwood . » 329 » XVII. — Soggiorno a Napoli — Il principe Leopoldo di Napoli — 11 conte Mocenigo - Sciagure e morte di Paisiello, e suo epicedio . » 339 » XVIII. — Partenza da Napoli — Breve soggiorno a Roma — La cascata di Tivoli - Donna Giulia di Torimeri — Firenze e Livorno — Ritorno in Inghilterra — ■ Arrivo in Londra » 353 » XIX. — Gita a Brighton — Studio di canto — Stabi- limento in Iscozia - Ritorno in Inghilterra. » 363 » XX. — Opera italiana — Accademia de' Filarmonici — Nuovo studio di canto Benefizio ad Amacks — Accademia Reale -Incidenti &c. » 372 Indice delle Tavole. ...... » 386 University of California SOUTHERN REGIONAL LIBRARY FACILITY Return this material to the library from whìch it was borrowed. TH^ LT^RART , -^-' . orrari- '^1-^ Aneddoti "^■'-^^ piacevoli... . ,,,"'; SO'JTHEHN REGIONAI uprarv A 000 146 350 M'JSIC LIBRARY 1^10 FU1A2 1920